28 Novembre 2011 1 commenti

Arrested Development – La serie da recuperare a tutti i costi di Marco Villa

A cosa servono le pause se non a colmare delle lacune?

Allora, facciamo così: parto da Community, ma la pianto dopo due righe e non faccio spoiler. Nella prima puntata della terza stagione di Community, Abed va in crisi perché gli hanno spostato l’inizio di Cougar Town ed è così costretto a trovare serie vecchie per sostituirla. Ecco, ora siamo noi nella situazione del buon Abed: a gennaio Community non ripartirà e la serie migliore per elaborare il (momentaneo) lutto è senza dubbio Arrested Development.

Arrested Development è una serie andata in onda su Fox dal 2003 al 2006. Tre stagioni per un totale di 53 episodi. C’è poco da girarci intorno, Arrested Development è la quintessenza (ok, mi flagello per aver scritto quintessenza, che è roba brutta, seconda solo a chiamare New York “la grande mela”), dicevo, è la quintessenza della serie di culto. Grandi elogi dalla critica, fan entusiasti e gasatissimi, ascolti deludenti. Suona un campanellino? Esatto, come Community. Non è un caso che in tutte le interviste (meravigliose, recuperatele, tipo qui e qui) Dan Harmon, creatore dell’universo di Greendale, la citi come precedente cui ispirarsi, ma da cui cercare anche di allontanarsi, per evitare di fare una serie di nicchia e troppo diversa per essere nazionalpopolare.

Arrested Development racconta le vicende di una famiglia che piacerebbe a Wes Anderson. Siamo dalle parti dei Tenenbaum, in fondo, ma con meno nevrosi e dramma e tanta, tanta, tanta idiozia in più. La serie inizia con il patriarca della famiglia Bluth che viene incarcerato per frode, il figlio sveglio che tenta di tenere in piedi l’azienda di famiglia e tutti gli altri parenti che provano in ogni modo a perpetuare il loro vivere al di sopra delle possibilità. La famiglia Bluth è uno di quei mondi paralleli in cui non ha senso cercare verosimiglianza o tentativi di adesione alla realtà. C’è follia ed egoismo, componenti che rendono la serie divertentissima e allo stesso tempo anche cattiva, perché, è vero, fa parecchio ridere seguire le vicende della famiglia, ma a tratti fa anche pena vedere come gli sforzi dell’unico personaggio sano (Michael Bluth, interpretato da Jason Bateman, l’attore, non quello di American Psycho) vengano frustrati in nome del puro egoismo degli altri protagonisti.

Si tratta di una serie scritta in modo schizofrenico, in cui le vicende non vengono mai chiuse: capita che una puntata finisca con l’arresto di alcuni personaggi e poi la loro notte in cella non venga neanche mostrata, ma finisca per essere archiviata con un prologo in voice over nella puntata successiva. C’è uno sviluppo orizzontale in Arrested Development, ma c’è anche la volontà di fare un reset totale al termine di ogni episodio: due tendenze ovviamente incompatibili, che contribuiscono a dare alla serie un tono surreale che flirta con il nonsense. Risultato: eccezionalità, unicità, entusiasmo.

E poi gli attori: c’è un grande Will Arnett (Up all Night, 30 Rock) a interpretare il fratello più idiota, compatito anche dalla terribile madre per quanto è incapace di fare qualsiasi cosa; c’è Portia de Rossi (Ally McBeal) nella parte della ricca che si dà al volontariato e alla cause umanitarie per pura apparenza e c’è un fantastico David Cross (quello di The Increasingly Poor Decisions of Todd Margaret), improbabile marito della donna della riga prima, medico radiato dall’albo che cerca di reinventarsi attore con risultati devastanti. Arricchiscono la faccenda un giovanissimo Michael Cera (nome del personaggio: George Michael Bluth, chiamato costantemente George Michael – una cosa che, da sola, mi fa ribaltare costantemente) e Henry Winkler (sì, è Fonzie) nella parte dell’avvocato di famiglia.

Da qualche settimana Itasa ha iniziato a produrre i sottotitoli, in previsione di una ripresa della serie, prevista per il 2013 in streaming su Netflix. Il tempo per recuperare Arrested Development, quindi, c’è in abbondanza. E anche Abed sarebbe completamente d’accordo. E se lo dice Abed…



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