7 Settembre 2016 13 commenti

Consigli per recuperone: Firefly di Diego Castelli

Nello spazio con Joss Whedon

Firefly (1)

Era ormai un annetto che mi ero messo in testa di recuperare Firefly, oggetto seriale dalla storia assai curiosa e cult assoluto per una piccola ma agguerritissima community di appassionati, che avevo sì guardato ai tempi della sua trasmissione italiana nel 2006, ma in modo troppo distratto e frammentario (e per di più in italiano, con un doppiaggio non propriamente all’altezza).
Considerando che l’estate, si sa, è terra di recuperoni, in queste ultime settimane preautunnali mi sono finalmente messo in pari con le avventure di Malcom Reynolds e compagni, e vale proprio la pena di spenderci due parole.

Qualche informazione di contesto. Nata nel 2002, Firefly altro non è che la prima serie tv creata da Joss Whedon dopo Buffy e Angel. Il futuro papà degli Avengers e di Agents of Shield, forte del successo ottenuto con le storie sull’Ammazzavampiri di Sunnydale, si mise al timone di una saga fantascientifica tutta particolare, prodotta per FOX, che nella sua testa doveva proseguire per ben sette anni, ma che invece durò solo una stagione.
Floppone? Schifo vero? In realtà no. A distanza di quindici anni, Firefly è ancora ricordata dagli appassionati come una vera perla, un gioiellino perduto e sfortunato, che non ebbe il destino che meritava (pensate che nel 2009, sei anni dopo la sua chiusura, vinse il primo premio dei neonati Hulu Awards nella sezione “Shows We’d Bring Back”).

Firefly (2)

Quando una serie che amiamo chiude, viene sempre spontaneo pensare a qualche errore nella sua programmazione, o nel marketing, insomma qualche fattore esterno che giustifichi il fallimento di un prodotto che ci sembra così bello. Solitamente, però, la verità è che ci è piaciuta una serie che a quasi tutti gli altri ha fatto schifo, e tocca accettarlo.
Ecco, Firefly in questo discorso è l’eccezione. Perché qualche problema extra-seriale l’ha davvero avuto, ed è roba che grida vendetta. Basta citare giusto una questione: gli episodio di Firefly non vennero mandati in onda nell’ordine corretto pensato dagli autori. Per esempio, l’iniziale pilot di due ore venne bocciato dalla rete, che obbligò Whedon a girare un altro pilot che, a conti fatti, sarebbe il secondo episodio effettivo, mentre il pilot reale (molto più bello) andò in onda solo settimane dopo l’inizio della serie. Per quanto la prima e unica stagione abbia delle storie verticali abbastanza forti, dovrebbe essere evidente che sminchiare l’ordine di messa in onda degli episodi non può che renderne assai difficile la comprensione e la partecipazione emotiva.
Un po’ come se Ned Stark morisse nel primo episodio di Game of Thrones e fosse poi vivo in tutto il resto della stagione.
Ci furono poi vistose incomprensioni a livello di promozione, con FOX che cercò di vendere Firefly al pubblico come una specie di action-comedy spaziale, senza dare il giusto peso alle dinamiche fra i personaggi che, esattamente come in Buffy, sarebbero andate ben oltre lo spara-spara-fuggi-fuggi.
Certo, la conferma definitiva che la serie avrebbe funzionato se fosse stata trattata come si deve non ce l’abbiamo e mai ce l’avremo, anche perché alcuni elementi di rischio ci sono comunque, ma di certo i fan di Firefly hanno più motivi di recriminare rispetto ad altri.

Quello che qui mi sento di dire, dopo aver rivisto la serie a distanza di quindici anni, è che Firefly è ancora uno show coi controcazzi, ed è effettivamente un peccato non averne visto di più.
Firefly racconta di nave spaziale e del suo sparuto equipaggio. In un lontano futuro in cui gli umani hanno abbandonato una terra ormai sovrappopolata, il capitano Malcom Reynolds, reduce da una lunga guerra interplanetaria, comanda la ciurma della Serenity, una nave spaziale di classe Firefly che Reynolds usa soprattutto per truffe, contrabbando e lavoretti poco puliti. Insomma una specie di mezzo pirata ex soldato che fa quello che può per tirare a campare.
All’inizio della serie (l’inizio vero) Mal accoglie sulla nave alcuni nuovi passeggeri fra cui la misteriosa River, una ragazza taciturna e misteriosa nel cui passato si nascondono rivelazioni di grande rilevanza per l’intera umanità.
Questo, violentemente ridotto all’osso, è lo scheletro iniziale della serie (la faccenda osso-scheletro non è voluta). Non è però in questo misero riassunto che si trova la forza e la novità di Firefly.

Firefly (3)Provando a dipingere il futuro fantascientifico della nostra specie, Whedon e soci immaginarono una netta differenza (e perfino una guerra) fra pianeti centrali e periferici, riproponendo su scala planetaria il mito americano della frontiera: abbiamo così pianeti centrali ad alto tasso tecnologico e di “civiltà”, e una frontiera più selvaggia che assomiglia al vecchio West.
Quando dico “assomiglia al vecchio West”, però, non uso una metafora: ci sono cavalli, stivali e cappelli, saloon polverosi percorsi dalle luci delle pistole al laser e praterie erbose all’ombra delle astronavi.
Questo è uno degli elementi peculiari della serie, nonché uno dei primi “dentro o fuori”: all’epoca alcuni critici rilevarono la stonatura fra queste due componenti (il west e la fantascienza), non riuscendo a digerire l’evidente inverosimiglianza di un ritorno estetico a un passato così remoto nel momento di un avanzamento tecnologico e geografico dell’umanità. Altri, invece, ci videro un’idea pazza e proprio per questo accattivante e piena di magia.
Per noi spettatori del 2016 il problema potrebbe pure essere potenziato: parlando di Firefly a molti anni dall’uscita, va aggiunto anche lo scotto di un invecchiamento evidente degli effetti speciali e della generale sensazione di povertà di mezzi, se confrontata con certi spettacoli che la serialità fantastica e fantascientifica offre al giorno d’oggi.

