18 Agosto 2011 3 commenti

Falling Skies – Finale di stagione di Diego Castelli

Salutiamo il dottor Carter e i suoi extraterrestri

Copertina, On Air

Cari serialminder, rieccomi!
Sono tornato dal mare, riposato, rilassato, palesemente ingrassato, ma anche pronto a rimettermi al lavoro.
Voi come siete messi? No perché guardate che tra poco sarà il degenero… A breve pubblicheremo il calendario di tutte le partenze, e potrete facilmente rendervi conto che tra un mese circa (dal 13-14 settembre) saremo sommersi dai telefilm. Giornate da bollino nero, se mi passate la metafora da traffico ferragostano.
Qui a Serial Minds cercheremo di stare dietro un po’ a tutte le novità, sacrificando buona parte della nostra vita sociale. Ma d’altronde non possiamo rischiare di farci scappare nuovi, potenziali capolavori telefilmici!

Nell’attesa dell’esplosione, vediamo di non rimanere con le mani in mano. Oggi (ri)parliamo di Falling Skies, la serie di TNT prodotta da Steven Spielberg, che è stata una delle novità più attese e poi discusse di questa estate. La prima stagione è terminata pochi giorni fa, quando ancora stavo spaparanzato in spiaggia. Tornato a casa, ho recuperato il doppio finale, e vale la pena di spenderci due parole.
Partita con grosse aspettative, la serie non ha incontrato favori unanimi. E quando dico “non ha incontrato favori unanimi” intendo che a molti è piaciuta, mentre altri l’hanno trovata una ciofeca colossale.
Siccome però voi sapete che io sono buono come le macine pucciate nel latte col Nesquik, mi va di difendere i poveri sopravvissuti dell’invasione extraterrestre.

Ecco, invasione extraterrestre. Quando si parla di fantascienza (e l’incontro con le civilità aliene è la fantascienza per antonomasia), si sa che gli appassionati sono più esigenti e agguerriti degli spettatori di crime o di drama femminili. E’ gente alla Sheldon Cooper, che se deve venire a farti le pulci parte direttamente da casa con le pinzette.
In questo senso, gli addetti alla promozione di Falling Skies ha fatto un errore comunicativo abbastanza grossolano: i primi trailer, così come le immagini promozionali, e potremmo dire anche la breve sigla iniziale, davano l’idea di un prodotto molto ricercato, probabilmente misterioso, volutamente innovativo. Ebbene, episodi alla mano (e fin dal pilot) ci siamo accorti che Falling Skies non è nessuna di queste cose. Non è una serie di JJ Abrams, bensì di Steven Spielberg. Benché questa semplice considerazione possa lasciare il tempo che trova – mi piacerebbe sapere quanta mano effettivamente c’è di Spielberg, considerando che il suo nome compare ormai su qualunque prodotto televisivo immaginabile, gli manca solo La vita in diretta – è un fatto che il regista di Indiana Jones era e resta uno degli autori-produttori più “classici” dell’audiovisivo contemporaneo. A Spielberg piacciono le storie semplici e comprensibili da tutti, l’intrattenimento che prima di tutto sappia, appunto, intrattenere. E sappiamo bene – lo dico con immensa stima per quello che ritengo tuttora uno dei migliori registi viventi – che non ha mai disdegnato un po’ di retorica vecchio stile.
Vendere Falling Skies come una specie di Fringe con gli extraterrestri non ha giovato al prodotto, perché ha finito col fare incazzare una fetta di spettatori che a quel punto si aspettavano legittimamente tutt’altro.

La mia difesa, dunque, non passa dall’affermare che Falling Skies è nuovo o addirittura rivoluzionario. Neanche per sogno. Non ha la pluridecennale creatività di Star Trek, o il meccanismo intricato e le grandi interpretazioni di Fringe, o ancora lo spessore mistico-filosofico di Battlestar Galactica. E non perché gli autori non siano stati abbastanza bravi. Semplicemente, la via scelta è un’altra: gli alieni sono arrivati sulla Terra, ci hanno fatto il culo e ci hanno sterminati quasi tutti, con pochi superstiti che cercano di tirare a campare e, magari, togliersi qualche soddisfazione contro l’oppressore. Bene o male, l’idea è quasi tutta qui, per gran parte degli episodi.
Il fuoco dell’attenzione, come era chiaro fin dal pilot, non è concentrato tanto sull’aspetto prettamente fantascientifico, quanto sulla componente umana e relazionale. Falling Skies parla di padri e figli, di gente che ha perso la propria casa e le persone che amava, di uomini che di fronte al pericolo e alla tragedia lottano fino allo stremo per quello in cui credono (o anche solo per portare a casa la pellaccia). Inutile dire che l’impronta è chiaramente “americana”, in un senso anche dispregiativo: una retorica della ribellione, dell’indipendenza, della difesa di certi valori che è una costante della narrazione audiovisiva statunitense praticamente da quando il cinema è stato inventato. Che poi è anche ciò che fa incazzare tutto quel pubblico che vorrebbe storie più originali e approcci stranianti, e che non si può accontentare con semplici faide intra-umane e qualche accenno ai sentimenti degli alieni (perché va bene che Falling è classico, ma sa anche che il tempo dei mostri tutti brutti e cattivi e degli umani tutti buoni e coraggiosi è passato da un pezzo, ed è lo stesso Spielberg ad aver dato l’accelerata con film come E.T. e Incontri ravvicinati del terzo tipo).

