13 Luglio 2010

Generation Kill: la guerra al di là della guerra di Marco Villa

Nelle sette puntate di Generation Kill non succede praticamente nulla.
C’è gente che parla alla radio, sistema le jeep, mastica tabacco e dorme a comando.
Ciononostante – o meglio, proprio per questo – Generation Kill è un capolavoro.

Siamo in Iraq, nel 2003: all’indomani della dichiarazione di guerra di Bush figlio a Saddam, il corpo dei marine viene catapultato nel bel mezzo del nulla iracheno. Quello che i soldati devono fare è abbastanza semplice: conquistare un intero Paese.
Generation Kill è andato in onda nell’estate del 2008 su HBO ed è una creatura di un uomo che trasforma in cult tutte le serie che tocca. Trattasi di David Simon, ovvero il papà di cosucce da poco come The Wire e Treme, di cui parleremo presto su Serial Minds. La storia in questione è ispirata al libro omonimo di Evan Wright, giornalista di Rolling Stone inviato embedded nei marines.

Se la sinossi lascia intravedere grandi scene di azione e di battaglie, la realtà è del tutto differente. La faccenda viene infatti seguita dal punto di vista dei soldati e della loro quotidianità, fatta di manutenzioni continue ad armi e mezzi e di soddisfazioni contingentate di ogni tipo di stimolo fisiologico.
Queste “macchine da guerra costate cinque milioni di dollari” vivono quaranta giorni nella più totale inconsapevolezza, trascinati da un punto all’altro della mappa senza mai sapere il come e il perché. In mezzo ci sono morti di civili e di bambini, fuoco amico, bombardamenti e proteste contro i superiori.

La guerra è lì a un passo ma, a parte un paio di occasioni, sembra sempre lontanissima.
Emerge così la voglia – il vero bisogno – dei personaggi: uccidere.
Sono lì per uccidere e vogliono solo quello, come una mandria di adolescenti a cui invece di un giornale porno è stato messo in mano un AK47.

[youtube JM_SdpGDkQk]

Questa è la grande differenza rispetto a tanti racconti bellici visti sia in TV che al cinema: lo scontro con il nemico non è il momento che ogni soldato di leva vuole evitare, ma l’istante che ogni soldato professionista aspetta dal primo giorno di addestramento.
Il tutto raccontato con uno stile documentaristico, camera a spalla e via.
La freddezza con cui Generation Kill tratta i suoi personaggi e le loro azioni raggiunge un obiettivo non da poco: trasformare l’eroico soldato in un impiegato statale (quale di fatto è).
E allora ben vengano sette episodi in cui non succede quasi nulla, perché quel nulla pesa più di tanta adrenalinica cinematografia di guerra.

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