22 Febbraio 2011 1 commenti

Suspect Behaviour: lo spin-off di Criminal Minds di Marco Villa

Un pilot meno armonioso del faccino di Forest Whitaker

Copertina, Pilot

Diciamocela tutta, le serie partite in questo inizio di 2011 non sono state certo dei capolavori. A parte The Chicago Code, e, in misura minore Episodes e Mr. Sunshine, le parole d’ordine sono state mediocrità e riciclo. Poco o niente di interessante, tanto di già visto, a volte letteralmente, come nel caso dei remake di Skins, Shameless e Being Human. Alla bella lista, mancava uno spin-off e il 16 febbraio CBS ha pensato bene di tappare la falla con Criminal Minds: Suspect Behaviour, che i più scaltri di voi avranno già individuato come nato da una costola di Criminal Minds.

L’operazione è in tutto e per tutto simile alle esperienze precedenti realizzate dal network con i franchise CSI e NCIS, con l’importante differenza che in questo caso il titolo non è un acronimo. A parte questo, la trafila è la medesima: serie di successo facilmente replicabile, introduzione dei personaggi dello spin-off all’interno di un episodio della serie madre, riproduzione per partenogenesi, svezzamento della serie figlia. Ci troviamo quindi di fronte a una squadra dell’FBI che viaggia per tutti gli Stati Uniti, offrendo la propria consulenza in casi di crimini seriali. Il primo episodio è un grande classico di Criminal Minds: la scomparsa di una bambina e la conseguente corsa contro il tempo.

Data la totale fedeltà al meccanismo originale, la novità la danno i personaggi e gli interpreti. Se il legame è dato dalla presenza di Kirsten Vangsness, che interpreta la nerd in entrambe le serie, per il resto del cast gli autori hanno puntato su attori più fisici. Il caposquadra è Forest Whitaker, uno che riempie da solo lo schermo per possanza e carisma ed è l’esatto opposto del suo pari grado Thomas Gibson, pure carismatico, ma esclusivamente per doti intellettuali. Per assecondare questa linea, tutta la squadra è meno formale: via le giacche e cravatte, dentro giubbotti di pelle; via gli uffici di Quantico, dentro una palestra di arti marziali; via la rigidità e le strette di mano, dentro abbracci e cariconi stile oratorio. Nel pilot questo cambio di rotta è fin troppo evidente, sottolineato con un cartello che anticipa l’inizio dell’episodio e che descrive la squadra come un nucleo autorizzato ad agire “fuori dalla burocrazia”. Il risultato finale è qualcosa di artificioso: nella frenesia di voler creare uno stacco e marcare una diversità rispetto al telefilm padre, si è creata una puntata troppo fredda e sceneggiata.

La forza di Criminal Minds sta nell’avere struttura e meccanismo ferrei, ma nel riuscire a far scivolare tutto senza che si scorga l’impalcatura scientifica costruita dagli sceneggiatori. Qui, invece, tutto è scoperto. È vero: è il pilot e c’era bisogno di motivare la necessità dell’esistenza stessa della serie. Qualche perplessità, però, resta. In sostanza, più che le storie e le trame di puntata, la buona riuscita dell’operazione dipenderà dalla credibilità del nuovo cast. Rispetto agli spin-off già citati di CSI, infatti, le caratteristiche dei protagonisti sono piuttosto diverse. Coraggioso, ma rischioso. Si vedrà. Per il momento, gli ascolti sono ottimi.

Giusto per chiudere, non posso fare a meno di segnalare l’invasione di attori provenienti da The West Wing nelle serie di queste settimane: dopo Allison Janney in Mr. Sunshine e Joshua Malina in The Big Bang Theory, in Suspect Behaviour è il turno di Janeane Garofalo (un’agente delle squadra) e – soprattutto – di Richard Schiff, l’indimenticabile Toby Ziegler, qui nel ruolo di direttore FBI.

Previsioni per il futuro: non serve la sfera di cristallo per dire che ci sarà un caso per puntata e labilissime trame orizzontali.

Perché seguirlo: perché Criminal Minds è una delle migliori serie crime degli ultimi anni, capace di non stancare dopo sei stagioni di soli serial killer. Un po’ di fiducia, quindi, è d’obbligo.

Perché mollarlo: perché i dubbi su cast e personaggi sono consistenti e la faccia asimettrica di Forest Whitaker potrebbe non bastare per salvare la baracca.

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