23 Giugno 2025

The Waterfront su Netflix – Intrighi ittici dal creatore di Dawson’s Creek di Diego Castelli

Kevin Williamson torna nella sua amata North Carolina per un drama familiare con una spruzzatona di crime

Pilot

Il fatto di aver scritto “intrighi ittici” nel titolo mi fa pensare di aver già fatto il massimo, non solo con la recensione di The Waterfront, ma proprio nella storia di Serial Minds.
Detto questo, aspetterò ancora un altro po’ prima di chiudere baracca e burattini.

Anche perché comunque mi va di dire due cose sulla nuova serie di Kevin Williamson, che ha compiuto sessant’anni da pochi mesi e ha nel suo curriculum la sceneggiatura (proprio l’invenzione, diciamo) della saga di Scream, la creazione di Dawson’s Creek e quella di The Vampire Diaries.
Insomma, uno che qualcosina in vita sua ha combinato, sempre con un suo stile, con una sua voglia di appassionare e divertire, con un occhio di riguardo per il pubblico giovane e un amore sconfinato per la sua patria, il North Carolina, in cui ha dato lavoro a un botto di gente per anni, e in cui è tornato proprio per The Waterfront, che trovate su Netflix con la prima stagione da otto episodi.

Protagonisti sono i Buckley, famiglia molto nota nella loro cittadina sul mare perché proprietaria di un piccolo impero locale di pesca e ristorazione.
Malgrado la facciata, però, le cose non vanno bene: Harlan (Holt McCallany, che ricordiamo bene da Mindhunter) e Belle (Maria Bello) sono una coppia ancora legata ma piena di disfunzionalità, con lui che le mette un sacco di corna e lei che briga alle sue spalle per vendere terreni che lui non vorrebbe mai e poi mai lasciare qualcun altro; Cane (Jake Weary) è teoricamente l’erede delle fortune familiari, se non fosse che è un po’ scemotto e impacciato, ben lontano dal carisma e dal pragmatismo del padre; Bree (Melissa Benoist, ex Supergirl della serie di CW) è la figlia femmina, alcolista in riabilitazione con un figlio adolescente che può vedere solo sotto supervisione dei servizi sociali.
(Aspetta, in che senso Melissa Benoist madre di un adolescente? Cioè solo perché da Supergirl sono già passati die… ci… an… ni…)

E se non bastassero le magagne familiari, i Buckley sono alle prese con problemi finanziari piuttosto seri, da cui non riusciranno a uscire a meno di pericolosi compromessi: sono infatti invischiati in un giro di trasporto di droga, da cui sperano di ricavare un po’ di soldi senza clamore, senza insospettire le autorità, e senza creare tensioni con i criminali veri.
Tutti propositi che, come potete immaginare per il solo fatto che esiste questa serie, andranno presto a farsi benedire, trasformando The Waterfront in un drama con forte tinte crime, o forse in un crime con forte tinte drama.
Insomma, un po’ nel mezzo.

Kevin Williamson è una vecchia volpe della tv, uno forgiato dalle stringenti esigenze della televisione generalista (che deve trattenere i suoi spettatori di settimana in settimana, mica intrigarli giusto per due-tre sessioni di binge watching), ma anche un autore con uno stile tutto suo, non sempre eclatante o urlato, ma comunque riconoscibile.

La sua formazione generalista si vede in una sceneggiatura che alterna bene certe lentezze parlate del drama, con improvvise accelerazioni crime in cui la suspense diventa improvvisamente stringente, in cui la gente può morire da un momento all’altro, e in cui non mancano alcune sorprese anche strutturali, relative al sistema dei personaggi nel suo complesso e ai ruoli che ci sembrava di poter assegnare con sicurezza già dopo pochi minuti (non fatemi spoilerare oltre).
A questo bisogna poi aggiungere il ricorso pressoché costante ai cliffhanger di fine puntata, una tecnica del tutto normale e necessaria per le serie orizzontali con un episodio a settimana, ma spesso annacquata su Netflix, dove spesso si dà per scontato (sbagliando) che il fatto che il prossimo episodio sia già disponibile renda superfluo alzare il tiro sul finale di quello precedente.

