6 Febbraio 2018 2 commenti

AP Bio: uno strano professore per una strana comedy di Diego Castelli

Su NBC un insegnante che definire sopra le righe è un eufemismo

Copertina, Pilot

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Con AP Bio (che immagino vada letto “EIPIBAIO”) mi sono trovato in una situazione simile, benché in un contesto molto diverso, a quella già sperimentata con The Chi. Mi sono cioè chiesto “come avete fatto a vendervi sto concept e a farvelo approvare?”
Sì perché la trama di AP Bio potrebbe essere riassunta così: un professore di filosofia in crisi si prende un anno sabbatico per insegnare al liceo e usare i suoi studenti per vendicarsi del tizio che gli ha fregato il lavoro.
Che voglio dire, come frase un senso logico ce l’ha, ma si porta dietro un’aura un po’ mediocre, che suggerisce immediato disinteresse. E considerando gli scarsi ascolti della premiere, magari lo si poteva pure prevedere…

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Ma cerchiamo di non essere disfattisti e proviamo ad analizzare le cose con obiettivitahahahahaha.
La serie di Michael Patrick O’Brien, già scrittore per il Saturday Night Live, ci presenta dunque la figura di Jack (Gleen Howerton, visto in It’s Always Sunny in Philadelphia, Fargo, Mindy Project ecc ecc), un megaprofessorone di Harvard che, a seguito di vicissitudini varie, ha perso il posto a favore di un suo arcinemico. In attesa di potersi vendicare, Jack diventa professore di liceo in una scuola guidata da Patton Oswalt, comico assai bravo che i serialminder conoscono anche e soprattutto come voce (è il narratore di The Goldbgers, il doppiatore di Happy nell’omonima serie e di vari personaggi di Bojack Horseman). Oswalt interpreta un preside bonaccione e facilmente manipolabile, che ha preso in casa un professore universitario per via del prestigio che la cosa regala al suo istituto, senza sapere che stava assumendo un tizio che di insegnare biologia non aveva alcuna voglia.
Jack infatti usa le ore di lezione per sfruttare gli studenti come minion nel suo piano di vendetta, ed evita di insegnargli qualunque cosa se non pochi scampoli di filosofia che i poveri alunni lasciati a se stessi scrivono dilingentemente sui loro quaderni.

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Il setting, va da sé, è dei più irrealistici, tanto che il pilot in più di un’occasione fa quasi male al cervello, per il modo in cui la docenza di Jack non finisce mai sotto l’occhio di un qualche supervisore che semplicemente lo cacci. Forse è per questo che, quando Jack si assenta brevemente, gli autori piazzano un supplente che è pure peggio di lui, e che fa il paio con altre tre professoresse appollaiate in sala professori a sparlacciare di sesso e mariti. È quello il momento in cui, come rilasciando il fiato dopo una lunga apnea, lo spettatore si rilassa e dice “vabbè dai, è una minchiata e può succedere di tutto”.
Il che è sicuramente un bene perché, una volta abbandonata qualunque pretesa di realismo, AP Bio piazza anche qualche buona scena, soprattutto all’inizio quando Jack rifiuta esplicitamente qualunque ruolo di mentore anche involontario, e poi quando invece, per forza di cose, qualche simpatia comincia a nascere e qualche giovane personaggio trova in Jack una strana figura di rottura con le convenzioni, da cui imparare qualcosa malgrado tutto.

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Certo, l’impressione rimane quella di una serie che fonda tutto su un personaggio forte in un contesto che lo rafforza ulteriormente (il filosofo colto ma stronzo e menefreghista, messo a fare l’insegnante per ragazzi), ma a mancare è soprattutto un respiro di lungo periodo che vada oltre le faccette stranite degli studenti nel pilot. E magari quel respiro c’è, nel senso che gli autori sanno dove andremo a parare e sanno come sviluppare il rapporto fra professore e alunni tenendolo sempre in bilico fra la stronzaggine e l’effettivo apprendimento delle grandi verità della vita.
Certo è che, però, queste sono al momento nostre elucubrazioni, perché il pilot strappa qualche risata e morta lì. Per ora un po’ pochino.

 

Perché seguire AP Bio: il primissimo impatto è gustosamente straniante, e tutto sommato l’episodio va via liscio.
Perché mollare AP Bio: il concept sembra più adatto a una scenetta comica di un quarto d’ora, più che a una serie lunga anni, e più in generale non è che il pilot spacchi tutto lo spaccabile.

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