6 Aprile 2018 11 commenti

Legion 2 season premiere: pronti per nuove follie? di Diego Castelli

La serie Marvel firmata da Noah Hawley torna più ambiziosa che mai, può anche bruciarsi, ma noi le vorremo sempre bene

Copertina, Olimpo, On Air

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SPOILER SULLA 2X01

L’anno scorso, di questi tempi, era appena finita la prima stagione di Legion, e noi professavamo il nostro amore senza se e senza ma. Per chi si guarda duecento pilot all’anno (più gli episodi di tutte le serie che continua a seguire), la capacità di un nuovo show di stupire, di offrire qualcosa di nuovo, diventa molto presto un elemento assai importante del giudizio.
E cazzarola se Legion era nuova. Non mi voglio dilungare facendo pure il previously delle recensioni, anche perché c’è questa magia tecnologica per cui io posso mettere un link alle due recensioni dell’anno scorso e voi potete leggere quello che avevamo detto: una è qui, l’altra è qui.

Per quelli che, pigri, nell’animo, non vogliono fare nemmeno quei due click, spendiamo giusto poche righe: il motivo del nostro amore per Legion riguarda la sua (teorica) partenza come serie supereroistica, addirittura “serie sugli X-Men”, e la sua immediata trasformazione in un thriller psicologico e soprannaturale in cui il creatore Noah Hawley (lo stesso di Fargo) ha infilato una tale mole di creatività visiva e sonora, da rendere Legion una delle esperienze seriali più stranianti ed emozionanti della tv (seconda forse solo a Twin Peaks). Guardando Legion non si guarda una serie tv nel modo classico, seguendo una storia lineare che va da A a B a C con tutti i suoi passaggini chiari e limpidi in mezzo. No, con Legion i punti A, B e C esistono, ma sono nascosti sotto una montagna di sogni, incubi, visioni, follia e colore, che partono dalla schizofrenia del protagonista per allargarsi a qualunque altra cosa.

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Ci siamo? Ce la ricordiamo tutti?
Nel finale di stagione dell’anno scorso, dopo una battaglia quasi tutta mentale durata otto episodi, David riusciva a dividersi da Amahl Farouk, per gli amici Shadow King, che a sua volta finiva col possedere il corpo di Oliver Bird, che a fine episodio se ne andava in macchina con accanto Lenny. A parte il twist post-titoli di coda, in cui David veniva risucchiato all’interno di un misterioso globo fluttuante, l’impressione era che si stesse definendo un quadro più… ordinario, in cui i due principali antagonisti della serie sono effettivamente due creature distinte con due corpi distinti, e non un groviglio di coscienze all’interno dello stesso corpo.
Ovviamente, però, Hawley non ci sta a farci stare troppo comodi, perché la comodità (tanto dello spettatore quanto del protagonista) non è la cifra stilistica di Legion. Ecco allora un bel flashforward, 362 giorni di cui David non ricorda nulla, ma durante i quali sono successe cose parecchio rilevanti: su tutte, i suoi amici di Summerland sono finiti a lavorare con la Divisione 3, proprio allo scopo di catturare Farouk, che per non rimanere con le mani in mano sta spargendo nel mondo una specie di virus mentale che porta le persone a versare in uno stato catatonico dove l’unica occupazione è battere ritmicamente i denti producendo un suono oltremodo inquietante.

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La questione è insomma chiara: anche senza possessione simil-demoniaca, David non sta comunque benissimo, e ora ha in testa un buco di memoria di quasi un anno che è solo uno dei sintomi della sua malattia mentale, che ancora lo lascia vulnerabile a potenziali attacchi da parte dello Shadow King.
Intorno a David, intanto, i suoi amici hanno fatto carriera, diventando preziosi collaboratori della Divisione 3, e contribuendo anche a cambiare una certa visione pregiudiziale sui mutanti, che ora non sono più visti come un pericolo a prescindere, ma possono essere alleati nella lotta contro i cattivi veri.

Il tentativo degli autori, dunque, è quello di proseguire nel solco già tracciato dalla prima stagione: ci sono dei punti fermi della trama (che in questa stagione è, di fatto, un semplice “inseguiamo il cattivo ovunque si trovi”, concetto esplicitato anche da David a parole), che però vengono spostati, allungati, diluiti e nascosti da tutta la follia che ci sta in mezzo. E se l’anno scorso per lungo tempo non sapevamo proprio costa stesse succedendo, ora la situazione è leggermente più chiara, anche se Noah Hawley distribuisce una nuova dose di mistero, rivolta sia al passato che al futuro: i prossimi episodi dovranno chiarire cosa è successo precisamente nell’anno che David non riesce a ricordare, e soprattutto dovranno risolvere un quesito centrale per la lotta a Farouk: David infatti ha ricevuto la visita di una Sidney del futuro, che lo esortava ad aiutare lo Shadow King a trovare un corpo nuovo, cosa che per tutto il resto del pilot viene descritta come l’ultima cosa da fare. Facile immaginare l’indecisione del protagonista, che già di suo non può contare su una realtà precisa e definita a cui aggrapparsi.

