7 Novembre 2014 7 commenti

Boardwalk Empire – Un grande film lungo 56 ore di Ray Banhoff

È finita Boardwalk Empire, una serie tv epica che non si può non vedere

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In collaborazione con Write And Roll Society

ATTENZIONE: CONTIENE SPOILER SUL FINALE DI BOARDWALK EMPIRE

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.
(Pavese)

Boardwalk Empire in Italia si è conclusa nel silenzio generale, col rammarico di quella nicchia di fan che si era conservata fino alla fine e non twittava non parlava non trovava nessuna pagina Facebook con dei meme sulla sua serie preferita. Potevate rendervi conto che la serie era meno seguita per la difficoltà nel reperire i sottotitoli il giorno dopo la puntata. Succede, a volte, che una serie tv abbia dei picchi verso il basso, in questo caso la colpa è della quarta bruttissima insopportabile stagione, che ha fatto disperdere una folla di curiosi che si era ammassata davanti agli schermi solo perché aveva sentito dire che c’era Steve Buscemi, quello di Lebowski e de Le Iene che faceva le sue mosse e tanti bang bang. Questo tipo di pubblico non può rimanere soddisfatto perché Boardwalk Empire non è propriamente una serie tv, ma piuttosto un film storico in costume lungo 56 ore che si sviluppa in cinque anni, come lo ha definito Scorsese in quella che è stata nominata come la puntata zero di questa serie ma che in realtà è un documentario che DOVETE vedere. Boardwalk Empire è cinema e non solo perché ha supervisionato e approvato tutto Martin Scorsese ma perché senza il lavoro degli scenografi, dei costumisti, dei direttori della fotografia non sarebbe stato il capolavoro che è.

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La vendetta, l’espiazione, la scelta. Questi sono i temi della quinta stagione e, ridiciamolo, qui non stiamo guardando una normale serie tv, qui siamo nel registro dell’epica, della rivisitazione storica (il proibizionismo, il crollo del ‘29, la nascita del crimine organizzato, l’industrializzazione e l’espansione dell’economia americana) e dell’antropologia e quando i temi in ballo sono questi i toni si alzano. Visto che stiamo parlando di epica possiamo anche dire che la vera protagonista della quinta stagione è la Morte. La pesissima, impronunciabile morte che però rende il tutto più veloce, più definitivo, più importante. Se devi parlare della vita, la morte ci sta sempre bene. A volte risolutrice (Chulky – perché il suo è in tutto e per tutto un suicidio e Richard che almeno smette di soffrire), altre fredda mietritice (Nelson – che non se la meritava una morte così ingloriasamente anonima), altre del tutto casuale (Mickey Doyle). Sì, se non l’avete capito muoiono tutti in questa serie. La Morte aleggia come un presagio fin da quando spuntano i ricordi di Nucky bambino. Quei sogni da cui si sveglia sudato e solo come un cane, quei sogni sono l’arrivo della morte che già aleggia nera su di lui e su tutti quegli che gli stanno intorno. Anche quelli che alla fine saranno rimasti vivi rimarranno dei mezzi morti. E qui una candelina la vorrei spegnere per il povero Eli, per il suo complesso di inferiorità nei confronti di Nucky e per la sua solitudine immensa che dura da tutta la vita. Siccome non so se sto scrivendo per un pubblico che l’ha vista tutta e la ama o per un pubblico che non l’ha mai vista ma vorrebbe iniziare cercherò di non disperdermi nelle mille sotto storie (che amo) e di rimanere sul filone principale.

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Boardwalk Empire si capisce solo guardandola per intero: gli ultimi tre minuti dell’ultima puntata spiegano tutto e la parabola di Nucky spiega quella di tutti. La nuova classe dirigente di gangster che compare fino dalle prime stagioni (Lansky, Al – Scarface – Capone, Luciano) percorre il percorso iniziatico e spietato che la porterà a spazzar via i vecchi boss senza pietà e anche senza stile. I giovani sono sempre e solo cattivi e non possono mai avere rispetto per la vecchia guardia. Anche Nucky rappresenta il vecchio, ma non anagraficamente. Nucky gangster è sempre il migliore sulla piazza fino alla fine. È lungimirante, furbo, freddo anche quando perde tutto, quando gli ammazzano la donna, anche quando ha un plotone d’esecuzione davanti e riesce a salvarsi il culo offrendosi di uccidere Maranzano. Nucky tira sempre fuori un asso dalla manica, per forza è Nucky! Non è mai il gangster in lui che è in crisi ma è l’uomo. L’uomo Nucky è una vera mezzasega. Beve come una spugna, ha passato anni dietro a fighe di terz’ordine, fa scelte stupide sugli affetti e la famiglia.

