The Last of Us 2 – La recensione in anteprima e senza spoiler di Diego Castelli
Un po’ come nel gioco, la seconda stagione supera la prima in quasi tutto, con giusto una piccola obiezione
Lo scenario è questo: sei uno a cui piace guardare le serie tv di settimana in settimana, godendoti il viaggio e magari parlandone ogni venerdì dentro il tuo bel podcast. Solo che a un certo punto, Sky e HBO decidono di mandarti di botto tutti gli episodi in anteprima della seconda stagione di The Last of Us, una delle serie che più aspettavi nel 2025, e che debutterà su Sky e in streaming su NOW in contemporanea con gli Stati Uniti il prossimo 14 aprile.
Che fai?
E niente, cosa vuoi fare, te li spupazzi tutti in una volta sola, accettando che li guarderai in inglese senza sottotitoli e con gli effetti speciali ancora non finiti, per cui sai che a un certo punto qualcuno del cast reciterà davanti a uno schermo verde.
Perché sì, sarò anche uno di saldi principi, ma se mi metti sotto il naso la mela succosa io me la magno, e poi ne faccio una recensione in cui sarà complicato evitare gli spoiler, ma tanto voi sapete che, dopo questo primo verdetto, parleremo di tutti episodi di The Last of Us 2 dentro il podcast Salta Intro, per poi scrivere un punto finale più spoileroso.

Da videogiocatore di entrambi i capitoli di The Last of Us, mi porto dentro un’opinione che non credo sia condivisa dalla maggior parte dei suoi utenti.
Il primo capitolo, che molti considerano un capolavoro assoluto, è per me un ottimo gioco capace di creare una delle migliori sintesi di sempre fra linguaggio videoludico e cinematografico, ma non mi è mai riuscito di parlare di “capolavoro” perché ho sempre pensato che, per arrivare fin lì, gli mancasse un quid di originalità che non riusciva ad emergere in quella che, a conti fatti, era una storia di zombie (sì non sono proprio zombie, ma ci siamo capiti).
D’altro canto, il secondo gioco, che un tot di gente non apprezzò per motivi che non possiamo dire qui, perché sarebbero degli spoiler, è invece per me il vero capolavoro di The Last of Us: un gioco che, partendo da alcune scelte narrative molto precise, riusciva a regalare una storia così potente (e quindi già buona di per sé) da arrivare a influenzare le stesse meccaniche del gioco, trovando finalmente quell’originalità che mancava al primo.
Ebbene, magari non negli stessi termini e meccanismi, ma a me sembra che stia accadendo la stessa cosa con la seconda stagione della serie tv.

Per dirla semplice, che tanto oggi non posso dilungarmi in dettagli sennò mi infettano coi funghi e mi lasciano in un fossato, la seconda stagione di The Last of Us è superiore alla prima in quasi tutto.
Più azione, più suspense, più mostri, una storia con più mordente, passioni più esagerate, filosofia più articolata, riflessioni sulla natura umana che vanno oltre la semplice enunciazione di concetti da parte dei personaggi, ma che emergono direttamente dalla storia, dal vissuto dei protagonisti, dalle loro scelte, dai loro desideri.
Ottimo anche l’inserimento di Kaitlyn Dever, che segna una specie di ripetizione ribaltata delle dinamiche viste con il casting di Ellie.
Se Bella Ramsey non assomigliava per niente alla Ellie del gioco (con polemiche non del tutto campate per aria, considerando che la bellezza “tradizionale” di Ellie aveva un senso tematico preciso), ma riusciva a trovare una sua dimensione grazie a una bravura esagerata, Kaitlyn Dever fa il percorso inverso.
La sua Abby, personaggio importantissimo di questo secondo capitolo, aveva fattezze completamente diverse su console, al punto che Dever era considerata da molti… un’ottima Ellie. Ancora una volta, però la bravura la fa da padrone, e tutto quello che Abby deve trasmettere, viene trasmesso.

Se ricordate, qui a Serial Minds erano piovuti elogi per la prima stagione di The Last of Us, che confermo in toto: un’assoluta pulizia narrativa, due protagonisti in stato di grazia, una messa in scena senza difetti (19 candidature agli Emmy con 9 vittorie soprattutto nel comparto tecnico).
Con in più quel finale assolutamente struggente, con il rapporto fra Joel ed Ellie inevitabilmente incrinato dalla bugia di lui, che ha salvato la ragazza dalle sperimentazioni mediche al costo però di una carneficina di innocenti.
Inutile che vi dica che quella scelta e le sue conseguenze sono al centro di tutta la trama della seconda stagione.
Se vogliamo, quel primo ciclo aveva giusto lo stesso problema del gioco, cioè nessuna particolare originalità per un pubblico già abituato a un decennio e più di The Walking Dead, con però il guizzo dello splendido terzo episodio, che era quello che più si allontanava dalla trama dell’originale.
La seconda stagione mantiene tutti quei pregi e rilancia praticamente in ogni aspetto. Non che non ci siano parti più riuscite e altre meno (la perfezione non è di questo mondo), ma nel complesso è un racconto calibrato al millimetro, che vi lascerà addosso sonore vibrazioni.

Se vogliamo trovare un unico difetto un po’ più vero e concreto, e francamente pure prevedibile, lo vediamo nella scelta tutta commerciale di dividere la storia del gioco in due diverse stagioni della serie, la seconda e la terza.
L’originale (uscito a giugno 2020, in piena pandemia, che a pensarci oggi fu piuttosto… preciso) ha una sua struttura e un suo sviluppo narrativo, che conduce a uno dei finali più belli che io abbia mai visto in un videogioco (ne riparleremo alla fine della terza stagione, immagino). Gli sceneggiatori della serie, ancora una volta capeggiati da Craig Mazin e Neil Druckmann, hanno lavorato bene nel tentativo di “riempire” tutti i sette episodi della seconda stagione, arrivando a un finale “di mezzo” che abbia una sua specifica forza e capacità di rilancio sulla stagione successiva (e ce li ha).
Tuttavia, pur rendendomi conto che la mia percezione possa essere molto diversa da quella di chi non conosce i giochi, ho sentito comunque una mancanza, non tanto del finale in sé (grazie tante), ma soprattutto mi è sembrato che questa divisione abbia impedito di inserire nella storia di quest’anno degli accorgimenti che le avrebbero assicurato alcuni dei maggiori pregi del gioco.

Va anche detto, però, che sono curioso di vedere come verrà gestita la stagione successiva, che potrebbe porre sfide diverse e soluzioni innovative.
Si tratta comunque di un dettaglio, che risulterà anche meno impattante per chi non ha mai preso un pad in mano: la seconda stagione di The Last of Us è composta da otto episodi pieni di emozioni, che potranno piacervi o meno, ma che non vi lasceranno indifferenti.
Il dettaglio spoileroso delle singole scelte lo rivedremo alla fine, tanto io mi sono fatto tutti i miei begli appunti, non avrei neanche bisogno di rivedere le puntate, anche se probabilmente lo farò per capire cosa c’è sullo sfondo in quelle due tre scene in cui io vedevo un telo verde.