16 Ottobre 2015 15 commenti

Fargo – La seconda stagione inizia spaccando tutto di Marco Villa

È tornata Fargo, la serie più bella dello scorso anno. E sembra non aver perso un briciolo di smalto.

Copertina, Pilot

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Il ritorno di Fargo

Fargo è stata la sorpresa più grande della scorsa stagione. È emersa piano piano, riuscendo a trovare il proprio spazio, a togliersi dal cono d’ombra in cui era stata cacciata da True Detective e a imporsi come la migliore serie dell’anno. Non l’abbiamo detto solo noi, ma anche gli Emmy e i Golden Globe. Fargo ovviamente partiva dal credito e dalle aspettative che tutti avevano in seguito al film dei Coen, uno di quei titoli che davvero (davvero) merita di entrare nella categoria di culto. E qui sta tutta la bravura di Noah Hawley, uno che su Serial Minds avevamo apprezzato molto con lo sfortunatissimo My Generation, cancellato dopo sole due puntate ormai cinque anni fa. Hawley, creatore di Fargo e autore di tutte le puntate della prima stagione, è riuscito a mantenere intatto l’immaginario dei Coen, dando di gomito ogni tanto agli spettatori, ma anche a portare quello stesso immaginario e quel citazionismo in un mondo nuovo e altro. Quella era la sfida della prima stagione, oggi invece siamo di fronte a un’altra questione: Fargo, in quanto serie antologica, è in grado di prescindere da quei personaggi e da quel cast che hanno rivestito un’importanza così grande nei primi dieci episodi?

Dopo la premiere della seconda stagione, andata in onda su FX il 12 ottobre e prevista su Sky Atlantic nei prossimi mesi, possiamo dire che sì, Fargo è ripartita a suo modo: ovvero mischiando le carte e spaccando. Spaccando tutto.

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La premiere della seconda stagione

Piccola introduzione giusto per dire che siamo ovviamente a Fargo, nel 1979. Ci sono ancora criminali e poliziotti, ma nel pilot l’unico legame con la prima stagione è rappresentato da Lou Solverson, il papà della poliziotta, qui mostrato nel pieno dei suoi compiti da tutore dell’ordine. Detto questo, per spiegare la bellezza del pilot prendo tre scene.

La prima è ovviamente quella del diner, in cui un rampollo sfigato di una dinastia criminale di provincia finisce per uccidere tre persone e per rischiare di farsi ammazzare, nell’improbabile tentativo di fare pressione su una giudice per far sì che cambi idea e permetta a un ancora più sfigato imprenditore locale di mettere in piedi un ancora più improbabile negozio di macchine per scrivere costose e super-tecnologiche. Nel 1979, quando i personal computer stanno per arrivare e spazzare via tutto. Una scena assurda, che setta stile e tono e mette subito lo spettatore a suo agio: ok, non ci saranno più Billy Bob Thornton e Martin Freeman, ma i nuovi personaggi sono assolutamente in linea con quelli passati, come se tutti quelli che ruotano attorno alla città di Fargo avessero qualche problema a livelli di forma mentis, che li porta a essere sempre grotteschi, giusto per usare un termine molto Coen.

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La seconda scena è quella che ha per protagonisti Jesse Plemons (sempre più lanciato, il ragazzo) e Kirsten Dunst. Una scena che parte come la normale cena di una coppia, procede con il dialogo tra un marito abulico e una moglie nevrotica e finisce con il rampollo criminale del diner morto nel garage di casa. Nell’arco di pochi minuti, tutti i piani e sogni della coppia sono stati spazzati via con una leggerezza immotivata e per questo del tutto geniale. E per provare a difendere il loro microcosmo, il personaggio di Plemons ha tutto per diventare il tipico spietato con la faccia buona, che non si ferma di fronte a nulla.

La terza scena è l’ultima, in cui la possibile espansione di un gruppo di mafiosetti ai danni della dinastia criminale sfigata di Fargo viene mostrata come la riunione di una qualsiasi agenzia immobiliare, con tanto di slide e presentazione di business plan e strategia. Un finale che si ricollega alla scena del diner, mostrando come l’inadeguatezza sia la cifra caratteristica di tutti i protagonisti.

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Sarà una bomba

Tre scene completamente diverse tra loro, con atmosfere e sentimenti quasi contrastanti, ma unite da tono e stile riconoscibili in una frazione di secondo. E questo è il grande successo di Fargo: far sentire a casa gli spettatori pur avendo cambiato storia, personaggi, cast ed epoca. Alla lunga bisognerà capire se Ted Danson (altro poliziotto), insieme ai vari Plemons e Dunst riusciranno a dare concretezza e vita a questo mondo come i loro colleghi dello scorso anno. Di certo, c’è che Noah Hawley è uno dei veri, grandi talenti della serialità di questi anni. E questo ci lascia piuttosto tranquilli.

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