13 Agosto 2014 5 commenti

The Knick: Owen, Soderbergh e tanta altra roba di Diego Castelli

Tanti mezzi e grandi ambizioni per un medical storico dalle grosse potenzialità

Copertina Pilot, Pilot

The Knick Clive Owen

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Negli ultimi giorni gli appassionati di serie tv hanno sentito spesso il nome di The Knick, nuovo medical-storico di Cinemax, la stessa rete dell’apprezzato Banshee.
E il motivo di tale chiacchiericcio è che forse, malgrado i nomi coinvolti, non ci si aspettava una serie del genere all’8 di agosto. Come dire: ok, sappiamo che per gli americani “agosto” ha una valenza diversa rispetto agli italiani che partono in macchina con la lasagna in borsa e i braccioli già gonfiati. Però insomma, è sempre un momento di relax e questi invece tirano fuori un prodotto di tali ambizioni.

Perché The Knick di ambizioni ne ha parecchie.
Prodotta e interamente diretta Steven Soderbergh, e interpretata da Clive Owen (ennesimo prestito del cinema alla televisione), The Knick racconta le vicende del dottor John Thackery, geniale chirurgo che si ritrova a guidare il reparto di chirurgia del Knickerbocker Hospital nella New York del 1900. Compito prestigioso e difficile, lasciato libero dall’ex capo di John, che dopo l’ennesima operazione fallita si è sparato un colpo in testa. Giusto per far capire la pressione.
Il contesto storico, evidentemente, non è secondario: l’ospedale che dà titolo alla serie è considerato all’avanguardia nel mondo della chirurgia, ma ai nostri occhi da ventunesimo secolo potrebbe quasi sembrare una macelleria. La difficoltà di far quadrare i conti si accompagna alle innovazioni tecnologiche, così come le grandi aspirazioni conoscitive camminano di pari passo con una società piena di contraddizioni, in cui vecchio e nuovo si mescolano inesorabilmente, tra slanci poderosi e brusche frenate.
sala operatoria

Anche ad una visione distratta, superficiale, il pilot di The Knick si mostra subito estremamente ricco. Le scenografie maestose, gli esterni di grande respiro, la regia cruda e a volte persino morbosa di Soderbergh (artista tra i più poliedrici nel panorama cinematografico hollywoodiano) catturano lo spettatore e gli mettono in mano un prodotto che, banalmente, incuriosisce, stimola, aggredisce.
Le ricostruzioni assai dettagliate (e sanguinolente) delle operazioni chirurgiche di inizio Novecento hanno la doppia funzione di colpire emotivamente lo spettatore e offrirgli lo spunto per un continuo confronto con la medicina moderna, che anche il serialminder più “normale” conosce nei suoi tratti più semplificati grazie ad anni e anni di ER e compagnia bella.
In questo senso, la prima operazione è esemplare e setta l’intero mood della serie: un “semplice” cesareo, roba di tutti i giorni persino per Meredith Grey, che diventa invece una morte quasi certa per la donna incinta trasportata come un quarto di bue in una stanza per nulla asettica, osservata da decine di studiosi, con i chirurghi impegnati a gestire tubi e tubicini di dubbia provenienza senza uno straccio di guanti o mascherine.
D’altronde il pay off della serie recita: “La medicina moderna doveva pur iniziare da qualche parte”. Come a dire: perfino in un posto del genere.

Ovviamente, però, questa componente splatter è sì fondamentale per farci entrare in un modo vivo, pulsante e persino pericoloso, ma da sola non potrebbe bastare. Altrimenti sarebbe poco più che una puntata di Superquark.
La differenza, come sempre, la devono fare i personaggi, le loro storie e il loro vissuto. Da questo punto di vista, quella continua tensione tra pulsioni opposte rappresenta la vera anima della serie, e il suo protagonista ne è una chiara incarnazione: medico geniale, dagli altissimi ideali filosofici, eppure freddo, cinico, tossicodipendente.
Il mondo in cui si muove sembra tendere continuamente a nuove possibilità e nuovi traguardi (è lui stesso a sottolinearlo in un ottimo monologo al funerale del collega suicida). Allo stesso tempo, però, è un mondo grigio e corrotto, dove si muore per un nonnulla, dove le ambulanze fanno a gara per rubarsi i malati e intascare le percentuali, e dove i pazienti non vogliono essere toccati da un medico di colore.
The Kinck John

Ed ecco qui il secondo personaggio più importante: il dottor Algernon Edwards (interpretato da Andre Holland). Bravo, preparato, referenziatissimo, purtroppo per lui nero.
L’approccio di Thackery nei confronti del nuovo collega (imposto dalla proprietà dell’ospedale) è tutt’altro che banale: lui in prima persona non ha problemi col fatto che sia nero, non è razzista insomma, ma lo rifiuta sdegnoso semplicemente perché sarebbero i pazienti a non voler essere curati da lui.
Questa posizione, per quanto emotivamente irritante per noi spettatori di oggi, ha al suo interno una fredda logica commerciale che è difficile contestare del tutto, dato l’ambiente in cui il protagonista deve muoversi.
Ancora una volta, dunque, siamo di fronte a opposti che si respingono, alla brama quasi fisica di progresso scientifico contrapposta a quella che lo spettatore odierno non può che percepire come arretratezza etica e morale. E spendiamo qui una buona parola per la scelta di Clive Owen, che mi pare adattissimo a interpretare un Thackery carismatico-ma-non-simpatico.

A conti fatti, il continuo oscillare di storie, caratteri e situazioni alla ricerca di un punto di equilibrio tra queste tensioni contrastanti è il cardine su cui poggia l’interesse futuro per la serie. The Knick dovrà dimostrare sul lungo periodo di saper dare spessore e tridimensionalità ai suoi personaggi (come comunque ha già cominciato a fare, tra una botta di sangue e l’altra), senza per questo diventare troppo complicata o eccessivamente pesante. E dovrà essere in grado di approfondire in modo efficace gli interessanti temi messi in campo, andando oltre l’iniziale “to’, scannatevi sul negro”, che è certamente efficace per il pilot ma avrà bisogno di maggiore sviluppo.
Le buone premesse, comunque, ci sono tutte, per uno degli esordi più carichi di questa estate seriale 2014.

Perché seguirla: la ricca messa in scena, la regia potente, il cast azzeccato, la sensazione che la storia sia densissima di buoni spunti.
Perché mollarla: si potranno dire molte cose di The Knick, ma non che è una serie “leggera” (specie per lo stomaco).
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