6 Ottobre 2025

The Paper – Il sequel di The Office che, attenzione, non sfigura di Diego Castelli

The Paper fa quello che faceva The Office, senza pretese di rivoluzione, e con l’aggiunta di Sabrina Impacciatore. E funziona.

Pilot

Quando decidi di creare il sequel (o spin-off, o revival, quelle cose lì) di una serie o di un film che ha raggiunto i livelli del mito, ti serve un gran pelo sullo stomaco.
Anzi, possono servire due diversi tipi di pelo sullo stomaco.

Se già sai che il sequel non potrà mai venire bene come l’originale, e che questa operazione nostalgia è basata più che altro sul tentativo del network o piattaforma di attirare l’attenzione con un nome già conosciuto… beh, ti serve il pelo sullo stomaco, o un mutuo abbastanza aggressivo da pagare, per decidere che sì, tu sarai quello che darà vita a quell’inutile surrogato, che probabilmente attirerà insulti e sberleffi.

Se invece punti davvero a costruire qualcosa che abbia valore, ma che sai che inevitabilmente si scontrerà con la memoria di “quella serie indimenticabile”, allora anche tu hai il pelo sullo stomaco, ma di un tipo diverso, forse più genuino, ingenuo, sognante, affettuoso. E se poi sei proprio tu il creatore (o, in questo caso, l’adattatore americano) di quella serie indimenticabile, allora mi sa che il groviglio psicologico diventa ancora più arduo da comprendere, e forse è il caso di non approfondire oltre.

Fatto sta che Greg Daniels, già creatore della The Office americana, ma anche della successiva e meravigliosa Parks and Recreation, torna sul luogo del delitto con The Paper, ancora una volta una serie mockumentary che è dichiaratamente il seguito di The Office.

Dichiaramente perché c’è un personaggio in comune con la vecchia serie (Oscar, interpretato da Oscar Nunez), e perché parte del pilot viene speso proprio a ricordare la Dunder Mifflin, l’azienda specializzata in carta che faceva da sfondo alle vicende dello show con Steve Carell.

Ma pure il titolo, se vogliamo, è un omaggio: The Paper racconta ancora la storia di un ufficio, anche se ci spostiamo da un posto di lavoro qualunque alla redazione di un piccolo giornale di provincia, che è un’ambientazione un po’ meno comune alle persone normali, e molto più usuale, invece, per cinema e tv.
E proprio per questo la serie si chiama “The Paper”, un’espressione che in inglese può indicare un giornale (come abbreviativo di “newspaper”) ma che ovviamente indica anche “la carta”, che era l’oggetto del lavoro dei vecchi protagonisti.
Lacrimuccia, e proseguiamo.

Al centro di The Paper c’è la figura di Ned Sampson (Domhnall Gleeson), un personaggio per il quale Greg Daniels sembra essersi ispirato più alla Leslie Knope di Parks and Recreation, che non ai protagonisti delle due versioni di The Office: se David Brent e Michael Scott erano due capoufficio egoisti, vanesi, cringissimi, anche se con sfumature diverse (Scott risultava comunque più tenero, a modo suo), la Leslie di Parks era una donna mossa da un enorme misto di bontà, ottimismo, senso del dovere e delle istituzioni, in cui molta comicità scaturiva dal contrasto fra il suo voler essere una grande figura politica, e l’ambiente pigro, caciarone, dozzinale in cui si trovava a lavorare.

Con The Paper succede qualcosa di simile: Ned arriva nel giornale di provincia che in realtà è finanziato dall’azienda produttrice di carta igienica con cui condivide la proprietà (la carta igienica è la terza “paper” a cui si riferisce il titolo), e il suo obiettivo è quello di trasformarlo da giornalaccio pieno di notizie stupide e trash, a vero cuore pulsante della comunità di Toldeo, in Ohio. A costo di impiegare anche forze fresche alla prima esperienza col giornalismo, ma che abbiano voglia di contribuire sul serio.

E se questa è la premessa peculiare di The Paper, il resto è effettivamente The Office o Parks: un mockumentary in cui una troupe fittizia segue i protagonisti nel loro lavoro quotidiano, e una collezione di personaggi uno più stupido/folle dell’altro, con la possibilità, però, che fra gli interstizi comici e negli angoli del cringe, si nascondano anche storie per le quali valga la pena farsi battere un po’ il cuore.

Nel gruppone dei personaggi troviamo un po’ di tutto, dal reporter ormai anzianissimo e completamente dissociato dalla realtà, al corporate strategist che tiene i cordini della borsa, detesta l’entusiasmo di Ned, e passa il tempo a leccare il popo al megacapo dell’azienda; dall’addetto alla pubblicità privo di spina dorsale e innamorato di una collega, al già citato Oscar, che almeno inizialmente vorrebbe fare tutto tranne che partecipare a un altro documentario.

