11 Gennaio 2017 15 commenti

Ransom – Abbiamo già una candidata per la peggior serie tv dell’anno di Marco Villa

Una serie procedurale vecchio stampo con il protagonista che sembra Gonzalo Higuain

Copertina, Pilot

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Una volta qui era tutta campagna e procedurali. Iniziava una nuova settimana e sapevi che per portare avanti il tuo sito di serie tv ti saresti dovuto sorbire un avvocato, un investigatore o un avvocato/investigatore strambo che risolveva un caso a puntata. Sto parlando dei primi tempi in cui è esistito Serial Minds. Poi il panorama è mutato: le serie sono aumentate a dismisura e sono anche cambiate: è diminuita la durata media delle stagioni e si è imposto un tipo di narrazione sempre più orizzontale, in cui magari resiste anche il caso di puntata, ma non più in modo super-meccanico stile modello CSI (e comunque avercene di CSI, anche se magari non Cyber). Poi, a volte, spunta fuori una serie che sembra arrivare direttamente dal 2011, fatta con il manuale delle serie mangia e sputa e con una caratteristica inconfondibile: gli attori sono tutti cani. Ma tutti tutti tutti, come in Ransom.

Ransom è una nuova serie tv in onda su CBS dal primo gennaio, creata da David Vainola e da Frank Spotnitz, creatore del recente e piuttosto brutto The Man on the High Castle. Ransom vuol dire riscatto e come potete abilmente immaginare, questa è una serie in cui si è di fronte a rapimenti e ostaggi. Il protagonista, infatti, è Eric Beaumont, il più bravo negoziatore che il signore iddio abbia mai mandato sulla Terra. Beaumont è a capo di un’azienda che si occupa di sbrogliare situazioni ad altissimo rischio e che viene chiamata dalla polizia o da privati cittadini quando non sanno più a che santo votarsi. Il personaggio principale è interpretato da Luke Roberts, che abbiamo già adocchiato in Black Sails e in un ruolo molto minore di Game of Thrones, ma che soprattutto è una specie di cugino di Gonzalo Higuain. Per questo motivo e per il fatto che possiede probabilmente lo stesso talento recitativo del bomber argentino, da qui in avanti chiameremo il suo personaggio Pipita. Per farvi capire le doti degne di Caprera di René Ferretti, vi mostro l’intenso primo piano con cui viene introdotto a noi spettatori.

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Il Pipita è un genio della negoziazione, uno che da piccoli indizi impercettibili per noi mortali capisce tutto. Come Sherlock, ma più intenzo ed emozionale. Infatti porta sempre con sé la foto sgualcita di una ragazza, che osserva con occhio malinconico appoggiato alle ringhiere dei balconi. È fatto così. Accanto a lui c’è l’esperto psicologo che traccia profili e che ovviamente psicologizza chiunque gli capiti a tiro con la profondità di un Paulo Coelho svogliato, mentre la parte dinamica e cazzuta è assicurata da una ex poliziotta che si butterebbe nel fuoco per il Pipita. Ma come entriamo noi in questo magico mondo? Ma ovvio, con l’espediente narrativo più scontato e sfruttato: l’arrivo di una nuova recluta. Trattasi di Maxine Carlson (Sarah Greene), ragazza che conosce a memoria tutti i libri della Scuola della Negoziazione (Istituto paritario riconosciuto) e che non vede l’ora di testare sul campo le proprie conoscenze. Cosa manca a questo quadretto di banalità? Il trauma, che viene portato sulle spalle dalla new entry e che riguarda proprio il Pipita. Pensate amici: la mamma della giovane è morta a causa di qualcosa compiuto dal nostro bomberone di razza. E la figlia va a lavorare con lui. Pazzesco. Che matto matto mondo quello dei negoziatori.

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Nel primo episodio assistiamo a un caso di rapimento infilato dentro una sparizione avvenuta anni prima, ma questi eventi, così come tutti quelli che verranno, non sono altro che piccoli mezzucci per far risaltare in modo piano e pacchiano i caratteri dei protagonisti. Un po’ come il sempre odiato Horatio Caine sfruttava morti e assassini per perfezionare il suo iconico gesto di togliersi gli occhiali da sole, così il Pipita sfrutterà rapiti e rapitori per mettere a punto la migliore sbottonatura della camicia bianca. Sì, perché come se non bastasse Gonzalo va in giro con la camicia aperta fino al quarto bottone, con tanto di pelame in libera uscita.

E sì, se sono arrivato a parlare della peluria del protagonista capite che questa serie non ha veramente nulla di interessante. Era da tanto che non vedevo un’inutilità di questo livello: è importante, ogni tanto, ricordarsi a quante e quali schifezze ci eravamo quasi abituati qualche anno fa.

Perché seguire Ransom: perché avete un trasporto morboso per le camicie sbottonate

Perché mollare Ransom: perché non potete credere che quella gif arrivi da una serie del 2017

Argomenti Crime, procedurale, ransom


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