Daredevil: Born Again – Un ottimo antipasto di Diego Castelli
Il finale della prima stagione ha confermato più o meno tutti gli entusiasmi e tutti i dubbi dei primi tre episodi
ATTENZIONE! SPOILER SUL FINALE DELLA PRIMA STAGIONE!
Un ottimo antipasto. Decidete voi se concentrarvi sul concetto di “ottimo” o su quello di “antipasto”, ma è un po’ questa la sensazione che si ha guardando il finale della prima stagione di Daredevil: Born Again, una serie di Disney+ nata da una costola di una serie di Netflix, che ha cercato di mantenere una promessa fatta agli spettatori dell’altra piattaforma (“anche questa serie sarà scura e adulta come l’originale”), cercando di costruirsi un percorso completamente suo.
Un percorso che, proprio a simboleggiare la Rinascita del titolo italiano, dura nove episodi come i nove mesi di ri-gestazione di un eroe che doveva essere rifondato e ricostruito, non per essere chissà che diverso da com’era, ma per recuperare i fili del discorso e iniziarne un altro.
Praticamente tutti i dubbi e le previsioni che avevamo fatto dopo i primi tre episodi sono stati confermati, con la strana impressione che i difetti siano risultati contemporaneamente ingigantiti, eppure anche mitigati da altre scelte azzeccate.

Senza stare a ridirci tutto (l’articolo è ancora lì), possiamo riassumere quella prima recensione con due concetti. Il primo è la doppia parabola con cui Matt Murdock e il suo acerrimo nemico Wilson Fisk, teoricamente decisi ad abbandonare le vecchie vite di vigilante e criminale, finiscono inesorabilmente a ricalcare le vecchie abitudini, che sia per impossibilità di accettare una giustizia ufficiale corrotta e inefficiente, o per una brama di potere e controllo che l’ex Kingpin si porta dietro probabilmente dalla culla.
Il secondo concetto riguardava la rappresentazione in sé e per sé dell’eroe: consci che il Diavolo in tutina non poteva riapparire subito, perché Matt aveva deciso di abbandonare il suo alter ego, ci chiedevamo però quanto Daredevil effettivamente potesse rimanere fuori dallo schermo, in una serie che si chiama come lui.

Ebbene, la doppia parabola di cui si diceva è effettivamente la spina dorsale dell’intera stagione, nonché il motivo per cui questo primo ciclo di episodi può essere considerato un antipasto: nell’ultimo episodio, quando Matt ha scoperto che Foggy è morto su mandato della moglie di Fisk, e quando ormai Kingpin è completamente tornato sulla scena, con tanto di esercito privato, piglio mussoliniano e tenuta bianca da fumetto, Daredevil riemerge dall’oblio nell’ormai assoluta certezza che sia iniziata una guerra che non si può combattere solo in giacca e cravatta.
D’altro canto, questa prima stagione ha effettivamente centellinato la presenza di Devil, che compare “sul serio” in pochi episodi, e che nell’ultimo combatte pure a potenza ridotta, dopo il colpo di pistola subito da Bullseye per proteggere proprio Fisk, in un moto di eroismo da manuale di cui ovviamente il Punitore Frank Castle si stupisce molto.

Per quanto mi riguarda, è una prima stagione riuscita, anche se l’azzardo è stato evidente, perché di azione ce n’è effettivamente poca e di tutine ancora meno.
Il desiderio di tessere una grande tela drammatica che ricostruisse dalle fondamenta i personaggi, le loro motivazioni e i loro obiettivi, ha portato a un racconto di grande approfondimento psicologico (con anche qualche ridondanza qui e là, qualche “abbiamo capito raga”), capace di toccare toni e sapori diversi: avevamo già parlato, all’inizio, di un episodio molto legal, ma con l’andare delle settimane si sono sommate atmosfere piuttosto varie, dal thriller politico al poliziesco, dal noir al gangster movie.
Bisognava azzeccare più o meno tutto, per raggiungere un obiettivo un po’ subdolo ma mosso da buone intenzioni: “distrarre” gli spettatori con una buona storia che fosse sempre appassionante, senza fargli notare troppo che i supereroi non si stavano vedendo granché.
Anche se, naturalmente, piazzare un finale molto più adrenalinico, violento e guerresco, è stato un passaggio gradito e necessario.

