17 Settembre 2015 32 commenti

The Bastard Executioner: da Kurt Sutter ci aspettiamo di più di Diego Castelli

Ok le aspettative alte, però qui c’è qualche problema

Copertina Pilot, Pilot

The Bastard Executioner (2)

 

ATTENZIONE: CI SONO UN PO’ DI SPOILER, NON UNA ROBA ECCESSIVA COMUNQUE

Perché aspettavamo The Bastard Executioner

Avete presente il concetto di “cavallo di battaglia”, giusto? Un cantante può aver inciso venti dischi, ma ci saranno sempre quelle 3-4 canzoni che tutti si ricordano e che non possono mancare da ogni concerto.
Ecco, anche Serial Minds ha i suoi cavalli di battaglia: serie su cui siamo più ferrati, che amiamo particolarmente, di cui i lettori ci chiedono il parere più spesso perché sanno di trovarci assolutamente pronti.
E ovviamente non parliamo di Game of Thrones, che a consigliarla son capaci tutti: no, è più bello quando riusciamo a suggerire qualcosa che il lettore non conosceva o che non aveva considerato, ma che una volta recuperata lo costringe a tornare qui a ringraziarci.
Ecco, da questo punto di vista il nostro principale cavallo di battaglia – per lo meno fra i drama – è Sons of Anarchy.

Adesso non stiamo qui a parlare di cosa sia Sons of Anarchy e del perché sia una serie della Madonna. Non è questa la sede, l’abbiamo fatto tante volte.
Il concetto è che: 1. SoA è effettivamente un capolavoro; 2. Il suo creatore si chiama Kurt Sutter; 3. Kurt Sutter ora ha prodotto, scritto e diretto una nuova serie per la stessa rete che trasmetteva Sons of Anarchy.

Quella serie si chiama The Bastard Executioner, e ovviamente l’aspettavamo come se la nostra vita dipendesse da essa.

 

The Bastard Executioner (1)

Di cosa parla The Bastard Executioner

Siamo nel Quattordicesimo secolo. Protagonista è Wilkin Brattle, un ex soldato che dopo aver avuto una rivelazione divina sul campo di battaglia ha deciso di abbandonare la spada. Il problema è che non può: i baroni inglesi governano i feudi gallesi con violenza e soprusi, e il nostro prova ad aiutare i ribelli come meglio può, sempre cercando di non uccidere nessuno. Quando però gli sterminano la famiglia e tutto il villaggio, la sua vita cambia per la seconda volta.

Nel cast, oltre al semisconosciuto protagonista Lee Jones, troviamo qualche vecchia conoscenza seriale come Stephen Moyer, ex vampiro Bill di True Blood; Katey Sagal, moglie di Kurt Sutter e già pedina fondamentale di Sons of Anarchy; Darren Evans, mitico e buffissimo chef di Galavant, e diversi altri.

The Bastard Executioner (3)

Un inizio terrificante e qualche problema strutturale

Ancora prima che mi mettessi a guardare il pilot, mi era arrivato un messaggio dal Villa: “I primi cinque minuti di Bastard sono lammerda”.
Cazzo, è vero. Nei primissimi minuti dell’episodio vediamo la conversione di Wilkin, che sul campo di battaglia vede apparire una giovinetta in abito bianco che gli chiede di cambiare vita. Tutta questa scena è orrenda: scritta male, girata in modo osceno, con una fotografia degna di un ragazzino che non sa usare i filtri di Instagram.
Fiato mozzato e paura fotonica: se è così per un’ora e mezza mi suicido.
Fortunatamente poi la faccenda migliora parecchio, anche se i quasi 90 minuti di pilot, purtroppo, mettono in evidenza una serie di problemi che non ci saremmo aspettati di trovare.

Per il momento Sutter crea un mondo più manicheo di quello visto in Sons of Anarchy, dove i protagonisti potevano anche essere considerati “cattivi”, per lo meno da un punto di vista legale. Qui invece è abbastanza chiara la divisione fra i contadini gallesi buoni, vessati dalle tasse e dalla violenza, e i nobili inglesi cattivi, sempre pronti a far sentire il pugno di ferro per mantenere il potere con la paura ben prima che col rispetto.
Fin qui tutto bene, ci sta. Il problema è che su questa struttura di base si montano singoli elementi che sembrano messi insieme un po’ a caso, senza una costruzione precisa e lineare. Penso soprattutto a tutti i riferimenti religiosi: la questione della conversione di Wilkin, la presenza nel villaggio di una sorta di strega pagana, in generale il respiro mistico che dovrebbe permeare l’intera storia, sono tutti elementi tagliati con l’accetta e buttati dentro in maniera frettolosa e un po’ dozzinale, come se ogni tanto, mentre sta raccontando di battaglie e insurrezioni, Sutter si ricordasse che “ah già, avevo detto che parlavo di religione, aspetta che metto la parola ‘Dio’ in bocca a un personaggio”.

Parlando di regia, dopo quei primi minuti la situazione migliora anche sensibilmente, e l’episodio dà il meglio di sé con certe truculente scene di battaglia. Anche qui però si vuole eccedere: evidentemente Sutter non si è ancora convinto, dopo il finale di SoA, che FX gli effetti speciali fighi non glieli dà, e quindi anche con Bastard vediamo un po’ di scene potenzialmente molto belle ma rovinate da teste mozzate che sembrano fatte di cartapersta (se va bene).

