9 Aprile 2025

1923 Finale di serie – Quella bella epica basic di Diego Castelli

1923, secondo prequel di Yellowstone, si conclude con un episodio-film che tocca corde primitive e semplicissime, e funziona

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ATTENZIONE! SPOILER SUL FINALE DI 1923!

Quando si valuta un prodotto culturale (serie tv, film, romanzi ecc), quasi ogni categoria di analisi si presta a una doppia lettura. Se un prodotto è complesso, potrebbe essere gustosamente complesso, oppure “troppo” complesso. Se ha un ritmo veloce, potrebbe essere perfettamente veloce, oppure confusamente veloce, e via dicendo.

Da questo punto di vista, sebbene gli studi, l’esperienza e l’atteggiarsi a critico di sta cippa dovrebbero condurmi verso un generale apprezzamento per tutto ciò che è originale, stratificato, articolato (e spesso succede), devo ammettere che provo sempre una fascinazione istintiva e totalizzante per quei prodotti che scelgono di lavorare sui sentimenti e le passioni più semplici dell’animo umano, facendolo però con la padronanza tecnica del grande artigianato. Insomma, la roba che ti smuove le cose nel pancino, senza per questo sembrarti una soap di quart’ordine.

Il finale di serie di 1923, un episodio lungo come un film che chiude definitivamente il secondo prequel di Yellowstone, è esattamente questa cosa qui: un finale che mi smuove le cose del pancino, e che non mi fa comunque vergognare di essermi messo ad applaudire in più punti.

La trama di questo episodio può essere riassunta in una sola frase, e pure corta: il definitivo ritorno a casa di Spencer (Brandon Sklenar).
Di fatto, è dalla prima stagione che il nipote di Jacob (Harrison Ford) e Cara Dutton (Hellen Mirren) è stato richiamato a casa dall’Africa dove stava, per aiutare la famiglia ormai decimata a difendere la propria terra dalle volgari mire capitaliste di Donald Whitfield (Timothy Dalton), uno che non solo non ha a cuore alcuna tradizione o rispetto per un territorio che vuole trasformare in parco giochi per ricchi, ma che (giusto per non lasciare ambiguità) ama mortificare, umiliare, menare e, se capita, uccidere giovani donne reclutaTe dalla sua prostituta preferita, Lindy (Madison Elise Rogers).

Il ritorno a casa di Spencer e di sua moglie Alexandra, che nel frattempo sono stati separati e percorrono vie diverse per raggiungere il Montana, è diventato una specie di conto alla rovescia che ha dominato consapevolmente il resto della narrazione, creando una suspense che riguardava non solo l’effettiva possibilità che Spencer tornasse in tempo, prima della distruzione della sua casa e della sua famiglia, ma pure il fatto che riuscisse a tornare in generale.

Ebbene, Spencer a casa ci torna a la situazione la salva, ma con un ultimo importante prezzo da pagare.

Il finale di 1923 è un western vero, che comprende simboli classicisissimi del genere, come le sparatorie. Si spara alla stazione del treno dove Spencer è atteso sia da Jacob che dagli uomini di Whitfield, e si spara a casa di Cara, dove un manipolo di uomini a lei fedeli deve difendersi da un piccolo esercito mandato all’assalto con situazioni da puro Tex Willer: gente che sale sui tetti per avere una posizione sopraelevata, altri che si nascondono dietro steccati di legno e via dicendo.
Se vogliamo, l’unica differenza rispetto al western classico è il fatto che i cattivi arrivano in auto e non a cavallo, ma insomma, siamo lì.

Ma accanto a questa componente puramente umana, c’è anche l’elemento naturale e avventuroso a cui la serie ci ha abituato, soprattutto nel seguire le peripezie di Alex: la povera moglie di Spencer ne ha passate di tutti i colori in queste settimane, con un accanimento piuttosto feroce da parte della sceneggiatura, che le ha offerto dolori duraturi e gioie solo momentanee.
In questo episodio, dopo che il precedente l’aveva lasciata a morire di freddo in mezzo alla neve, con i suoi temporanei salvatori ridotti a cadaveri di ghiaccio, Alex non può più farcela da sola e ha bisogno del colpo di fortuna di Spencer che passa di lì, quando ormai il viaggio era quasi completato.
Ma il lieto fine tanto agognato è sporcato dal fatto che Cara non può sopravvivere all’ipotermia, non quando le sue mani e i suoi piedi sarebbero da amputare, e non quando il bambino che porta in grembo può sopravvivere a una nascita prematura solo grazie al sacrificio della madre che lo tiene vicino e lo allatta finché può, anche a costo della propria vita.

Si parlava di emozioni primitive e potenti.
Dopo aver costruito così a lungo la suspense relativa al ritorno di Spencer e Alex, la serie ci ha portati all’ultimo episodio in una condizione di totale nudità emotiva: non ce ne frega più niente delle sfumature, vogliamo solo vedere gli eroi trionfare e i cattivi perire.

