Andor 2×07-08-09 – Un saggio sulle dittature di Diego Castelli
Tre episodi per raggiungere il culmine della trasformazione di Star Wars
ATTENZIONE: SPOILER FINO ALL’EPISODIO 9 DELLA SECONDA STAGIONE
Oggi avevo in previsione tutt’altro articolo, ma il blocco di episodi 7-8-9 della seconda stagione di Andor, che poi è il penultimo blocco prima della fine della serie, si pone alla mia coscienza con una forza non ignorabile.
Poi probabilmente servirà un articolo finale sulla serie più adulta e realistica di casa Star Wars, ma settimana prossima non usciranno articoli perché sono via per lavoro, quindi passerà comunque del tempo.
Allora tanto vale immergersi per un attimo in tre episodi che, di fatto, sono diventati un trattato politico con un tema centrale molto importante, solitamente trattato da Guerre Stellari con la levità che ci si aspetta da una space opera fantasy per ragazzi, a che qui invece viene preso di petto e affrontato con la serietà dei giorni peggiori: la dittatura.

Sulla maturità e sul realismo di Andor abbiamo già detto più volte: una serie che prova a farci vedere il lato oscuro (scusate) di Star Wars, ovvero la sua anima più concreta, materiale, sporca, polverosa, burocratica. Quella insomma che di solito non viene illuminata dai colori sgargianti delle spade laser.
In questo contesto, la seconda stagione avvicina ulteriormente la vicenda di Cassian Andor a quella che sarà la sua fine (già vista nel film Rogue One), e lo fa raccontadoci non solo le gesta di un eroe suo malgrado, ma anche i piani segreti di un’imponente macchina politica e bellica come l’Impero, i sotterfugi messi in campo da chi, nei luoghi del potere, prova a supportare la ribellione, e soprattutto i grandi sacrifici che i soldati semplici di quella stessa ribellione, i partigiani potremmo dire, devono subire per un bene superiore.

Non uso a caso il termine “partigiani”.
Di questo blocco di tre episodi uscito mercoledì 7 maggio 2025, i più importanti sono l’8 e il 9. Nell’ottava puntata, sul pianeta Ghorman esplode una tensione che era stata costruita (non senza qualche lentezza di troppo, va detto) nelle settimane precedenti, che hanno rappresentato anni per i protagonisti.
La popolazione di Ghorman, che l’Impero ha usato come pedina in un gioco pericoloso che doveva portare all’appropriazione delle risorse del pianeta e allo smascheramento di una Ribellione sempre più organizzata, viene di fatto costretta a una sollevazione che l’Impero poi schiaccia nel sangue, con scene di grande pathos e anche una violenza fisica, materiale, che raramente si è vista dentro la saga.
Nel nono episodio, invece, si parla soprattutto delle conseguenze politiche di quel gesto, con la senatrice Mon Mothma (personaggio secondario dei film, di cui Andor ha invece ricostruito benissimo una vita segreta di grande epica e sacrificio) che punta a svelare le malefatte di un Impero che nel frattempo cerca di nascondere la polvere sotto il tappeto, mostrandosi come l’istituzione legittima e innocente, aggredita da un gruppo di estremisti.

Ebbene, come detto all’inizio, questi episodi rappresentano niente altro che un trattato sulla dittatura in salsa Star Wars.
Quello che vediamo all’opera non è un generico Impero malvagio che fa esplodere pianeti e si affida alle abilità di uno stregone con la maschera, è invece una perfetta macchina burocratica e tentacolare che non si limita a opprimere un popolo con la forza, ma ci tiene a costruire intorno a sé una precisa narrazione di legittimità.
Intendiamoci, in parte sono cose che abbiamo visto anche al cinema: il Palpatine che, da politico navigato, si adopera per creare problemi alla Repubblica al punto da convincerne i senatori a creare un Impero sotto il suo comando, è una storia che sta nello stesso campo da gioco.
E però, di nuovo, Andor porta tutto a un livello di realismo senza precedenti per la saga.