A tutto questo si aggiunge un casting che funziona per metà: Moyer è bravo a fare il cattivo, probabilmente con quella faccia lì non dovrebbe fare altro. Anche diversi comprimari funzionano, e ho molto apprezzato la scelta di attrici non particolarmente belle: tra poco vedremo che un certo realismo insistito è forse l’elemento migliore della serie. Però poi ci sono anche buchi clamorosi: io spero che mi faccia ricredere, ma per ora il protagonista Lee Jones è niente più che un pesce lesso. Una faccia da idiota monoespressivo che non trasmette alcun carisma. Anche Katey Sagal mi sembra fuori parte come strega di paese, mi veniva da ridere a vederla con quei capelli lunghi e grigi, ma qui potrebbe giocare un ruolo importante l’immagine di Gemma Teller, che noi fan di SoA fatichiamo a toglierci dalla mente.

 

The Bastard Executioner (4)

Una cosa però funziona bene

Insomma, duole dire che non siamo messi benissimo. Però non è tutto da buttare, anzi, c’è un elemento specifico ma molto importante che è riuscitissimo. The Bastard Executioner ha la chiara intenzione di presentarci un mondo orribile, e ce la fa alla grande. Questa sorta di confine fra Galles e Inghilterra ci viene riproposto come un postaccio pericoloso e maleodorante, un luogo da incubo dove ogni speranza di vita felice è vana e stupida, dove la morte è sempre dietro l’angolo, e la tortura pure.

A salvare il pilot è soprattutto questo: che è cupo, oscuro, violento, marcio. Ci sono un paio di scene, l’assalto al villaggio e la scoperta dei cadaveri subito dopo, che potrebbero essere considerate gratuitamente sanguinose. In realtà, anche se un po’ di gusto puramente tamarro c’è sicuramente (e ci va pure bene), risultano coerenti con l’impostazione complessiva. Il barone dice che devono uccidere la moglie di Wilkin in modo tale che lui se la ricordi per sempre: e cazzo, gli fanno trovare il corpo senza vita con accanto il feto morto estratto dalla pancia. È una roba fortissima, repellente, ma che ci dà il senso del mondo in cui si muovono i personaggi. Diversi altri elementi concorrono a questo stesso obiettivo: il barone che si fa pulire il culo dal servo, il fatto che Wilkin stia per perdere il duello col nemico salvo poi farsi aiutare, le citate donne non proprio avvenenti, la scelta di mostrare denti marci e ingialliti anche in personaggi teoricamente “belli”, scelta assai coraggiosa per una serie americana. Coraggiosa come la decisione di inserire pochissima musica, che compare giusto alla fine e in qualche intermezzo battagliero, senza mai essere invasiva.

Come si intuisce, è tutto votato alla cancellazione dell’epica, tutto diretto a una sorta di esagerato realismo, se mi passate l’ossimoro. The Bastard Executioner non è una serie epica, né vuole esserlo: non sembra esserci alcuno spazio per la gloria, e anche il centralissimo tema della vendetta è raccontato in toni grigi e cupi, come se il rivalersi sul nemico assassino fosse una necessità fisica, un bisogno primario e nulla più, piuttosto che l’azione ragionata di chi vuole liberare un popolo dall’oppressione.

Se il pilot si salva dalla bocciatura e ci lascia qualche speranza per il futuro è perché riesce a mostrarci qualcosa di nuovo e potenzialmente interessante, lontano dal fantasy patinato di un Game of Thrones, ma anche dall’epica ribelle e mitologica di un Vikings. Niente sconti, qui è tutto orrendo, e benvenuti all’inferno.

 

The Bastard Executioner (7)

Cosa speriamo di vedere ancora e cosa vorremmo non vedere più

Dobbiamo dire una cosa in tutta onestà: se questa serie non fosse scritta da Kurt Sutter forse ci saremmo andati più pesante, e i difetti ci sembrerebbero anche più grandi di quello che già sono. Perché diciamolo, Bastard a tratti non funziona proprio, sembra povera e raffazzonata. Allo stesso tempo, è vero che pure Sons of Anarchy non eccelleva per regia ed effetti speciali. La sua forza stava in un racconto dai toni universali (non per niente si basava su Shakespeare) e in personaggi che pur dibattendosi in un piccolo sottobosco criminale riuscivano a giganteggiare come figure immortali. La speranza è che anche The Bastard Executioner riesca a trovare una strada simile e una coesione narrativa più precisa. Quella violenza, quel fango nero e oscuro che sembra intrappolare le vite di tutti i personaggi (nessuno escluso) è una buona base su cui partire.

Dall’altra parte, se sperare in un nuovo protagonista ormai non è più possibile, speriamo però che qualcuno si accorga che certe scene sono state girate semplicemente male, e che i toni mistico-religiosi hanno bisogno di più sfumature per apparire credibili e profondi. Una bestemmia qui, una preghiera lì e una ragazzina divina a cazzo di cane non bastano per dare spessore a quello che sembrerebbe essere un tema molto importante.

In ultimo, una richiesta proprio per lui, per Kurt Sutter: dopo aver interpretato Otto in Sons of Anarchy, un personaggio cieco e poi muto, pestato e umiliato, questa volta il nostro interpreta l’assistente muto della strega, una creatura sfigurata e malinconica che sembra giocare un ruolo assai importante (chi ha visto il pilot sa perché) nella costruzione del destino del protagonista. Kurt, perché sempre questi personaggi devastati dalla vita? Perché mai un bell’avvocato o un giardiniere col sorriso sulle labbra? Qual è il problema? Non è il caso di parlarne con uno specialista?

Perché seguirla: per il tono cupissimo e violentissimo con cui viene raccontato un medioevo atroce e pericoloso, e poi perché a Kurt Sutter dobbiamo una fiducia e una riconoscenza che non possono fermarsi dopo 90 minuti.

Perché mollarla: per alcuni difetti vistosi, di scrittura e di regia, che ci hanno lasciati francamente delusi.



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