27 Luglio 2010

La fantascienza dell'ignoto di Andrea Palla

Un viaggio attraverso le più grandi serie di fantascienza

In principio, come si suol dire, fu Star Trek. Era il 1966 ed il mondo fremeva alla visione delle prime conquiste spaziali, sognando di viaggiare per mondi inesplorati ed arrivare là dove nessuno era mai giunto prima. L’universo partorito dalla fantasia di Gene Roddenberry ha generato nel corso degli anni  un successo planetario fatto di serie, spinoff, prequel, sequel, film, videogiochi, che ancora oggi, a più di quaranta compleanni dalla prima apparizione dell’astronave Enterprise, non s’è ancora placato. Ma se è facile intuire perchè questo tipo di fantascienza potesse affascinare i nostri avi, più difficile è comprendere cosa possa stupire i nuovi telespettatori, abituati a vivere in un mondo dove non ancora tutto è possibile, ma ci si è davvero molto vicini. Al di là dell’evoluzione filmica che si è avuta, è davvero concreto il fatto che anche nelle tematiche del genere fantascientifico le cose siano mutate allo stesso modo? In effetti, a conti fatti, no: quello che oggi come allora incolla alla tv migliaia di appassionati è essenzialmente il fascino per l’ignoto, la sete di conoscenza, l’esplorazione di realtà parallele ed alternative non dissimili alla nostra, eppure lontane anni luce dal nostro modo di concepire il susseguirsi di eventi e concatenazioni.

Citando esclusivamente il versante spaziale, ed uscendo dal  franchise di Star Trek che già da solo ha generato sei differenti serie per la tv (compresa una a cartoni animati), basterebbe ricordare prodotti come Spazio 1999 (1973) o il recente Battlestar Galactica per raccontare come la conoscenza del mondo oscuro che ci sovrasta sia quanto mai vivo ed attuale. Universi differenti e alieni sono raccontati anche dal franchise Stargate, nato dal fortunato film omonimo del 1994 e declinato poi in quattro serie tv più o meno attinenti al concept originale, dove un viaggio attraverso un fantascientifico portale dimensionale metteva in serio pericolo l’umanità intera, minacciata suo malgrado da una presenza crudele di provenienza sconosciuta.

Ma il terrore che proviene da un nemico invisibile fu raccontato anche da altri prodotti di costume di estremo successo. Ai confini della realtà, andata in onda per la prima volta nel 1959, era una raccolta di episodi autoconclusivi legati da un unico filone: il racconto del terrore e dell’oscurità, attraverso storie che si barcamenavano tra il grottesco e l’irrealistico, ma inserite in contesti così normali da rendere il tutto tanto improbabile da risultare assurdamente vero. Lo stesso che accadeva in X Files, dove i detective Mulder e Scully – credente al limite del paradosso il primo, cinicamente scientifica la seconda – erano incaricati di indagare su casi ritenuti impossibili dall’FBI perchè contaminati da indizi che andavano oltre il reale, sfociando nel mondo dell’impossibile. Il serial di Chris Carter seppe mescolare humor e poliziesco, horror e fantascienza, racconto romantico  e adrenalinico, giocando coi temi del complotto governativo e del rapimento alieno con estrema nonchalance ed evidente passione di gioventù da parte del team di realizzatori.

Proprio la fantascienza degli anni ’60 deve aver influenzato gli autori moderni che, affezionati ai vecchi fumetti di quell’epoca, hanno riadattato ai giorni nostri quegli orrori e quei timori ai quali si appassionavano da bambini. E come non citare il re di questi nuovi autori, quel J.J. Abrams che con Lost ha costruito il più bel telefilm di fantascienza degli ultimi dieci anni? In questo caso non sono i pianeti inesplorati a coinvolgere gli spettatori, quanto piuttosto un’isola deserta all’apparenza del tutto terrena ma con segreti di natura ignota. Il nemico invisibile, anche qui, apre centinaia di domande, che insieme costruiscono un puzzle che lo spettatore stesso deve ricostruire insieme ai protagonisti.
Sempre Abrams, qualche anno dopo, ha inventato Fringe: un X Files più moderno e più sornione, che presenta alcune caratteristiche entusiasmanti, fra cui una buona dose di assurdo.

Il prigioniero (1967), comunque, è certamente  la summa dei telefilm in cui non ci capisce nulla riguardo a chi sia il cattivo. La storia inscenata e creata da Patrick McGoohan era la spersonalizzazione completa dell’uomo e del suo ruolo, e metteva di fronte il protagonista e lo spettatore ad un antagonista privo di scopi reali e totalmente carente di identità. Il gioco de Il prigioniero era scoprire come rispondere alle domande principali – chi, dove, perchè? – generando a sua volta nuovi interrogativi nella mente di chi ne seguiva le gesta. Una sorta di inno all’ignoto che diveniva matrice essenziale della storia, ribaltandone senso e funzione ad ogni nuovo episodio.

Ma la conta non termina ancora. Per citare altri prodotti che ribollono in questo immenso calderone, potremmo parlare di serie recenti come Supernatural, o Heroes, dove strani poteri dalla provenienza sconosciuta ribaltano le sorti di uomini e donne e ne condizionano il destino.

Comunque la si voglia intitolare, una buona serie di fantascienza deve contenere questa caratteristica fondamentale, come tutti i nostri esempi hanno dimostrato: l’ignoto. Ciò che ha sempre interessato lo spettatore, infatti, non è necessariamente scoprire la verità, quanto piuttosto saziarsi della stessa con i modi e i tempi più opportuni: uno sforzo mentale per comprendere quello che la natura non ci ha insegnato, come in un universo onirico dove tutto è possibile e non servono spiegazioni materiali per godere del piacere che la non-conoscenza sa offrire.

精子の運動能改善など、女性では、生理不順. シアリスのジェネリック服用レビュー 子供を産むか産まないかの選択は、他人が入り込むようなことではない.

I commenti sono chiusi.


CORRELATI