2 Luglio 2014 7 commenti

True Blood 7 – Il tamarro inizio della fine di Diego Castelli

Vampiri malati e scenari post-apocalittici

Copertina, On Air

True Blood final season (4)
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OCCHIO, SI PARLA DELLE PRIME DUE PUNTATE DELLA SETTIMA STAGIONE DI TRUE BLOOD
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L’anno scorso scrissi un solo post su True Blood, alla fine della sesta stagione. D’altronde, dopo un po’ che parli della stessa serie finisci per ripeterti, e Serial Minds non fa parte di quei siti (sia detto col massimo rispetto) che recensiscono ogni singolo episodio: cioè, che palle.
Stavolta però è diverso, perché siamo alla stagione conclusiva di una delle serie più significative di questi anni e quindi voglio scriverne un paio di volte.

La cosa si rivela peraltro abbastanza facile, perché le prime due puntate della season 7 offrono interessanti spunti di riflessione. Veniamo infatti da due stagioni molto piene, farcite con le macchinazioni dell’Autorithy, gli ultimi colpi di coda di Russel Edgington e del Reverendo Newlin, la trasformazione di Bill in semi-dio ex-topona grondante sangue, i casini con le fate e le sottotrame con lupi mannari e mutaforma.
Non tutto ha funzionato, e di alcuni risvolti avremmo fatto a meno. Ma il concetto rimane quello dell’accumulo e della sovrapposizione di più linee narrative e più complicazioni, secondo uno schema che, peraltro, non è certo caratteristica specifica di True Blood (sono mille mila le serie semplici-semplici alla prima stagione e complicatissime alla quinta-sesta).
True Blood final season (6)

I primi due episodi della settima stagione, invece, sono sorprendenti proprio perché facilissimi. Dopo il salto temporale di sei mesi alla fine dell’anno scorso, la situazione è molto chiara: ci sono i vampiri con l’epatite che uccidono senza ritegno e ci sono gli umani che rischiano lo sterminio, aiutati giusto da qualche vampirello sano che è rimasto in giro. Tutto qui. L’unica vera sottotrama riguarda Eric, che come si sapeva è rispuntato in Europa. Di fatto non c’è nient’altro, e per quanto ci sia comunque un continuo saltare da un personaggio all’altro (vedi Arlene imprigionata o zia Lafayette) tutta la faccenda gira comunque intorno ai vampiri fuori controllo.
Intendiamoci, va bene così. Siamo all’ultima stagione, vogliamo arrivare a una conclusione che sia davvero tale, e passare dieci episodi a complicare ulteriormente le cose (per poi incastrare un finale necessariamente forzato) non sarebbe una scelta intelligente. L’abbiamo già visto succedere altrove e ci siamo già scottati.
True Blood final season (3)
Ben venga allora questa nuova versione un po’ alla The Walking Dead: con le cittadine deserte e la paura che spunti qualche mostro da dietro gli angoli; con la vera fame vampiresca (quella dei malati) che si avvicina a quella degli zombie (privi di autocontrollo); col senso di devastazione imminente che fa tanto serie post-apocalittica, dove gli intrighi politici e amorosi lasciano il posto alla pura e semplice voglia di sopravvivere.
Ben venga, soprattutto, perché la semplificazione narrativa non ha tolto nulla a ciò che, l’abbiamo detto tante volte, è il vero fulcro d True Blood: la tamarraggine. Perché va bene andare in giro per la cittadina deserta, perché possiamo sempre contare su Jason che fa analisi forensi assaggiando pizze invecchiate di due giorni. Va bene uccidere Tara, perché sappiamo che riapparirà vestita di bianco, crocefissa e con un pitone giallo avvolto attorno al corpo. E va bene la disperazione degli umani, perché li tramuta in un branco di contadinotti che va a fare scorta di armi con evidentissimo pericolo di ammazzarsi tra di loro.

Va bene tutto, purché True Blood rimanga fino all’ultimo quella sbrodolosa trashata a cui ormai siamo affezionati. Talmente affezionati da riuscire, chissà come, a sopportare ancora le menate di Sookie.
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