The Four Seasons – Tina Fey, Steve Carell, serve altro? di Diego Castelli
The Four Seasons ripropone la storia di un film del 1981 per una gradevole commedia sulle relazioni incasinate
Nel traboccante calderone delle “serie tratte da qualcos’altro”, una delle divisioni da fare non è tanto fra quelle riuscite bene e quelle no, quanto piuttosto fra quelle in cui il materiale di partenza è molto famoso, e quelle il cui originale è poco conosciuto o dimenticato.
No perché sappiamo benissimo che, quanto più un film/romanzo/serie originale è noto e amato, tanto più la gente romperà le balle al suo remake.
E senza che questo sia un giudizio verso chi critica: è semplicemente un dato di fatto.
Piuttosto rilassante, quindi, che la serie di cui parliamo oggi sia effettivamente tratta da un film del 1981, un titolo però non così conosciuto, per lo meno in Italia.
Parliamo di The Four Seasons, commedia diretta dalla leggenda della comedy americana Alan Alda, che all’epoca ricevette quattro candidature ai Golden Globes e che oggi diventa una miniserie per Netflix.
Una miniserie che, non ricordandoci granché dell’originale, possiamo vedere a cuor leggero.

E anzi, se parliamo di leggende della commedia, beh, anche qui non scherziamo.
La nuova The Four Seasons è creata da Tina Fey, amatissima madre di 30 Rock, insieme a Lang Fisher e Tracey Wigfield, e il cast, oltre alla stessa Tina Fey, comprende altri nomi grossi, non solo della comedy: il primo è ovviamente Steve Carell, che dopo The Office torna alla commedia dopo qualche parentesi più drammatica. Ma poi anche Will Forte, Kerri Kenney-Silver (nominata a quattro Emmy per la buffissima Reno 911!) e Colman Domingo, arrivando anche a un interprete tutto italiano come Marco Calvani.
Insomma, un po’ di bella gente per raccontare la storia di un gruppo di amici, divisi in tre coppie unite dalla passione per le vacanze e le gite insieme, che vedono la loro unità minacciata da una notizia inattesa: Nick (Carell) vuole lasciare la moglie Anne (Kenney-Silver) dopo 25 anni di matrimonio e una figlia.
Le quattro stagioni del titolo sono le effettive quattro stagioni in cui si organizzano, per motivi diversi, quattro viaggi, durante i quali i protagonisti dovranno gestire quell’iniziale cambiamento e le sue inevitabili ripercussioni sulle altre coppie (un’altra coppia etero Fey-Forte, e una gay, Domingo-Calvani), la cui solidità verrà messa a dura prova.

Per certi versi, il peggior difetto di The Four Seasons è quello di non essere granché originale. E non perché derivi da un film ormai abbastanza dimenticato, ma semplicemente perché di commedie leggere a tema coppia, amore, matrimonio, ne abbiamo viste letteralmente a migliaia.
Contemporaneamente, però, questo può rappresentare anche uno dei migliori pregi della miniserie, che si presenta come un racconto fresco, veloce, godibile, che mette sul piatto diversi temi sempre di moda, senza per questo complicare eccessivamente la trama o confonderci con troppe sottostorie o sorprese forzate. In fondo sono mondi che conosciamo e che non ci richiedono un enorme investimento iniziale in termini di attenzione.
Una “gradevole commedia americana” è probabilmente la definizione migliore per un prodotto che non mira a rivoluzionare il genere, ma si propone di entrare nelle nostre case e nelle nostre teste in punta di piedi, gentilmente, ponendo domande interessanti senza per forza dare risposte nette, aprendo quindi una discussione che non vuole necessariamente concludere.

Da questo punto di vista, i fan di Tina Fey avrebbero potuto aspettarsi una comicità più graffiante, o magari più surreale. Quelli di 30 Rock sono stati anni di invenzioni eccezionali, follie deliziose, personaggi adorabilmente al limite del cartone animato.
In questo caso, però, Fey decide di rimanere più fedele allo spirito dell’originale e del genere in cui si inserisce. Per questo, se è vero che The Four Seasons si fa apprezzare per la sua delicata simpatia, a conti fatti funziona proprio per i suoi contenuti e per la carne che mette al fuoco: evidentemente diretto a un pubblico che abbia grosso modo l’età dei protagonisti, The Four Seasons racconta di crisi di mezza età, relazioni di lungo periodo che possono entrare in crisi, terapia di coppia ed esplorazione di nuove forme d’amore.
Nessuno dei personaggi viene (quasi) mai giudicato per le sue azioni, perché al centro del racconto c’è soprattutto la nostra umanissima imperfezione: nessuno qui sa esattamente quello che sta facendo, né può prevedere cosa proverà da qui a due giorni o cinque anni. La decisione di Nick, come un sasso lanciato nello stagno, crea un moto ondoso che porta tutti gli altri a farsi domande sulla vita e sulle proprie relazioni, domande che inevitabilmente arrivano anche a noi, creando una comunione quasi spirituale fra l’imperfezione di chi guarda e quella di chi viene guardato.

Al fondo di tutto, però, The Four Seasons reasta una light comedy, di cui assolve uno dei compiti più antichi e più belli: quello di farci ridere nelle nostre sfighe e dei nostri difetti, permettendoci di gettare una luce di zoppicante umanità su vite altrimenti oberate dall’ansia da prestazione (mai come nel nostro tempo, dove se non appari sempre bellissimo, sempre felice, sempre a posto, ti senti completamente emarginato dalla società di instagram).
Non è una visione “obbligata”: la vostra vita seriale non cambierà granché a prescindere dal fatto che decidiate o meno di guardare The Four Seasons. È però una miniserie consigliata, che si guarda in poco tempo (otto episodi da mezz’oretta), e che lascia in testa una certa sensazione di serenità d’animo, di leggerezza rispetto ai casini del mondo e delle relazioni con cui quasi tutti, in un modo o nell’altro, finiamo con l’avere a che fare.
Perché seguire The Four Seasons: una miniserie veloce, leggera, gradevole, ma con dei contenuti veri.
Perché mollare The Four Seasons: di davvero originale c’è ben poco.
