Daredevil: Born Again – Il ritorno di un eroe (con calma) di Diego Castelli
Dopo la fine delle sue avventure su Netflix, Daredevil sbarca su Disney+ per nuove sfide, pure quelle filosofiche
ATTENZIONE! SPOILER SUI PRIMI TRE EPISODI DI DAREDEVIL: BORN AGAIN
Pur all’interno di una reazione complessivamente molto positiva, dovuta anche alla conferma in blocco dei protagonisti principali, il ritorno di Daredevil su Disney+, dopo la fine della serie su Netflix, si portava dietro anche un timore: che su Disney il Diavolo di Hell’s Kitchen potesse diventare più puccioso e allegrotto rispetto alla versione oscura (e apprezzatissima) vista sulla piattaforma con la N.
Un timore che trovava conferma in certe dichiarazioni della vigilia, quando al timone dell’operazione c’erano Matt Corman e Chris Ord, che avevano sostituito gli showrunner delle stagioni 2 e 3, Doug Petrie e Marco Ramirez. Poi però la svolta, con Marvel che comunica la nuova supervisione di Dario Scardapane e la volontà di stare più vicino alle atmosfere viste su Netflix.
Ora che abbiamo visto tre episodi possiamo dire che sì, è la Daredevil che conosciamo, anche se proprio queste tre puntate, e in particolare la terza, hanno posto alcune questioni strutturali che vale la pena approfondire.

Daredevil: Born Again (in italiano Darevil: Rinascita) prende il nome da una famosa storia di Frank Miller e David Mazzucchelli, di cui però non è un adattamento diretto, ed è ambientata alcuni anni dopo gli eventi della serie di Netflix.
Quello che veniamo subito a sapere, in una prima scena molto concitata e ricca d’azione, è che Devil (sempre interpretato da Charlie Cox) arriva a uno scontro decisivo con l’acerrimo nemico Bullseye, che l’eroe riesce ad assicurare alla giustizia al prezzo però di un terribile sacrificio: muore infatti il suo migliore amico e collega Foggy Nelson.
In quel momento, l’avvocato Matt Murdock decide di appendere la maschera al chiodo e di tornare a fare il legale a tempo pieno: Daredevil: Born Again prende effettivamente le mosse un anno dopo la morte di Foggy, quando nel frattempo il temibile Wilson Fisk (Vincent D’Onofrio) è riapparso sulla scena e punta a diventare niente meno che sindaco di New York.

Le prime due puntate, ma in realtà pure la terza, sono attraversate da un tema comune che probabilmente sarà quello principale di tutta la prima stagione, composta da nove episodi.
Parliamo del percorso con cui i due grandi rivali, ognuno nel suo mondo e dalla sua parte della barricata, vengono spinti inesorabilmente verso le vecchie abitudini.
Matt vorrebbe fare solo l’avvocato e credere nel sistema, convinto di poterci lavorare da dentro senza più rischiare la vita sua e delle persone che ama. Allo stesso modo, e senza per questo essere diventato un “buono”, Fisk sembra voler effettivamente provare a conquistare e mantenere un potere legittimo, che si affidi solo in minima parte alla violenza e alla criminalità, al punto da frustrare pure la sua campagna, che in sua assenza ci aveva dato dentro eccome nella gestione della mala newyorkese.
Per entrambi, però, le cose si rivelano complesse. Il sistema che Murdock cerca di proteggere è così marcio e corrotto, e così instrinsecamente pericoloso, che è difficile pensare di fare la cosa giusta senza contemplare la necessità di doversi difendere con la forza. Dal canto suo, Fisk è convinto di poter essere effettivamente un sindaco capace e amato, ma gli ostacoli che trova sul cammino triggerano la sua tendenza naturale a risolvere i problemi col pugno di ferro.
Parlando di pugni, per tre episodi vediamo delle inquadrature ravvicinate sulle mani dei due protagonisti, e in particolare sulle nocche arrossate e graffiate. Possono mettere su tutti i completi che vogliono e usare tutta la diplomazia di cui sono capaci, ma l’azione cruenta continua a chiamarli con voce suadente.

È una buona idea. La tensione narrativa ma anche drammatica che trasuda da questo tira e molla, l’impressione costante che basti una scintilla ben piazzata per far esplodere la polveriera, tiene desta l’attenzione per tutte e tre le ore che abbiamo visto fino a questo momento, dando ai personaggi uno spessore quasi shakespeariano.
Il potenziale rovescio della medaglia sta nel fatto che, in tre episodi di Daredevil: Born Again, Darevil non si vede. O meglio, ci godiamo quel bel combattimento iniziale (in un piano sequenza mascherato e con forse troppa CGI, ma comunque di grande impatto), quando ancora Matt non si è ritirato, ma poi assistiamo a un vero e proprio drama che, nel terzo episodio, si trasforma in un legal thriller fatto e finito, quando Murdock difende in tribunale un vigilante incastrato da poliziotti corrotti.
Pur sapendo che il supereroe prima o poi arriverà, non sono pochi tre episodi (peraltro spalmati su più settimane) in cui quell’eroe non si vede. Non sto dicendo di esserne stato infastidito io personalmente (ne riparlo fra pochissimo), però nemmeno mi stupirei se qualche spettatore, magari arrivato direttamente qui senza passare da Netflix, si chiedesse “non dovrebbero vedersi dei supereroi in questa serie di supereroi?” (semi-cit.).

Fatta questa obiezione d’ufficio, necessaria per il genere a cui teoricamente la serie appartiene, dobbiamo poi dirci che il terzo episodio non è solo un legal thriller, ma è anche un bel legal thriller.
Nel trasformare la difesa di Hector in un ragionamento più complessivo sulla funzione, il ruolo sociale, e in ultima analisi l’accettabilità dei vigilanti, Murdock fa rientrare dalla finestra il discorso supereroistico senza bisogno di indossare il costume, affrontando questioni “adulte” che i fumetti Marvel hanno sviscerato più volte negli ultimi vent’anni.
La tensione del terzo episodio non è solo una suspense tribunalizia costruita con i normali trucchi del genere, ma anche un altro tassello sul percorso che (supponiamo) ricondurrà il protagonista alla sua seconda identità: nel difendere White Tiger, costringendosi a elencare le buone azioni svolte in favore della comunità, Matt sta convincendo noi, e forse sé stesso, nel fatto che Devil può ancora essere utile.

Nel finale del terzo episodio, White Tiger viene poi ucciso a sangue freddo da un killer che, a vedere la sua maglietta, potremmo scambiare per il Punitore. In realtà, ho forti dubbi che sia lui il colpevole, anche se sappiamo che il personaggio interpretato da Jon Bernthal ricomparirà effettivamente nella serie.
Di certo, però, l’omicidio del vigilante appena assolto potrebbe essere l’ultimo chiodo sulla bara delle pensione di Matt, la scintilla di cui parlavamo prima, perché l’impossibilità di fare giustizia rispettando la legge non potrà che solleticare i pugni di Daredevil.
Attendiamo di capire se tutto questo succederà al quarto episodio o all’ottavo, consci del fatto che finora se la sono gestita bene, ma a un certo punto vogliamo pure vedere le tutine.
Perché seguire Daredevil: Born Again: il lascito della Daredevil di Netflix sembra rispettato in pieno, e non possiamo che gioirne.
Perché mollare Daredevil: Born Again: se vi piace la Marvel cinematografica, Daredevil segue strade diverse.