In questo, il pregio di Falling Skies è quello di essere una serie onesta, che non finge di essere ciò che non è. Le fughe dal nemico, le sparatorie, gli inseguimenti e i dialoghi commoventi tra genitori e pargoli sono troppo numerosi: è evidente che non c’è la ricerca dell’originalità e della complessità a tutti costi.
Il giudizio, per coloro che ancora non hanno cambiato canale, deve basarsi allora sul raggiungimento degli obiettivi che sono stati apertamenti dichiarati. Ed è qui che Falling Skies diventa una buona serie, con un ritmo dignitoso, interpreti all’altezza, una regia e una montaggio piacevoli.
E comunque le idee interessanti non sono mancate (DA QUI IN POI SPOILER!!!). Penso soprattutto alla potenziale trasformazione dei ragazzi rapiti, al tratteggio di molti personaggi “stereotipati ma non troppo” (Pope, Weaver), alla patina storica e di strategia militare (anche se va detto che il background da professore del protagonista poteva essere meglio sviluppato).
Insomma, dieci episodi che, a mio giudizio, sono andati via lisci, lasciandomi ogni volta la voglia di ripresentarmi all’appuntamento successivo. Difficile dire se avrei trovato il tempo di seguire la serie in un autunno carico di House, Big Bang Theory e chissà cos’altro, ma per l’estate ha fatto il suo dovere.

Rimangono aperte alcune questioni, che potrebbero tramutarsi in grosse opportunità o, al contrario, potenziali problemi. Perché c’è una grande domanda che l’appassionato di fantascienza (ma anche lo spettatore meno esperto) si pone per buona parte della serie, alzando un perplesso sopracciglio: come diavolo è che ‘sti alieni hanno sbaragliato gli eserciti di tutto il pianeta, e poi non riescono a trovare e uccidere quattro poveri straccioni superstiti rintanati in una scuola elementare?
Una domanda che non è certo nuova per la fantascienza, da sempre brulicante di omini verdi capaci di viaggiare per distanze galattiche solo per essere sconfitti da umani armati di mitra, sassi e virus informatici da Commodore 64.
Falling Skies non ha ancora affrontato seriamente questa domanda. Può darsi che la risposta sia: “dovevamo pur scrivere qualcosa”, il che sarebbe oggettivamente poco soddisfacente. O forse, come molti dettagli di questa prima stagione sembrerebbero suggerire, la risposta è diversa, e passa attraverso altri quesiti. I piani degli alieni, infatti, sono diventati meno chiari col procedere degli episodi. Perché catturano i bambini e (forse) li trasformano? Perché costruiscono enormi strutture usando materiali di scarto trovati sul nostro pianeta (invece di, che ne so, usare chissà quale altra tecnologia a noi sconosciuta)? Chi sono quelle creature diverse, snelle ed enigmatiche, apparentemente più intelligenti, che abbiamo visto a partire da un certo punto in poi? Ok, sono i capi degli altri, grazie tante, ma quali sono i loro veri scopi? E perché mai gli alieni dovrebbero essere in qualche modo interessati a parlare con Tom, invitandolo sulla loro nave negli ultimi minuti dell’episodio conclusivo?

E’ nella risposta a queste (e altre) domande che si cela il futuro della serie. Potenzialmente, esse lasciano ampio margine per inserire quella creatività che molti hanno sentito mancare, tramutando apparenti leggerezze in colpi di genio. Allo stesso tempo, però, non può essere rotto il patto iniziale con lo spettatore, a cui è stato fatto capire che Falling Skies è prima di tutto una serie godibile, emozionante, e dallo sviluppo chiaro. Spezzare l’equilibrio con novità troppo complesse o, al contrario, con un appiattimento troppo banale, rischierebbe di scontentare tutti, proprio mentre si cerca di allargare una base di pubblico che, a giudicare dai dati di ascolto, è già sufficientemente ampia.

Vedremo cosa succederà. Io mi sono divertito, e sono persino riuscito a dimenticarmi che quello una volta era il dottor Carter, passato dallo stetoscopio al mitra senza neanche un addestramento degno di questo nome. Anche se rimango convinto che il capo degli alieni si rivelerà essere quel gran bastardo del dottor Romano



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