Alla fine però Firefly si ama lo stesso, e il motivo sta nelle due componenti che, parlando di intrattenimento audiovisivo, tendono a invecchiare più lentamente: scrittura e interpreti. Sempre a metà strada fra commedia (anche romantica), azione, avventura e western, la sceneggiatura di Firefly rimaneggia temi e situazioni che fanno la fortuna di Hollywood da decenni, e lo fa con il brio e la freschezza del miglior Whedon.
Interpretata da attori che avremmo poi rivisto molte volte negli anni a venire – partendo da Nathan Fillion, futuro protagonista di Castle, ma senza dimenticare Adam Baldwin, Morena Baccarin, Gina Torres, Summer Glau ecc ecc – Firefly introduce personaggi apparentemente tagliati con l’accetta e incastrati dentro ruoli estremamente precisi se non addirittura macchiettistici, ma che nel corso degli episodi si ammorbidiscono progressivamente, rivelando sfumature inaspettate e più rotonde. Anche un personaggio come Jayne, per esempio, riesce a liberarsi dell’etichetta di soldato tonto e guerrafondaio per mostrare il buffo attaccamento alla madre o un senso dell’onore prima sconosciuto. Stesso discorso per Inara, interpretata da Morena Baccarin, che ha la doppia fuzione di gnocca del gruppo e di espediente per mostrare una bella idea di sceneggiatura (lo sdoganamento delle prostitute d’alto bordo che nel futuro diventano professioniste rispettabilissime e assai ricercate), ma che in men che non si dica diventa personaggio più complesso e sfaccettato, nonché protagonista della più importante storia romantica della serie.

Firefly (8)

L’idea alla base è che questi personaggi riescano a formare un gruppo a cui lo spettatore possa affezionarsi sul serio, godendosi le singole avventure ma in primo luogo facendosi degli amici. E questo è esattamente quello che succede: non tutti gli episodi di Firefly sono ugualmente riusciti, alcuni sono più ispirati e altri meno, ma nelle poche ore che hanno avuto a disposizione sono riusciti a creare una strana famiglia in cui caratteri diversissimi e spesso conflittuali trovano una pericolante quadratura del cerchio capace di coltivare rispetto, amicizia e amore. Il resto lo fanno battute spesso riuscitissime, giocate ora sulla commedia, ora sull’epica più smaccatamente hollywoodiana, e meccanismi seriali rodati come l’eterna sospensione dell’amore pronto a sbocciare ma sempre trattenuto, o i misteri legati alla natura di River.

Quando la serie venne cancellata – gli episodi della prima stagione non furono nemmeno mandati in onda tutti – sull’onda delle proteste dei fan Whedon riuscì a strappare l’ok per un tv movie di due ore, chiamato Serenity, che desse una degna conclusione alle vicende dei protagonisti.
Il film, che in Italia arrivò al cinema prima ancora della serie, è gagliardo, gode di effetti speciali migliori (anche se comunque vecchiotti per gli standard odierni), e riesce effettivamente a darci una chiusura. Purtroppo si percepisce un po’ la fretta di portare a casa il risultato, un risultato a cui Whedon pensava di poter lavorare per sette anni, e che invece ha dovuto comprimere in un paio d’ore. Bisogna dunque necessariamente perdonargli alcuni passaggi più frettolosi o forzati, e il tentativo (comunque abbastanza riuscito) di creare l’epica “a tutti i costi”.
È però un film di Whedon all’ennesima potenza, pieno di azione e ritmo, aperto da un piano sequenza assai virtuoso e punteggiato da dialoghi rapidissimi con cui l’autore ripresenta i personaggi per chi non aveva visto la serie, snocciolando battute e informazioni a raffica. Si vede dunque la mano di un regista che è abituato a coniugare l’esigenza artistica con quella spettacolare e commerciale, una cifra che Whedon si porta dietro da sempre, nei suoi lavori più riusciti come in quelli più zoppicanti. Una conclusione degna, dunque, che diverte e appassiona e che ci trasmette il rimpianto per ciò che questa saga avrebbe potuto essere e non è stata, per sfortuna e per scelte extraseriali francamente incomprensibili.

Firefly (9)

Il mio consiglio, dunque, è di recuperarla. Non è più in onda da nessuna parte (credo), e anche le vie amatoriali, chiamiamole così, sono spesso ostiche. Però su amazon e simili si trova un bel cofanetto blu ray per la serie e un altro per il film, quindi roba facile e di buona qualità. Si trova in inglese, ma non contemplo neanche che lo vediate in italiano, visto che la traduzione dell’epoca fu parecchio raffazzonata e, per esempio, eliminò i neologismi e le frasi diverse dall’inglese (altra buona idea: nel futuro di Whedon il cinese è diventato parte della lingua più parlata della galassia), appiattendo la ricchezza dell’ambientazione e del background immaginato dagli autori.
Se saprete avvicinarvi a Firefly con la cautela dovuta a un prodotto che in certi aspetti è inevitabilmente invecchiato, ci metterete però cinque-minuti-cinque ad affezionarvi a una delle ciurme più adorabili degli ultimi decenni di televisione. Una ciurma che ha finito il suo viaggio troppo presto, ma che merita ancora qualche ricordo, almeno da parte di chi ama definirsi serialminder.



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