Dept. Q su Netflix – Quel giallo scozzese che sta bene con tutto di Diego Castelli
Dal creatore de La Regina degli Scacchi, un giallo-mystery a cui è facile volere bene
In queste settimane ho visto diverse serie e miniserie di genere, di quelle che partono da un concept preciso, magari nemmeno troppo originale, e che vogliono diventare un intrattenimento godibile e rassicurante (se non nei toni, quanto meno nel formato) per un pubblico dello streaming che si sta progressivamente generalisteggiando, man mano che sempre più persone attivano abbonamenti e danno per scontata la necessità di avere accesso ad almeno una piattaforma.
Non parleremo qui di tutte queste serie, anche perché verranno recensite anche nel podcast Salta Intro che come sempre vi invito ad ascoltare ogni venerdì, ma bisogna certamente discutere di quella che mi sembra la migliore per distacco di queste settimane: Dept. Q, disponibile su Netflix.

Dept. Q è creata da Scott Frank, già sceneggiatore candidato all’oscar per Out of Sight e Logan, e co-creatore di The Queen’s Gambit, fra le serie di maggior successo di sempre per la stessa Netflix.
La storia, tratta dai romanzi dello scrittore danese Jussi Adler-Olsen, è abbastanza classica: un poliziotto di grande abilità e carattere difficile, reso ancora più scontroso da un recente conflitto a fuoco che ha ferito lui e paralizzato un suo collega e amico, torna in pista e si vede relegato alla guida di un nuovo dipertimento, il “Q” del titolo. La polizia vende questa novità alla stampa come una grande scommessa dedicata al recupero di vecchi casi al momento ancora irrisolti, ma in realtà è più un’operazione di marketing che rinchiude il protagonista Carl Morck (interpretato da Matthew Goode di The Good Wife e Downton Abbey) in uno scantinato polveroso in cui scartabellare vecchi incartamenti.
Ovviamente, però, il nostro Morck è troppo in gamba per non combinare qualcosa anche con il poco che gli viene dato: con il supporto di un’improvvisata gang di aiutanti (un assistente siriano che si rivela subito una spalla tanto utile quanto bizzarra, un’ex recluta che prova a riablitarsi dopo un crollo nervoso, e aggiungiamoci indirettamente la psicologa da cui Morck è in cura dopo la sparatoria), scova un caso ormai “freddo” che però potrebbe ancora essere risolto, e che diventerà il crimine principale di tutta la stagione.

Di base, Dept. Q è una buona serie perché riesce a lavorare molto sul caso poliziesco, senza per questo dimenticarsi di una caratterizzazione vera e di spessore dei personaggi principali e delle relazioni che li legano. Per dirla in altro modo, quelli di Dept. Q sono personaggi abili ma imperfetti, per i quali è facile simpatizzare, e a cui si finisce per volere bene sul serio,perché capaci di mostrare un’umanità che va oltre la mera funzione narrativa.
In più, è un prodotto con una dose precisa e calibrata di paraculaggine, che sa piazzare le frasi ad effetto nei punti giusti senza risultare stucchevole, che lavora di pancia sul vissuto dei personaggi per strappare momenti di commozione vera, e che usa il caso poliziesco per far compiere un vero percorso di crescita e redenzione dei protagonisti, ognuno per quello che gli serve, così da arrivare alla fine, dopo un tot di sorprese, lasciandoci con l’idea di aver seguito un percorso ampio, denso, con un bel respiro.
La prima stagione trasmette non solo la sensazione di aver seguito una storia avvincente, ma anche l’impressione di aver conosciuto della bella gente, un obiettivo che dovrebbe essere sempre scontato voler raggiungere, ma che non è così facile agguantare.

Se devo trovargli un difetto, al netto dei dettagli più minuti (per esempio c’è un cattivo, legato al caso di stagione, che ho trovato troppo sopra le righe per una serie che non vuole essere espressamente fumettosa e irrealistica), sta proprio nel suo formato.
Come mi insegnava qualche mese fa un mio insegnante in un corso di scrittura, il giallo puro tende a essere breve, perché una volta che hai il crimine, gli indizi e gli indiziati, poi non è che si possa menare per troppo tempo il can per l’aia, la gente vuole sapere come finisce e se ci ha visto giusto. Non è un caso se il giallo è uno dei generi più battuti dalla tv generalista fin dagli albori: perché è comunemente accettato e digeribile il fatto di avere un caso per ogni puntata.
Ecco, non avendo i casi di puntata, Dept. Q soffre almeno in parte di questo problema, con alcuni episodi centrali in cui si vede lo sforzo di inserire nuovi elementi, personaggi e dubbi, per ottenere otto episodi che probabilmente potevano essere sei, allungando e complicando inutilmente il brodo (stesso problema di un giallo ancora più puro come The Residence, divertente e creativa finché volete, ma anche capace di girare in tondo in più di un’occasione).

Va anche detto, però, che Dept. Q sembra conscia di questa sua debolezza, e prova a tamponare dove può, anche con buoni risultati: non credo sia un grande spoiler rivelare che la scomparsa su cui i nostri indagano si rivela molto presto un rapimento, con diverse porzioni della prima stagione dedicate a mostrarci la vittima nella sua gabbia, a chiedersi (e chiederci) perché sta lì e chi ce l’ha messa.
Allo stesso modo, anche il fatto che i casi siano effettivamente due e non uno (si indaga ancora sulla sparatoria che ha ferito il protagonista), aggiunge ulteriore varietà al racconto, senza dover rimestare sempre nelle stesse cose.

Al netto di questi piccoli inciampi e squilibri, comunque, Dept. Q resta una serie solida, classica nell’approccio ma anche molto personale e specifica nella sua “scozzesità”. Sa quali emozioni, aspettative e processi mentali vuole scatenare negli spettatori, e ci va dritta e senza paura.
Molto giallo, ma anche un po’ di thriller e mystery, con una spruzzata di comedy british che non guasta mai, e Dept. Q diventa un prodotto di facile accesso, gustosa visione, e un futuro che, in caso di rinnovo, non sembrerà né forzato né posticcio: un po’ come in Slow Horses, avrebbe assolutamente senso rivedere questa banda di abili sfigatoni alle prese con un nuovo caso.
Perché seguire Dept. Q: Per la sceneggiatura solida, ma anche per l’amabilità di tutti i protagonisti.
Perché mollare Dept. Q: se non vi piacciono i gialli complicati, Dep. Q a un certo punto richiede un’attenzione specifica per non perdersi i pezzi.
