1 Dicembre 2015 2 commenti

South of Hell – La serie horror firmata Eli Roth di Marco Villa

Mena Suvari protagonista di una serie tutta possessioni ed esorcismi

Copertina, Pilot

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La migrazione da cinema a tv è uno dei temi più interessanti di questi anni. Storicamente considerata una sorella povera a livello artistico e qualitativo, la tv è stata a lungo sfruttata dagli attori come una sorta di trampolino verso il cinema. Un passaggio a volte necessario per farsi conoscere. Sappiamo che da qualche anno non è più così: l’aumento vertiginoso del livello medio di qualità delle serie tv (soprattutto quelle cable) ha attirato nomi sempre più grossi del cinema. In primo luogo attori, come Matthew McCounaughey con True Detective, ma anche registi. Uno dei primi casi e tra i più eclatanti, quello di Martin Scorsese per il pilot di Boardwalk Empire. C’è però un genere a cui l’arrivo di registi cinematografici può dare molto e quel genere è l’horror: questa non è certo la più grande intuizione di questo mondo, ma una semplice constatazione, visto che un mesetto fa abbiamo parlato di Ash vs. Evil Dead di Sam Raimi e oggi siamo qui ad affrontare il pilot di South of Hell, serie tv nuova di zecca che porta il marchio di Eli Roth, il regista di film di pa-panicopaura come Cabin Fever e Hostel.

Roth ha firmato il primo episodio di questa nuova serie da 8 episodi, rilasciata in un’unica soluzione da WE Tv (che sta per Women Entertainment, canale di AMC storicamente femminile e in un momento di furioso rebranding). South of Hell racconta le strane vicende che succedono nella cittadina di Charleston, in Texas, posto in cui c’è la più alta concentrazione di chiese di tutti gli Stati Uniti. Come dire: per una parete grande ci vuole un pennello grande. La parete grande in questo caso è una apparente predisposizione della città per il male, con possessioni demoniache come se piovesse. Il pennello grande (in caso ve lo steste chiedendo: sì, sono orgogliosissimo di questa roba dellla parete&pennello) è una ragazza in grado di compiere incredibili esorcismi.

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Come fa? Facile, ha un demone dentro di sé, un po’ come andare all’estero con un’amica madrelingua: basta chiamarla e fa lei il lavoro sporco. La ragazza in questione si chiama Maria, la demonessa si chiama Abigail ed entrambe sono interpretate da Mena Suvari, nel nostro cuore dagli adolescenziali tempi di American Beauty e relativa pioggia di petali. Maria, insomma, è il tramite tra questo mondo e quello demoniaco ed è in questa condizione grazie/a causa di suo papà, santone di un culto esoterico che le ha impiantato la demonessa. Ora, la faccenda è presto detta: Maria e suo fratello tossico tirano a campare facendo un po’ i truffatori, un po’ i veri esorcisti, ma le cose cambiano quando un demone più malvagio degli altri inizia a guidare l’avanzata dei diavoli cattivi, che tornano in massa proprio a Charleston.

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Questa la trama presentata nel primo episodio, che può essere tranquillamente riassunta in: possessioni ed esorcismi. Punto. Come detto, South of Hell è una serie di genere e il fatto di aver coinvolto un (nuovo) maestro dell’horror come Eli Roth è la chiara dimostrazione di non voler in alcun modo innovare il canone. Proprio la presenza di Roth è uno degli elementi più positivi del pilot, perché il regista realizza una scena da applausi in cui le due protagoniste di uno scontro demoniaco camminano su tutte le pareti di una stanza come se niente fosse, ribaltando la nostra percezione in tempo zero. Minuti che valgono la visione del primo episodio. È però l’unica scena davvero degna di nota, perché per il resto si viaggia nella normalità: sì, c’è un bambino biondo pieno di possessione che inquieta, ma sarà il duecentesimo da quando ho iniziato a vedere film horror.

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South of Hell è una serie che non dà un grammo in più di quello che promette: volete possessioni ed esorcismi? Eccovi accontentati, con tanto di trovate low budget al limite del trash, come l’idea di colorare gli occhi dei demoni come se avessero dei semafori al posto dell’iride. Simpatici.

Perché seguire South of Hell: per Mena Suvari e perché è un classicone che più classicone non si può

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