Ma da italiani non possiamo non soffermarci un po’ di più su Esmeralda Grant, l’ex editore capo del giornale appassionata di articoli clickbait, interpretata dalla nostra Sabrina Impacciatore. Un personaggio meraviglioso il suo, imbarazzante, iperbolico, largamente odioso nel suo costante tentativo di stare al centro dell’attenzione, fatto apposta per far esplodere tutta la verve comica della comica nostrana, che dopo il successo americano ricavato con la stagione italiana di The White Lotus, si è ritrovata a 57 anni catapultata in un mondo hollywoodiano che, immagino, non aveva mai sperato di raggiungere, e che ora si sta meritando perché è brava non solo sul set, ma pure quando va ospite nei talk show della sera.

Se vogliamo, il primo e più importante successo di The Paper, forse l’unico che davvero conta e che aveva senso chiederle, è che funziona. Così, molto semplicemente.
Inserita in un solco pesantissimo per chiunque, The Paper non cerca di strafare, e si “limita” a riproporre quello che già funzionava in The Office: cambiano i personaggi e l’ambientazione, ma non cambia il mockumentary e non cambia una comicità che si fonda soprattutto sul disagio, sull’imbarazzo, sul bastonare bonariamente personaggi costantemente messi nella situazione di coprirsi di ridicolo proprio nel momento in cui pensavano di averla sfangata come e meglio degli altri.

Se nel primo paio di episodi si cerca di prendere le misure alla nuova serie, guardandola con l’occhio sospettoso di chi non vuole tradire The Office, nel giro di poco ci si rende conto che sì, ci si può lasciare andare, perché i brividi di imbarazzo che Michael Scott e compagnia ci fecero provare all’epoca, possono tornare anche a distanza di anni, con nuove facce e nuove storie.

E intendiamoci, non si tratta di fare paragoni fra chi è meglio e chi è peggio. The Office è una serie leggendaria, tale rimarrà, e dubito che The Paper, per mille motivi, potrà eguagliare quella fama e quella pervasività. Ma qui il discorso è un altro: era istintivo temere una serie semplicemente brutta, o fuori tempo massimo, e invece la migliore sorpresa è quella di trovarsi di fronte un prodotto che gira bene, che diverte, che emoziona perfino, anche se qui serve una precisazione sul formato.

The Paper è uscita in prima battuta in streaming su Peacock con tutti gli episodi della prima stagione distribuiti contemporaneamente, tipo Netflix. Nelle prossime settimane, però, la serie uscirà anche sulla tv generalista, su NBC, a partire dal 10 novembre, per poi approdare in Italia nel 2026, quando verrà trasmessa da Sky e NOW (con data ancora da comunicare mentre scrivo queste righe).

Voi sapete che io sono un disco rotto su questa questione, ma con The Paper non posso proprio esimermi: se potete/volete, non guardate gli episodi tutti in una volta. Non ha praticamente mai senso con la comedy, che vive di tante gag che, se viste in binge watching, rischiano di mescolarsi tutte insieme restando meno memorabili.
Ma soprattutto, ci sono alcune storie orizzontali, anche romantiche, che nella finzione della storia si sviluppano nell’arco di settimane, e che proprio nell’arco di settimane andrebbero fruite. Io non ho fatto così e me ne dispiace, perché ho percepito chiaramente che alcuni momenti, già più emozionanti di altri, sarebbero stati ulteriormente potenziati dal fatto di non vederli tutti uno in fila all’altro in una scorpacciata che finisce col togliere almeno in parte i sapori.

Quindi insomma, io The Paper ve la consiglio, perché è una serie divertente e piena di creatività, ma soprattutto perché ci leva quel peso preventivo che ormai sempre ci coglie quando veniamo a sapere di sequel e revival. Un peso che una volta era entusiasmo, e che ora è diventato consunzione.

Senza dover dire che The Paper è “bella come The Office“, che sarebbe non tanto una bestemmia, quanto un inutile tentativo di creare polemica sul nulla, quello che conta è che Greg Daniels ha creato e scritto un’altra ottima comedy, già rinnovata per una seconda stagione, e in cui possiamo pure fare il tifo per un’attrice italiana di grande talento e simpatia.
Non serve molto altro per essere felici.

Perché seguire The Paper: pur costretta a scontrarsi con l’eredità pesantissima di The Office, e non sfigura.
Perché mollare The Paper: per scelta consapevole, non cerca di innovare granché quella formula che ormai, dopo vent’anni, non potrà stupire allo stesso modo.



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