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Boardwalk Empire come tutti i grandi drammi costruiti sulla sete di potere ci riporta a un topos classico: la scelta dell’eroe/antieroe. C’è un momento nella storia di ogni protagonista in cui il personaggio compie un’azione irreversibile. Nucky si autocondanna a morte più volte nel corso della sua vita, ma il gesto che segna la sua discesa verso il basso è nel momento in cui uccide Jimmy. In quel momento si spezza tutta la catena di affetti che lo rendeva minimamente umano. Jimmy andava messo a posto, era una vera testa di cazzo, ma era anche la cosa più vicina a un figlio che aveva. E non è un caso che Nucky trovi la morte per mano del figlio di Darmody. Distrugge ciò che ama e al tempo stesso distrugge se (Freud?). Nucky ha troppi conti in sospeso con quella famiglia ed è giusto che, come nei versi di Pavese, la morte venga da una donna e dal passato. Quando Nucky era ancora solo Enoch, il vice sceriffo bruttino (quell’attore li, Marc Pickering, è semplicemente perfetto) aveva una possibilità: restare un onesto pidocchioso morto di fame qualunque ad Atlantic City. Avrebbe avuto una famiglia, una vita dignitosa e sarebbe stato un altro ma Larghi sono i cancelli e comode le strade che portano alla tentazione (cit. L’avvocato del diavolo che cit. La Bibbia). Invece Nucky sceglie soldi e potere e diventa Nucky nel momento in cui obbedisce a un ordine immondo del commodoro pedofilo. Adesca Gillian ancora bambina, simile a lui, identica per estrazione (lei è orfana ma in un certo senso anche Nucky lo è visto che quel padre è quel mostro alcolista che lo caccia ogni volta e lo costringe in qualche modo per salvarsi a farsi una vita fuori dalla famiglia) e la consegna al commodoro facendola diventare la sua concubina a 12 anni. Si guadagna la stella di sceriffo giocando la vita di una bambina. E seppellisce anche la parte onesta di lui in quel gesto, rinunciando così alla redenzione e a una vita diversa.

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E pochi giorni prima di morire proprio da quella bambina viene una richiesta di aiuto e perdono. E cosa fa Nucky? Fa quello che ha sempre fatto in questi casi: sbaglia. Non si redime mai, mai, mai. é capace solo di essere triste e malinconico e di schiantarsi di whiskey ma non ha mai le palle di diventare migliore. Certo è carino, dolce, ironico, interpretato da un grande attore, ma la verità è che Nucky è un fallito, un uomo solo e vuoto e di conseguenza cattivo. Un uomo tanto intelligente da diventare il re del contrabbando di alcol e tanto coglione da lasciare una donna come Margaret. Insomma alla fine Gillian in manicomio chiede una mano a Nucky che va li solo per dirle: non cercarmi mai più. Ecco, il presagio di morte che uno ha avuto fino a questo momento guardando la serie diventa una certezza. Le hai distrutto la vita, le hai sparato in faccia al figlio come minimo ora devi morire (non che la pazza rossa fosse una santa visto che il figlio lo aveva a sua volta violentato e che poi si era messa a scopare e uccidere ragazzi identici a lui). e quindi niente, il nipotino porta la bilancia in pari e spara in faccia a Nucky, “Voglio morì come i’ babbo! come i’ Babbo qui! Qui!” (cit. Vitellozzo in Non ci resta che piangere) poco prima di avergli strappato delle banconote che lui gli aveva dato in faccia. In questo Nucky è odioso come tutti i padri ricchi che pensano di poter rimpiazzare i figli di soldi e non avere seccature. Nucky ha vissuto anche troppo, per lui sono morti in tanti, prima o poi doveva toccargli. Ciao.

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Detto questo mi pare di aver parlato troppo ma due parole le spendo lo stesso per la scena più bella dell’ultima stagione, il momento in cui Al Capone (l’immenso Stephen Granham di The Snatch e This is England) va abbracciare il figlio sordomuto prima di essere arrestato. È tutto così perfetto e intenso e reale che si commenta solo vedendolo. Per gli amanti del dettaglio, sulle scale del tribunale c’è un fotografo uguale in tutto e per tutto a Weegee, che in realtà non credo lo abbia mai fotografato e se non sapete chi è allora fatevi un giro su Google e godete. Ecco i dettagli storici di questa portata sono quelli che rendono grandiosa questa serie tv.
Ci sono altre due cose che ci tengo a dire in chiusura.
Uno. La canzone della sigla di Boardwalk Empire si chiama Straight Up and Down ed è un pezzo dei The Brian Jonestown Massacre: la band del pazzo tossico prolifico e geniale Anton Newcombe (quello che ha inventato il brit pop 10 anni prima che il brit pop nascesse) su cui andrebbe fatta una serie tv, ma per ora ne è uscito appena un documentario che ha vinto il Sundance Festival.
Due. Se vi è piaciuta Boardwalk Empire dovete leggere James Ellroy. Qualsiasi cosa di Ellroy. Non importa il perché, ma non ve ne pentirete mai. Cominciate da la Trilogia Americana, ovvero American Tabloid, Sei Pezzi da Mille e Il Sangue è Randagio.

 



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