5 Febbraio 2016 47 commenti

Lucifer – Ovvero Lucifero che si dimette dall’inferno e diventa poliziotto (davvero) di Marco Villa

Una serie tutta sbagliata, ma proprio tutta, tutta, tutta

Copertina, Pilot

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In questi anni è successo davvero poche volte che abbandonassi un pilot prima della fine: per dire, sono arrivato in fondo persino a Zoo, quello con gli animali con la pupilla ostile che si arrabbiano fortissimo. Non riuscire a chiudere i 45 minuti classici, insomma, mi sta parecchio sulle palle, ma a volte anche mezz’ora sembra lunga e appassionante come l’Eneide in greco antico letta da un balbuziente.

È questo il caso di Lucifer, nuova serie tv di Fox in onda dal 25 gennaio e creata da Tom Kapinos, già creatore di Californication. La storia ve la riassumo in una riga e vi giuro che è così, davvero, non sto facendo il cretino: Lucifero, l’angelo caduto che domina l’inferno, decide di prendersi una pausa dal suo ruolo e di arrivare sulla Terra, dove inizia a collaborare con la polizia per risolvere crimini. Sì, esatto, così. La prima cosa che mi viene da dire è un sonoro “complimenti” a Kapinos, perché farsi approvare una serie con un concept di questo tipo è come trovare la prova dell’esistenza del bosone di Higgs: praticamente impossibile. In realtà si tratta dell’adattamento dell’omonimo fumetto, spin-off nato da un personaggio di The Sandman, ma il punto non cambia molto.

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Detto della stima, si arriva al punto cruciale: Lucifer è tutta sbagliata. Ma tutta, tutta, tutta. È sbagliata per la durata, perché 42 minuti sono infiniti: una serie di questo tipo, così folle e surreale, finisce per essere pesantissima alla distanza, perché anche la follia ha bisogno di essere contenuta. A questo si aggiunge la scelta del genere crime, un genere stra-codificato e dotato di una sua grammatica specifica. Non è il primo caso di poliziesco stupido, pochi giorni fa abbiamo parlato di Brooklyn Nine-Nine e Angie Tribeca, ma in questi due casi l’elemento di indagine è molto, molto, molto sullo sfondo: c’è l’ambientazione del distretto, ma niente di più. In Lucifer, invece, la parte crime ha un suo peso e, soprattutto, una cifra drammatica: nel pilot, il nostro fallen angel deve affrontare la morte di una sua protetta e successiva indagine. Ovvio, non è CSI, ma è comunque indagine vera, con mini-mistero e colpevole da trovare, peccato che gli interrogatori vengano condotti con una leggerezza assoluta, ammazzando alla base la credibilità del crime. E torniamo al punto: se fai un crime di 40 minuti non puoi permettertelo.

Veniamo poi al personaggio, che in realtà è la nota meno dolente della situazione: il legame con Californication c’è ed è evidente, perché il buon Lucifer Morningstar è una sorta di Hank Moody versione demone chic. È chiaramente immortale, ha un forte accento inglese perché fa più old ed è elegantissimo. Tutte le sue battute contengono doppi sensi e riferimenti al suo essere non-umano ed è dotato pure di un superpotere che obbliga le persone a dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità. Quindi aggiungiamo un tassello: Lucifero che lascia l’inferno per diventare poliziotto con il superpotere della confessione. Siamo veramente a tanto così da God Cop, la serie fittizia inventata dal grande Jack Donaghy in 30 Rock.

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Un pasticcio totale, a cui si aggiunge una protagonista femminile di rara cagnitudine, per chiudere tutto con il fiocco. Una tragedia vera, in cui personalmente non riesco a salvare nulla, perché non siamo nemmeno nell’ambito del “talmente avanti da non essere compresa”, quanto nel “ogni fumetto possibile e immaginabile in questo momento va spremuto”. Il mio socio dice che secondo lui tra qualche puntata cambierà radicalmente perché non può essere tutta così. Me lo auguro, in caso qualcuno mi avverta, perché io per ora non ci provo nemmeno.

Perché seguire Lucifer: perché siete non solo amanti dell’assurdo, ma dell’assurdo fatto male

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