6 Luglio 2017 3 commenti

Doctor Who 10 season finale – Come diventare buoni di Federico Guerri

L’addio (o quasi) di Moffat al Dottore

Copertina, On Air

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“Buongiorno, bambini. Benvenuti sul Pianeta Terra. Qua fa caldo d’estate e freddo in inverno. E’ un posto rotondo, umido e affollato. Passerete più o meno un centinaio d’anni qua sopra. C’è solo una regola che dovete seguire. Dannazione, dovete essere gentili”. – Kurt Vonnegut

ATTENZIONE, SPOILER SUL FINALE DI STAGIONE

La chiave per scrivere una buona storia del Dottore – dannazione, la chiave per scrivere ogni buona storia  – è mettersi di fronte a un vicolo cieco. Creare una situazione apparentemente insolubile e lasciare che i protagonisti, possibilmente feriti, allo stremo delle forze, in inferiorità numerica, ci facciano i conti. Far sì che il lettore non riesca ad immaginare come possano uscire da un problema di modo che, quando lo fanno, chi guarda gioisca due volte: la prima per l’eroe e la seconda per l’abilità dello scrittore.

Steven Moffat, showrunner di Doctor Who dal 2009, è un maestro quando si tratta di mettere il Dottore in difficoltà. Non sempre è stato così bravo da soddisfare il suo pubblico nel risolvere quelle difficoltà, ma questo è un altro discorso che, comunque, non si applica a “The Doctor Falls”, il finale della Decima Stagione di Doctor Who nonché episodio finale del ciclo Moffattiano (se non contiamo lo speciale del prossimo Natale).

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C’è una lunghissima astronave colonica, con la cabina di pilotaggio dentro un buco nero e la coda a chilometri e chilometri di distanza. Tutti gli umani in cabina sono scomparsi. Delle creature se li sono venuti a prendere dalle sezioni di coda e nessuno è più tornato.

L’astronave è il banco di prova di Missy (una splendida Michelle Gomez), la versione femminile della nemesi del Dottore: il Maestro. Missy è stata risparmiata dal Dottore che avrebbe dovuto eseguire la sua condanna a morte e che invece, di fronte alla sua richiesta “insegnami a diventare buona”, è divenuto suo carceriere e tutore.

L’ultima stagione di Moffat ha proprio qua il suo centro e la sua conclusione. Potrebbe intitolarsi, rubando il titolo a un romanzo di Nick Hornby: “Come diventare buoni”. La stessa nuova companion, Bill Potts, è un’allieva del Dottore non a caso ritiratosi dall’avventura sulla Terra nei panni del professore universitario. Ci si interroga continuamente su quale sia la natura dell’eroe, sulle sue motivazioni, su cosa lo spinga, settimana dopo settimana, ad affrontare l’impossibile, a rischiare la morte per l’umanità.

“Without hope. Without witness. Without reward”. Senza speranza né testimoni né ricompensa, spiega il Dottore a Missy. E’ questo che definisce l’eroismo. Ma qual è la motivazione?

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Sull’astronave lunga chilometri il tempo scorre in maniera diversa ad ogni piano. Più lontano dal buco nero, il tempo scorre velocissimo e si creano e distruggono intere civiltà. Più in basso, esistono colonie contadine dai mezzi limitati. In cima all’astronave gli umani si evolvono in Cybermen, cyborg perfetti con l’unica direttiva di eliminare la carne impura e trasformare tutti in altre macchine. Più in basso, il Dottore e i suoi hanno una notte per proteggere un accampamento di contadini da nemici che, nel frattempo, hanno interi secoli per pianificare la loro invasione.

Il Dottore è ferito, ha dalla sua un cacciavite colorato, qualche colono, la sua compagna ormai convertita in macchina e due incarnazioni temporali del suo peggior nemico, il Maestro (John Simm) e Missy, a mettergli i bastoni tra le ruote. E’ Alamo.

Ognuna delle incarnazioni moderne del Dottore è finita (e si è rigenerata) sotto assedio. Chi ama la vita diventa il nemico di chiunque la odi, di ogni dittatura e malvagità. Non ci si può opporre all’entropia se non con l’intelligenza e l’umorismo.

In questo, ogni finale di Dottore è una tragedia greca in cui conosciamo il destino del protagonista e, anche grazie alla bravura degli autori, passiamo tutto il tempo a sperare che “questa volta non sarà così”. Antigone muore. Romeo e Giulietta muoiono. Sono dati di fatto. Sta a Sofocle e Shakespeare e a chi li dirige farci sperare che questa volta, per una volta, le cose possano andare diversamente.

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Il Dottore morirà. Non sappiamo ancora perché. Sappiamo che lo farà da solo. Il Dottore è sempre solo alla fine. In questo caso, più che mai, visto che viene abbandonato anche dall’unico altro essere dell’Universo che gli è simile: Missy. E’ proprio di fronte a questo abbandono che spiega le sue ragioni, che Moffat ci racconta chi è il Signore del Tempo per lui.

L’Alice di carrolliana memoria faceva lo sforzo di pensare “sei cose impossibili prima di colazione”. Il suo era un esercizio alla meraviglia e all’inaspettato ma anche una lezione sul diverso. Il Dottore di Moffat ha negli occhi questo esercizio mentale. Dallo stupore bambino di Matt Smith al ghigno perpetuo di Capaldi, il Dottore è una creatura antichissima che non ha finito di stupirsi e di giocare con la galassia amando tutta la vita che c’è dentro. Che si fa eroe e salva la vita a più riprese non per vincere un gioco, non perché sia divertente o perché sia facile, non per dimostrare qualcosa, ma perché è “decent”. Per “educazione”, gentilezza. Perché fuggendo di fronte ai problemi qualcuno potrebbe morire ma restando, qualcuno potrebbe sopravvivere. Magari non a lungo, ma potrebbe.

“Who I am is what I stand. Where I stand is where I fall”.

Il Dottore è là perché può aiutare. Il Dottore è là perché, alla fine, se esiste una regola su questa Terra, è: “Dannazione, dovete essere gentili”.

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In questo senso, è il più grande degli umanisti. E’ il trionfo del pensiero e della vita laddove il destino del Maestro è negarla fino in fondo, fino a un gesto che annulla sé stesso, fino all’annientarsi da solo in un omicidio-suicidio temporale che è uno dei momenti più alti della puntata.

Non a caso il Dodicesimo è il Dottore che si ribella alla propria stessa rigenerazione, che si rifiuta di andare via in un finale di stagione che, per molti versi, e non contato il cliffhanger finale, è un finale di serie. O almeno di questa rigenerazione della serie. Il fatto che Capaldi vinca la morte (almeno fino a Natale) trovandosi davanti alla sua versione originale è il desiderio di Moffat di giocare ancora un po’ col personaggio prima di lasciare trono di showrunner e personaggio nelle mani di Chris Chibnall (Broadchurch) che gli darà volto diverso (in Inghilterra si scommette su Phoebe Waller-Bridge come primo Dottore donna) e atmosfere ancora da immaginare.

Magari assieme ad altre cinque cose impossibili, durante la colazione.



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