4 Agosto 2011 3 commenti

Switched at Birth di Marco Villa

Le hanno scambiate alla nascita. Purtroppo si sono accorti.

Pilot

Sappiate una cosa. Mentre voi leggete questo post io sarò al mare. Tanto basta per darmi forza e scrivere questo pezzo, ultimo incarico lavorativo prima di spegnere il pc e pensare solo alle valigie. Mi piacerebbe darvi il “buone vacanze” con una serie bella, di quelle che rendono meno amaro il ritorno dalle ferie. Mi piacerebbe, davvero. Purtroppo, però, questo è un mondo cattivo e Switched at Birth è qualcosa di veramente evitabile.

Di cosa parlerà mai una serie che si intitola “Scambiate alla nascita”? Esatto, di due famiglie che scoprono che le rispettive figlie sono state scambiate alla nascita. La scoperta arriva per caso e manda comprensibilmente in crisi i due nuclei famigliari. Purtroppo, però, siamo su ABC Family (che quest’anno si tratta veramente bene tra questa cosa e State of Georgia) e non su Showtime. Quindi niente tragedie del surreale stile Shameless. Tanto la birra scorre a fiumi nella meravigliosa famiglia Gallagher, quanto la melassa impantana tutto nei salotti di queste due aggregazioni famigliari.

Partiamo da un punto fermo: tutto è fatto in modo piatto e prevedibile. Quindi una famiglia è ricca e ha la figlia ribelle, l’altra è più povera e creativa e in compenso ha la figlia modello. Ma davvero? In particolare, la figlia ribelle è considerata tale perché fa in giro dei graffiti simil-Banksy, mentre quella modello è considerata tale perché fa tutto alla grande nonostante sia sorda. Ecco, la sordità (causata da un meningite presa in giovine età) è l’unico sussulto creativo, che apre qualche minimo spiraglio con un po’ di fondamento sull’opzione “se non ci avessero scambiate io ora non sarei così”. Perché per il resto sono tutti contenti e felici, al punto che al termine del pilot la famiglia porella si trasferisce a casa di quella ricca. Si, rileggete pure: si trasferisce a casa di quella ricca. Vivono insieme. Dopo 40 minuti di telefilm. Bon, fine dei possibili sviluppi narrativi forti: tutto sarà giocato su minchiatine da vicini di casa, in cui l’esuberanza della famiglia meno ricca (toh, hanno sangue sudamericano, ma allora saranno davvero casinisti e rumorosi!) si scontrerà con il palinculismo dei ricconi.

A tutta questa meraviglia, aggiungete che l’elemento sordità viene sfruttato per fare educazione ai giovani spettatori. Cose del tipo: “di solito la gente pensa che si debba urlare, in realtà basta parlare un po’ lentamente per permettere di leggere il labiale”, oppure “chi è sordo non deve essere isolato”. Che va bene per carità, ma a ‘sto punto vado all’oratorio e faccio prima. Io voglio vedere un telefilm, mica un opuscolo redatto da giovani paolotti politicamente corretti. Dai, meglio andare a fare le valigie.

Previsioni sul futuro: dinamiche di interazione simpaticissime tra personaggi appartenenti a mondi per nulla stereotipati

Perché seguirlo: perché la vostra idea di telefilm è ferma agli anni ’80. E qui vi sembrerà di fare un salto avanti quasi indecente.

Perché mollarlo: perché la melassa che esce dal computer, fatalmente danneggia il computer stesso.



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