Entrambi gli episodi, in particolare l’ottavo, raccontano dell’insurrezione e delle avventure di Andor punteggiando la narrazione con le parole dei giornalisti inviati dall’Impero, che al pubblico della Galassia vendono una versione riveduta e corretta degli eventi reali, così da far credere che l’Impero sia la vittima e non il carnefice.
Nel nono episodio, gli interventi dei senatori favorevoli all’Impero, e il complesso piano formale con cui Mon Mothma, supportata da un altro grande personaggio starwarsiano come Bail Organa (ormai non più interpretato da Jimmy Smits bensì da Benjamin Bratt), cerca di prendere la parola e denunciare le malefatte imperiali mentre i tecnici e burocrati cercano di impedirglielo, ci fa risuonare alla mente le puntate di M viste a inizio anno, dove l’ideale gemello di Mon Mothma è Giacomo Matteotti (c’è pure una comune ridondanza di lettera M).
E questi richiami alla propaganda fascista trovano un’immediata, poderosa risonanza visiva nella scelta, comune anche agli episodi precedenti, di mostrare il rapporto fra Impero e popolazione di Ghorman come niente di diverso dal rapporto fra la Germania nazista e la Francia occupata all’inizio della Seconda Guerra Mondiale.
Dal comportamento delle truppe imperiali allo stile dei vestiti degli abitanti del pianeta, fino ad arrivare alla lingua locale che non è francese, ma lo sembra veramente tantissimo, il parallelismo è più che evidente e dichiarato, al punto che, quando nella piazza occupata dalla gente insorta, comincia a risuonare il crepitio dei blaster, quasi ci si stupisce di vedere dei classici laser in stile Star Wars, piuttosto che le care e vecchie pallottole di piombo.

Si potrebbe perfino arrivare a dire che questo parallelismo rischia di essere stilisticamente esagerato: nel tentativo di ammantare di realismo una storia ambientata in una galassia lontana lontana, si finisce col darle così tante caratteristiche del nostro mondo (dai suddetti giornalisti ai fucili da cecchino che sono solo versioni più colorate delle classiche armi terrestri), da far pensare che forse si è tirata un po’ troppo la corda, finendo troppo distanti dal mondo originario (ma sul tema che Andor sia o meno Star Wars, abbiamo già discusso).
E però, nel guardare gli episodi, ci troviamo di fronte a una sensazione di inevitabilità. Nel momento in cui Andor vuole essere la faccia reale di Guerre Stellari, diventa normale mostrare i veri lati nazifascisti di un Impero che, nella testa di George Lucas, ha sempre avuto anche quell’ispirazione.
Così come ha perfettamente senso che la Ribellione ci venga ora mostrata non solo nella sua componente di grande avventura ed eroismo (come succedeva con la vicenda di Luke Skywalker nel primissimo film della saga), ma anche nella più oscura e tragica dimensione del sacrificio, del sangue, della morte: i partigiani che hanno combattuto il fascismo non sono solo i partigiani che hanno vinto e sono sopravvissuti per raccontarlo, ma anche e soprattutto quelli che sono morti sul campo, osservati da amici e parenti che li hanno visti cadere e che hanno poi dovuto piangerne la scomparsa.

Ecco dunque che, a tre episodi dalla fine, Andor a già trovato il culmine del suo percorso: ha voluto mostrarsi come l’anima realistica di Star Wars, quella in grado di adattare quel mondo anche a un gusto più adulto e maturo, e l’ha fatto cercando consapevolmente un parallelismo terribile con la nostra Storia terrestre, che in termini di oscurità non ha nulla da invidiare a nessuno.
Ma non solo: con la messa in scena della macchina propagandistica dell’Impero, e con l’attenzione che la serie mette sulla necessità di conoscere le fonti delle informazioni che riceviamo e di conoscere tutti i possibili lati di una storia prima di decidere da che parte stare (quando si può effettivamente scegliere), Andor ci insegna anche qualcosa del nostro presente, un presente in cui i conflitti abbondano, così come abbondano i tentativi più o meno mascherati di ridurre quei conflitti a quadretti statici e binari, che ne neghino complessità, responsabilità e verità.
E poi dicono che sono solo serie tv.