Da questo punto di vista, troviamo soddisfazione in una battaglia finale che, da manuale di sceneggiatura, dovrebbe essere un po’ più complicata per l’eroe, ma in cui l’assoluta furia con cui Spencer cala sui suoi nemici (usando un fucile per elefanti che li fa volare via come foglie secche) è esattamente quello che sentivamo di meritare dopo tanto penare: Spencer, Jacob e Cara hanno già sofferto abbastanza, non ci serve altra difficoltà, e la “semplicità” con cui il figliol prodigo sgomina i suoi nemici, unità alla rapidità e alla freddezza con cui va a uccidere lo stesso Whitfield, quasi impedendogli perfino di parlare, rappresenta per noi una scarica di adrenalina, gioia e soddisfazione pressoché totali.

Stessa sensazione basilare e commovente che proviamo quando Alex e Spencer si reincontrano sulla neve, in un momento di amore e soddisfazione che poi verrà in qualche modo diluito e annebbiato dal sacrificio di Alex, ma che comunque ha il sapore della vittoria: tutto quello che succederà ad Alex dopo quel momento è una sua scelta, non un’imposizione, ed è questo ritorno alla possibilità di decidere per sé e la sua famiglia che rappresenta la vera vittoria di Alex, indipendentemente dal fatto che possa scattare il “vissero felici e contenti”.
Potrebbe sembrare che a trionfare sia stata la Natura feroce di cui la serie ha tanto parlato anche per bocca della defunta Elsa in voce fuori campo, ma non è così: Alex sopravvive a quella natura, riesce a dare alla luce un figlio che sopravvivrà, e ha ripreso in mano la possibilità di autodeterminarsi. Di fatto una vittoria su tutta la linea.

Ci sono anche altri dettagli che vanno ricordati. Sicuramente merita menzione il destino tragico di Banner (Jerome Flynn), che aveva deciso di lasciare Whitfield, disgustato dalla sua malvagità, ed era arrivato ad aiutare Jacob nella sparatoria al treno, salvo morire per mano dello sceriffo McDowell che in quel momento, ferito com’era, non aveva modo di capire esattamente cosa stava succedendo.
Banner ha avuto in qualche modo quello che si meritava, non poteva passarla completamente liscia dopo aver servito Whitfield così fedelmente, ma la sua ultima redenzione gli garantisce il rispetto di Jacob e, soprattutto, la promessa di questo circa la salvezza della moglie e del figlio.

Forse quella a cui va meglio di tutti è Teonna, che dopo averne patite di ogni trova una vittoria finale narrativamente ironica: si salva dal processo perché non c’è praticamente nessun testimone vivo che possa confermare i suoi crimini (poi il fatto che fossero davvero dei crimini è un altro discorso).
Compreso il destino tragico della ragazza, la sorella di Dexter Morgan qui diventata sceriffa prima l’aiuta e poi la lascia definitivamente andare, spalancandole le porte di una California in cui, probabilmente, Teonna potrà davvero rifarsi una vita dopo le angherie subite dalla peggior specie di bianchi: i religiosi cattivi.

Tutto questo succede, come detto, in un episodio della lunghezza di un film, in cui a ben guardare gli eventi non sono “così” tanti, e quello che conta sono un’azione e una suspense continue, fino a una liberazione finale in cui si salvano anche Jacob e Cara, cosa su cui non avrei messo la mano sul fuoco fino a qualche settimana fa.
Diciamo che salvare Harrison Ford e Helen Mirren è comunque un’affettuosa carezza per noi spettatori.

Così come una carezza è quel finale in cui ci viene detto che Spencer non si risposerà mai, pur avendo anche un figlio da un’altra donna, e sempre penserà ad Alexandra, al punto da immaginare un ricongiungimento spirituale dopo la morte, come un ballo elegante in cui i due potrebbero ritrovarsi.

Un passaggio abbastanza rapido ma che non aveva bisogno di molte altre spiegazioni, anche perché parte del futuro della famiglia è ovviamente già noto (il figlio di Spencer e Alex, nato in questo episodio, non è altro che il padre di John Dutton, il personaggio di Kevin Costner in Yellowstone).

In un periodo storico che sta segnando il ritorno in grande stile del western, fra prodotti più o meno riusciti ma improvvisamente tutti tesi verso il mito della frontiera e di una leggendaria tradizione americana forse infragilità in questi anni, 1923 ha azzeccato il tono giusto.

Per quanto il western abbia attraversato tante fasi della sua vita, tante atmosfere e anche tante sperimentazioni, c’è effettivamente qualcosa di molto profondo, molto umano, nel suo rapporto con la terra, la famiglia, l’onore, l’avventura.
Rinunciando a qualunque originalità fatta tanto per fare, 1923 ha deciso di raccontare e infine chiudere la sua storia ritornando proprio lì, al cuore di un Paese e di un modo di fare cinema e tv che chiama in causa emozioni grandi e slanci epici, grana grossa al servizio di concetti grossi.

Può anche non piacere, può perfino respingere. Ma io sono proprio contento di essere arrivato alla fine volendo bene a tutti questi maledetti vaccari d’altri tempi.
A posto così.



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