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C’è un rischio, in tutto questo. La prima stagione di Legion fu una specie di atto di fede, un abbandonarsi al flusso delle immagini e dei suoni, senza nemmeno pretendere che avessero un vero senso, ma lasciandosi cullare dalla creatività come quelli che ascoltano i richiami delle balene per addormentarsi col sorriso sulle labbra. Questi atti di fede seriali, però, tendono a durare lo spazio di una stagione, alla fine della quale si tirano effettivamente le somme, e si riesce a vedere tutto con maggiore distacco.
Legion è riuscita a dare effettivamente un ordine al suo coloratissimo caos, puntellandosi su poche dinamiche chiare e verità condivise (l’oscurità dello Shadow King, l’amore fra David e Sidney), ma ora ci chiede un nuovo atto di fede, ci dice che anche questa volta ci fornirà pochi concetti e sviluppi chiari, intervallati da tonnellate di follia. Solo che ora la nostra posizione è diversa: ora che abbiamo visto la trama che c’è sotto, ora che siamo in qualche modo meno ingenui, è più facile che tutte le deviazioni che ci saranno nel mezzo ci appaiano per quello che sono, cioè appunto deviazioni, sprazzi di gioco e sperimentazione montati su una storia tutto sommato tradizionale.

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Non è un “difetto”, sia chiaro, e nemmeno un errore di Hawley. È semplicemente la conseguenza inevitabile di un esperimento visivo e sonoro che, modellato in serialità, è in qualche modo costretto a poggiare su basi solide e di lungo periodo, che però a loro volta possono spingere lo spettatore a desiderare, quasi suo malgrado, una narrazione più piena e definita.
Vedremo, per ora è solo una sensazione, che non arriva nemmeno a essere un suggerimento: Legion non deve normalizzarsi, altrimenti perde la propria identità, ma la sfida è mantenere salda quell’identità anche quando la natura stessa della narrazione seriale rischia di farla diventare stucchevole.

In questa premiere ci sono molteplici esempi dell’essenza onirica e caotica di Legion, e ognuno di essi potrebbe essere portato a esempio, a seconda della sensibilità di ognuno, di una rinnovata figaggine o di un possibile tracollo. Per esempio, certe ambientazioni della base della Divisione 3 suonano un po’ artificiose, inutilmente barocche, con quel cibo che scorre in mensa a beneficio di nessuno. E qualcosa si potrebbe dire dell’ammiraglio Fukuyama, che se ne va in giro con un cesto sulla testa e dei simil-stagisti con corpo femminile, baffi e pettinatura orrenda. Questi elementi hanno (o avranno) un senso nella narrazione complessiva? O sono lì a caso giusto per far scena? Sono domande che nella prima stagione nemmeno ci ponevamo, storditi dalla splendida cacofonia generale, e che ora sorgono un po’ più spontanee e minacciose.

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Accanto a quegli elementi in qualche modo problematici, però, ci sono perfetti lampi di genio che ci fanno ben sperare. Il ricordo della battaglia fra David, Oliver e Lenny in discoteca è perfetto: visto che Legion non è una tradizionale serie sui supereroi, anche lo scontro fra buono e cattivo non avviene in modo tradizionale, ma attraverso un pezzo di balletto/musical che riesce a essere effettivamente appassionante come una lotta, senza averne le caratteristiche più tradizionali.
Stesse buone sensazioni per il discorso sulla pazzia, che seguendo la voce narrante di Jon Hamm (il Don Draper di Mad Men, nuova aggiunta della serie) ci mostra tre diverse versioni del concetto, con la storia di Zhuang Zhou e della farfalla, il racconto di quell’uomo che voleva segarsi via una gamba che non sentiva più sua, e infine l’immagine dei due pulcini, uno sano e uno demoniaco, che escono da un uovo identico per dipingere futuri mentali diversissimi.
Soprattutto, applausi per la visita della Sidney dal futuro: con pochissimi accorgimenti – il mutismo, una semplice lucina come unico mezzo di comunicazione, l’illuminazione ondeggiante del volto di Sidney, ora invecchiato ora giovane – viene costruita un’altra scena perfetta, straniante e carica di mistero, che rappresenta il cuore di un episodio che svela molto rispetto al solito, ma si tiene qualche doveroso asso nella manica (e la qualità vera sta lì: nell’infondere creatività anche e soprattutto nei momenti narrativamente pregnanti).

Insomma, come sempre succede, le aspettative incredibilmente più alte rispetto alla prima stagione (anzi, grazie alla prima stagione) rendono la premiere di Legion una tappa importante nello sviluppo di una serie di altissimo valore artistico, ma che ora deve fare i conti con una programmazione di lungo periodo delle che impone riflessioni, paletti, nuovi punti di vista. Ma queste potenziali ombre non devono ingannare: Legion è ancora una perla rara della tv, e se è vero che lo sforzo di essere sempre diversi e creativi può anche portare a bruciarsi, ciò non toglie che chi si prende carico di quel rischio meriti rispetto ed entusiasmo.
E a fine stagione tiriamo le somme.
(Chiudiamo con Oliver e Lenny, intrappolati in una prigione mentale nemmeno così brutta: da loro ci aspettiamo molto)

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