24 Febbraio 2016 7 commenti

The 100: 6 punti con cui CW insegue Lost e Game of Thrones. Blasfemia? di Francesca De Maria

Una serie partita come avventura per teen ager sta diventando qualcosa in più

Copertina, On Air

A giudicare dalla confezione non ci avremmo mai scommesso. Nonostante il format della prima stagione strillasse originalità, gli altri elementi di gioia e dolore classici di CW c’erano tutti: dagli attori trentenni chiamati ad interpretare una sfilza di teenagers aitanti e casinisti, ai dialoghi melensi, sospironi in primo piano, l’infinito indugiare su sguardi lessi di silenzi imbarazzanti.

Se lo scenario adventure post-apocalittico in cui si muove una generazione di protagonisti, forgiata da una società distopica che ha fatto della pena capitale l’arma di controllo di un regno del terrore, era sufficiente a far divampare una miccia di curiosità, gli effetti speciali da anni ’90 ci mettevano un attimo a spegnerla.

Tant’è che Serial Minds aveva bollato l’esordio di The 100 come una trashata simpatica da seguire con leggerezza, per i più masochisti, come una di quelle serie che se esci ti scordi di registrare.

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Eppure, a un paio d’anni di distanza, succede una cosa curiosa: con relativa facilità, complice l’inizio della terza stagione, The 100 piazza regolarmente i suoi hashtag nei trend topic italiani e mondiali di Twitter. Negli States iniziano a fioccare recensioni positive e articoli lusinghieri di critici impegnati, che per genere e pathos lo accostano a mostri sacri della serialità come Lost e Game of Thrones.
Blasfemia?

Facciamo un passo indietro.

ATTENZIONE: CONTIENE SPOILER SU PRIMA E SECONDA STAGIONE

Il dipanarsi della prima stagione, pur inciampando volentieri nei cliché tipici di network e target, aveva virato lentamente verso tematiche più interessanti dei quadrangoli amorosi e delle tempeste ormonali: la lotta per la sopravvivenza, per l’autoaffermazione all’interno del branco, per la conquista del territorio.

Se lo scontro armato a due fazioni – i 100 Vs i Grounders, gli abitanti della Terra mai estinti in seguito al disastro radioattivo – offriva già un piacevole intrattenimento e lasciava intravedere maggiori potenzialità, è con la seconda stagione che The 100 piazza una serie di scelte narrative vincenti.
Andiamo con ordine.

 

1.L’abbraccio dello Sci-Fi vero.

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Dimenticate le farfalle glitterate, i mostri sottomarini e i cervi a due teste che vi avevano fatto rabbrividire d’imbarazzo nell’episodio pilota. Tecnicamente niente di troppo “fantasy”, ma la preoccupazione che fossero il preludio a futuri draghi e creature mitologiche, ridicolizzati da CGI da bar, era già alta.

Scoperchiata la “botola” di lostiana memoria nella premiere della seconda stagione, scopriamo di trovarci all’interno di una vera e propria città sopravvissuta al disastro radioattivo di un secolo prima. Non solo c’è vita sulla Terra, mantra principale della prima stagione, ma a quanto pare anche sotto.

Ed è una società con i controcazzi: confinati nel sottosuolo dall’incapacità di metabolizzare le radiazioni solari, i Mountain Men conducono sperimentazioni su cavie umane, manipolazioni genetiche, sono dotati di armi di distruzione di massa che fanno impallidire pistole e mitragliette dei nostri protagonisti, presentateci fino ad ora come tecnologia avanzata rispetto ad archi, frecce e forza bruta dei Grounders. I Mountain Men hanno sete di conquista e scienziati privi di etica, ci trascinano nei claustrofobici tunnel dei loro laboratori e ci spalancano le porte dello Sci-Fi vero.
E ci piace tantissimo.

 

2.“Blood must have Blood”
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Nella seconda stagione conosciamo finalmente i Grounders e la loro filosofia del “sangue che chiama sangue”: è lo specchio di una società gerarchica governata dalla forza bruta, dalla tortura legalizzata, dalla vendetta che si traveste da “giustizia”. I protagonisti ci impattano contro, ci si mescolano, se ne lasciano sopraffare: ne escono trasformati, sporchi, segnati per sempre, si spogliano definitivamente dell’ultimo brandello d’innocenza per essere scaraventati nell’età adulta. E diventano molto più belli.

 

3.“Nessuno è al sicuro”: la morte del triangolo amoroso.
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 Di vittime degne di nota ne avevamo già avute: Wells, il figlio del cancelliere assassinato da una pugnalata al collo della dodicenne Charlotte, o Atom, prima vittima della nebbia acida.
Ma con lo schermo che si colora ormai regolarmente di massacri e genocidi, una “morte celebre” prima o poi sarebbe stata solo realistica: tocca a Finn, love interest di Clarke, impegnato da diverse puntate nel decisamente poco originale triangolo amoroso con la stessa protagonista e con la ex fidanzata Raven. La sua brutale eliminazione è vincente per tre motivi:

a) ci introduce la possibilità di perdita di un leading character,

b) toglie di mezzo il triangolo d’amore lì dove sarebbe stato facile cadere nella tentazione di dedicargli troppo spazio,

c) ci mostra che se è possibile il percorso della redenzione (che ci aveva reso simpatici personaggi inizialmente odiosi come Bellamy, Kane, o la stessa Clarke), è anche contemplata la meno banale, ma più realistica, strada della dannazione. Ecco che Finn, da personaggio indubbiamente positivo, si trasforma lentamente in un ragazzo vittima degli eventi, delle sue cicatrici di guerra, della follia omicida. E ne paga il caro prezzo.

