14 Aprile 2020

Self-Made: la vita di Madam C.J. Walker – Netflix: un’occasione mancata di Francesca Mottola

Self-Made: la vita di Madam C.J. Walker ha una storia potentissima, ma una resa inferiore alle sue stesse potenzialità

Pilot

Ispirato alla biografia On Her Own Ground, scritta dalla nipote di Madam C.J. Walker, A’Leila Bundles, la mini serie targata Netflix Self-Made racconta la trasformazione di Sarah Breedlove – lavandaia di umili origini nella St. Louis del 1908 – in Madam C.J. Walker, prima donna nera a diventare milionaria negli Stati Uniti, fondatrice di una fortunata azienda di prodotti per capelli dedicati alle donne della comunità afroamericana.

Il titolo originale della serie, Self-Made: Inspired by the Life of Madam C.J. Walker, rende decisamente meglio l’idea rispetto alla traduzione italiana (La vita di Madam C.J. Walker). “Inspired” è la parola chiave: quella realizzata da Netflix è infatti una versione piuttosto romanzata – che non di rado scivola nello stucchevole – di una storia di grande potenza, che arriva sullo schermo sorprendentemente appiattita.

Durante i quattro episodi che compongono la serie, vediamo Sarah (Octavia Spencer) affrontare con risolutezza la spietata concorrenza femminile – incarnata dalla rivale Addie Monroe (Carmen Enjogo) – il maschilismo imperante e la condizione dell’essere una donna afroamericana con un sogno in apparenza troppo grande. I temi sul piatto ci sono dunque tutti, ma nessuno viene approfondito: invece che scavare in profondità, la serie diretta da Kasi Lemmons si accontenta di far scorrere davanti agli occhi dello spettatore in maniera frettolosa la concatenazione di eventi che portano Sarah a scalare la vetta del successo, senza mai fermarsi per approfondire intimamente i personaggi e le loro scelte.

Sarah per prima ci viene mostrata come un’imprenditrice determinata a tutti i costi a far avverare il suo sogno, ma non abbiamo accesso a nient’altro che racconti di lei, della sua vita prima dell’ambizione, della sua intimità. I personaggi secondari, come il secondo marito C.J. Walker (Blair Underwood), che le dà parte del nome, o la figlia Lelia (Tiffany Haddish), rimangono strumenti per l’ascesa al successo di Sarah, senza mai davvero acquisire tridimensionalità. I dialoghi risultano piatti e senza spessore: all’apice del successo il personaggio di Madam non riesce a spingersi oltre un: “Mi sembra di vivere in un sogno”, battuta che ben esemplifica il totale depotenziamento della storia originale.

In Self-Made sono assenti molti degli elementi che hanno reso Sarah Breedlove una grande donna – come l’incessante attività di filantropa – ma il vero problema è quello che appare sullo schermo, piuttosto che quello che manca. Mentre le linee narrative che meritavano un approfondimento vengono semplificate e addomesticate, viene posta l’enfasi su alcune storyline totalmente fittizie e di cui non si sarebbe per nulla sentita la necessità, visto il già notevole materiale di partenza, come l’omosessualità della figlia di Sarah, Lelia, e l’orgoglio ferito del marito C.J., messo in ombra dai successi della consorte.

La forma è un altro dei punti deboli di Self-Made: la regia e la fotografia non riescono mai a sganciarsi da un impianto di racconto profondamente classico, nonostante sia evidente l’aspirazione a una spinta contemporanea, testimoniata da una parte dalla colonna sonora ricca di richiami hip-hop e brani che sono parte dell’immaginario moderno, come Seven Nation Army degli White Stripes, dall’altra dall’inserimento di alcune allegorie visive discutibili. È il caso, ad esempio, del primo episodio, nel quale lo spirito “guerriero” della protagonista viene esplicitato con brevi sequenze in cui la vediamo sul ring, pronta a sfidare la rivale in affari a colpi di boxe. Questi tentativi di rendere più grintoso il racconto risultano piuttosto maldestri e fuori contesto, e soprattutto riportano al punto centrale della questione: la storia di Madam C.J. Walker sarebbe stato un racconto potente senza bisogno di ricorrere a particolari sovrastrutture, soprattutto nel momento in cui la forma dominante è canonica e tradizionale, quella di The Help o Selma, per dirla con due esempi cinematografici.

In conclusione, Self-Made poteva essere una bella occasione per riflettere su temi assolutamente caldi e contemporanei, onorando la memoria di una donna che ha fatto dell’American Dream l’arma con cui combattere (e sconfiggere) pregiudizi radicati in secoli di storia. Purtroppo questo non è accaduto, e a visione conclusa la sensazione è quella di un’occasione mancata.

Perché guardare Self-Made: perché la storia di Madam C.J. Walker è comunque molto potente

Perché mollare Self-Made: perché tono e linguaggio non sono all’altezza della storia



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