E per quanto riguarda invece il suo stile specifico, in The Waterfront ci sono elementi di ironia a volte inaspettati (la goffaggine di Cane, la verve pazzerella di alcuni antagonisti), improvvise botte di splatter che in questo genere non si vedono spesso (ma che ti puoi aspettare dal creatore di Scream), e perfino una qualche sottile metatestualità, con personaggi che, nel loro parlare, sembrano quasi avere coscienza del fatto di avere personalità sbagliate per il ruolo che, da manuale, dovrebbero ricoprire in quel momento (succede, di nuovo, soprattutto con Cane, che sembra sottilmente capace di riconoscersi come personaggio di un drama che in un crime non ci dovrebbe stare).

The Waterfront è dunque una serie scritta bene, con criterio, con alternanza di ritmi e toni e con un buona capacità di non annoiare mai. Onesto intrattenimento, messo insieme da un abile artigiano televisivo.
Poi certo, al netto di quei guizzi e marche di stile di cui dicevamo, gli manca l’originalità vera delle produzioni più famose di Williamson, quelle che, ognuna a modo suo, hanno lasciato un segno vero nel genere e nel mezzo in cui si inserivano.

Ma il vero difetto, o forse dovremmo dire la mancanza, di The Waterfront, sta nella messa in scena: tutto estremamente scolastico, girato nella maniera più semplice possibile, con poco spazio per invenzioni visive, slanci creativi in fase di recitazione, o frasi ad effetto che vadano oltre il semplice srotolamento della vicenda.

È una serie tutta trama, in cui la storia è si avvincente, fluida e coerente, ma anche priva di slanci veramente memorabili. Non arrivo a dire che Williamson l’ha fatta con la mano sinistra, perché mi parrebbe ingeneroso, ma certo non ci ha messo proprio tutta tutta la sua abilità.

Quando tredici anni fa, più in carne e con ancora qualche capello in testa, andai in North Carolina e colsi l’occasione di girare alcuni speciali sui luoghi di Dawson’s Creek, lo feci perché quello era probabilmente il mio teen drama preferito di sempre, e direi che lo è tuttora.

Ecco, non credo tornerò in North Carolina per un altro speciale sui luoghi di The Waterfront, perchè il solco lasciato nella mia vita seriale da quest’ultima serie è decisamente meno profondo.
Tuttavia, dopo qualche settimana spesa a guardare altri drama mezzi crime magari pure più glamour, ma affetti da sceneggiature più faticose, zoppicanti, se non proprio noiose (Sirens, Better Sister, We Were Liars), diamo a Kevin quel che è di Kevin, e diciamo che The Waterfront punta soprattutto a divertirci, e tutto sommato ce la fa.

Perché seguire The Waterfront: per la sceneggiatura a metà fra drama e crime, scritta da uno che di televisione ne capisce.
Perché mollare The Waterfront: perché oltre a una storia che gira bene (che per carità, avercene) non c’è molto altro per entusiasmarsi sul serio.

PS non mi è venuto di metterlo nel corpo dell’articolo, ma voglio sottolineare un particolare: nelle altre serie recenti che ho citato fra parentesi, spesso la trama si regge sul fatto che certi personaggi mantengono dei segreti che però, alla prova dei fatti, non sono poi così meritevoli di tutto sto silenzio paranoico. In The Waterfront, invece, i personaggi che mantengono dei segreti lo fanno per motivi che ci appaiono molto validi. E voi direte: “ma non dovrebbe essere sempre così”? Certo, ma a conti fatti non succede proprio sempre, quindi quando le cose vengono fatte per bene, notiamolo.



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