 

4.Leading characters scomodi: disabili, neri, gay.
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Partiamo da una premessa: Jason Rothemberg e il suo The 100 sono positivamente femministi.
Sono quasi sempre donne quelle al comando: Abby per i popolo dell’Arka, Clarke per i 100, Anya per l’unico clan di Grounders conosciuto fino ad ora.

In questa stagione non solo la lista si allunga, ma si arricchisce di dettagli interessanti: Raven Rayes, cazzuta meccanico spaziale a cui ci eravamo già affezionati perché no, proprio non ci stava a farsi ricordare semplicemente come la fidanzatina cornuta di Finn, perde la gamba a causa di una paralisi. I concetti di disabilità, dolore cronico, riduzione permanente della motilità vengono mostrati ancora oggi e trattati come componente integrante del suo personaggio senza che ne abbiano minimamente azzoppato il carisma. Anzi.
Conosciamo altri capi clan dei Grounders: Indra.

Indra guida i suoi uomini armati senza che la sua forza e le sue capacità vengano messe in dubbio per il suo essere donna o il suo essere nera. Il pullulare di personaggi di tutte le etnie, mai riconosciuti per la loro diversità, ci mostra chiaramente che i concetti di sessimo o di razzismo, nell’universo di The 100 e nel futuro immaginato dell’umanità, semplicemente non esistono.
Ciliegina sulla torta, conosciamo forse il personaggio più magnetico dello show, il comandante assoluto di tutti e dodici i clan: si chiama Lexa, ha una ventina d’anni, è una ragazza, ed è lesbica. Nessuno ne ha mai questionato l’autorevolezza, l’intelligenza o l’attitudine al comando per uno di questi tre motivi, ma soprattutto la serie non ne fa una questione importante, lascia che sia lo spettatore ad accorgersi della novità, senza che tale novità sia sbanderiata e trasformata nel centro della questione.
Saranno anche violenti, sanguinari e primitivi, ma per molte altre cose questi grounder son proprio avanti.

 

5.La bisessualità di Clarke Griffin
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Merita una sottolineatura particolare, e vi spiego perché: abituati regolarmente a vedere protagonisti LGTB in show come Orange is The New Black, Sense8, Orphan Black ecc, ci dimentichiamo spesso che si tratta di prodotti di canali cable. Sulla tv generalista made in USA, esempi di personaggi LGTB si trovano comunque dappertutto, ma è raro che siano protagonisti assoluti.

Clarke Griffin invece è un leading character femminile e bisessuale. È un punto di svolta cruciale per il network che trasmette da ben undici anni Supernatural, principe del queerbaiting (“esca per omosessuali”), che strizza l’occhio continuamente al pubblico LGTB e LGTB-friendly, caricando di tensione erotica – mai inequivocabile, sempre in sottotesto – il rapporto tra i due protagonisti maschili Dean e Castiel.
Con estrema naturalezza, e a sorpresa, The 100 manda in frantumi il muro del queerbaiting, esplicitando su schermo la bisessualità della sua protagonista assoluta anche agli occhi di chi non è abituato a cogliere il sottotesto erotico. E’ una piccola grande rivoluzione, apprezzatissima da critica e produzione, che regala a noi spettatori un’ulteriore sfaccettatura del personaggio, meno prevedibile di quelle a cui CW ci ha abituato e soprattutto evoluto rispetto ai suoi stessi esordi, dove l’amore era effettivamente riservato solo al classico ragazzo belloccio.

 

6.Fantapolitica e FantacomplottiThe 100 (4)

Dodici clan di Grounders e dodici stazioni spaziali offrono, soprattutto con l’inizio di questa terza stagione, un vasto palcoscenico di guerre intestine, lotte di potere, colpi di stato, alleanze di facciata e tradimenti politici. La guerra tra culture e tra popoli corre di pari passo con la guerra civile, sorprendendo più di una volta con ben orchestrati colpi di scena che trascinano la trama orizzontale con intelligenza e fascino. Senza dimenticare quella piccola vena violenta di voli dalle torri e combattimenti nelle arene che rimandano proprio a lei: Game of Thrones.

 

E se l’inizio è stato indubbiamente traballante e dimenticabile, The 100 ha saputo presto raddrizzarsi, reinventarsi, appassionare, tanto da spopolare facilmente sui social e scomodare accostamenti sacrileghi con show di ben altra taratura, popolarità e budget.

Ma, scartata la confezione brutta, The 100 con la sua terza stagione da poco iniziata è un sorprendente regalo televisivo.
Ingoiate l’amaro dei primi episodi e recuperatelo, vedrete che dopo, forse, certi paragoni non vi sembreranno più così blasfemi.

 

Jus drein jus daun!

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