12 Ottobre 2017 4 commenti

The Mayor – Questa è la maxistoria di come un ragazzino diventa sindaco di Marco Villa

Per farsi promozione, un rapper si candida a sindaco, peccato che poi venga eletto davvero e diventi The Mayor

Copertina, Pilot

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Fino a qualche anno fa, sarebbe stata quasi fantascienza. Lo sconosciuto che si candida, butta tutto sulla provocazione, ma viene preso sul serio, in nome di quella assurda convinzione per cui nel “dire quello che si pensa” sia sempre più importante il dire del pensare. Black Mirror ci ha fatto vedere il lato più perverso e mediatico con Waldo, mentre le elezioni statunitensi ci hanno mostrato come si possa diventare presidenti con un approccio da giudice di un reality show.

The Mayor (ABC, dal 3 ottobre) è in fondo un’altra variazione sul tema, declinata in forma di comedy: nella parte di quello che dice le cose come stanno e che ha tanta voglia di fare c’è Courtney Rose, un ragazzo senza grosse qualità, se non un certo talento musicale. Proprio per promuovere la sua carriera da rapper, si candida a sindaco nella sua città, la californiana Fort Grey. Lui si aspetta un po’ di copertura stampa gratuita, ma i suoi slogan semplici e diretti fanno presa sull’elettorato, mentre l’ironia e l’abitudine al freestyle gli permettono di fare a pezzi gli altri candidati. Risultato: un ragazzino eletto sindaco.

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Il primo punto di forza di The Mayor è partire già nel bel mezzo del racconto: non seguiamo tutta la trafila che porta Courtney Rose ad avere l’illuminazione, poi i ripensamenti, poi la decisione finale eccetera. No, partiamo subito dal dibattito con gli altri candidati: la corsa è già iniziata e anzi, il traguardo è vicinissimo. Courtney è il tipico personaggio istintivo: in apparenza super-egoista, ma in realtà interessato agli altri. Courtney è bene interpretato da Brandon Michael Hall, capace di tenere un buon equilibrio senza cadere nella macchietta idiota o zuccherosa.

Intorno a lui si schierano due fazioni contrapposte, che in fondo sono il classico angelo e diavolo sulla spalla. I diavoli sono i due amici storici di Courtney, che vengono riadattati nelle improbabili vesti di assistenti, mentre gli angeli sono rappresentati dalla mamma (Yvette Nicole Brown, da Community) e Lea Michele, che interpreta una campaign manager determinata a fare carriera e qui infila il secondo ruolo in una serie atipica dopo Scream Queens.

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The Mayor è una serie intelligente, che non vuole essere rivoluzionaria, ma che punta anche a discostarsi dalla classica comedy. L’ambientazione governativa potrebbe far pensare a Parks and Recreation, ma la sensazione è quella di un’atmosfera meno surreale, per quanto lontana da qualsiasi forma di verosimiglianza. Gli attori funzionano, i dialoghi sono veloci, le battute non sono sono (quasi mai) telefonate. Non male, potrebbe diventare un piccolo cult, a patto che gli ascolti non eccezionali della premiere non rappresentino già una pietra tombale sul futuro della serie.

Perché guardare The Mayor: perché il cast funziona benissimo e non ci sono scivoloni

Perché mollare The Mayor: perché non è nulla di rivoluzionario

Argomenti comedy, rap, the mayor


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