Nel nono episodio stagionale, quando nell’ottavo Matt aveva avuto le prove del coinvolgimento dei Fisk nella morte di Foggy, non c’è più spazio per i dilemmi: Kingpin è tornato, il sindaco è diventato un dittatore pronto a dichiarare una legge marziale che serve solo a dargli più controllo sulla città, la polizia non esiste praticamente più, sostituita da una milizia privata di poliziotti corrotti e totalmente fedeli a (o spaventati da) il sindaco fascistone.
Per non sbagliare, se mai avessimo ancora avuto dei dubbi, Fisk uccide il capo della polizia, che si stava ribellando a lui, schiacciandogli la testa a mani nude davanti ai suoi ex sottoposti, in una scena splattar deliziosamente raggelante.
Va da sè, quindi, che pure sul fronte degli eroi non si può più attendere. Appena risvegliato dopo l’attentato, Matt chiede istintivamente di Karen, facendo piangere la povera Heather. Sorry, ragazza mia, ma finora s’è scherzato, ora bisogna tornare in campo e menare forte.
Così Matt torna Daredevil, Frank torna il Punitore, e insieme si lanciano in una battaglia in cui Matt vorrebbe evitare di uccidere la gente, ma in fondo sa benissimo che ad allearsi con Castle si finirà con lo sporcarsi davvero le mani.

È un finale potente, sanguinolento e fumettoso, non solo, o non tanto, perché ci fa vedere gli eroi/vigilanti, ma perché diventa manicheo: la lunga e attenta ricostruzione, pezzo per pezzo, della faida fra Murdock e Fisk, ci lascia l’impressione di un’impalcatura solida e soddisfacente, ma che è la base emotiva di una struttura che deve tornare semplice, da una parte i cattivi e dall’altra i buoni. Con tutte le sfumature che volete, ma con una divisione che ai nostri occhi deve tornare a essere netta, per amore di coinvolgimento.
Era “necessaria” un’intera stagione così preparatoria? Non ne sono del tutto convinto, mi resta l’impressione che le stesse dinamiche potessero essere raccontare in meno episodi, lasciandone più di uno per l’inizio dello scontro.
Anche se, naturalmente, il momento in cui Daredevil è pronto a combattere e radunare un esercito, mentre Kingpin siede su un trono e guarda dall’alto i suoi prigionieri, compreso lo stesso Frank, è un ottimo punto per far finire una stagione.

Ma se anche non era necessaria un’intera stagione-antipasto, quello che è stato fatto è stato “sufficiente” a renderla godibile. In questo caso sì, l’azzardo è stato grosso ma ha funzionato: Born Again è riuscita a essere effettivamente altro rispetto alla Daredevil di Netflix, e più che un contentino per i vecchi fan si è dimostrata una storia fatta e finita, orgogliosa di sé, ben organizzata in ogni sua parte.
Perfino quando desideravamo vedere più battaglie, non potevamo nemmeno liquidare come inutile o non appassionante quello che appariva sullo schermo, con il risultato di essere stati caricati a pallettoni per quello che verrà.
Tutto lascia pensare a una seconda stagione di fuoco e fiamme, e se ci verrà da alzarci in piedi e applaudire forte, dovremo ricordarci che la base di quell’entusiasmo stava tutta qui, in una stagione ambiziosa, rischiosa, ma che ha portato a casa un risultato non da poco: darci la certezza che Daredevil è tornato, ed è ancora lui, forse ancora più di prima.