For Life – Le avventure di un avvocato carcerato di Diego Castelli
Dialogo di ieri fra me e il Villa.
C: Oh ma sai che non mi ricordo di cosa scrivi domani?
V: Eh, in realtà potrei far fatica.
C: Madonna sempre così fai, ti prendi un impegno, mi assicuri, e poi mi fai saltare fuori i casini. Sentiamo, quale sarebbe il problema?
V: Ho 39,5 di febbre e devo comunque lavorare sennò non riesco a dare da mangiare a MIO FIGLIO.
C: Ah … … … Ok dai, domani faccio io. Però ho poco tempo, quindi faccio una cosa facile.
La cosa facile di oggi è For Life, nuovo legal di ABC firmato da Hank Steinberg, che non è esattamente l’ultimo degli imbecilli, avendo già creato Without a Trace e The Last Ship.
La recensione di For Life è facile perché la serie segue il classico schema del legal da generalista, che impone di trovare una e una sola idea che sia accattivante, per poi costruirci sopra uno show con tanti casi di puntata e una sotterranea storia orizzontale, tutti influenzati da quella idea di base.
(Non vale solo per i legal naturalmente, ma anche per i crime, i medical e via dicendo)
Ebbene, l’idea accattivante in questione è la seguente: il protagonista è sì un avvocato, ma anche un carcerato. Si chiama Aaron Wallace (interpretato da Nicholas Pinnock), era uno che faceva la bella vita da proprietario di un locale, ed è stato condannato all’ergastolo per una serie di reati legati alla droga, che però non ha commesso. Il buon Aaron, non avendo molto altro da fare in galera, decide di studiare legge, diventa avvocato, e con qualche magheggio riesce a essere iscritto all’albo, diventando così un avvocato/detenuto che inizia a occuparsi di innocenti accusati ingiustamente, mentre nel frattempo prova a lavorare anche al suo, di caso, nella speranza di tornare a casa dalla moglie (che nel frattempo s’è messa col suo migliore amico) e soprattutto dalla figlia adolescente.
Se a tutto questo aggiungete che Wallace è nero, che dietro la sua condanna ci sono probabilmente pregiudizi di tipo razziale, e che nel primo episodio difende un ragazzo messicano da un’accusa falsa mossa dalla classica famiglia di bianchi ricconi e spocchiosi, avete il quadro di una serie che punta al classico intrattenimento avvocatizio, senza dimenticare un po’ di politica militante su temi che negli Stati Uniti sono sempre piuttosto divisivi.
Che dire: il primo episodio, nel suo piccolo, funziona abbastanza. La condizione di Wallace, giacca e cravatta in tribunale e manette subito dopo, aggiunge una gustosa tacca di tensione alle normali dinamiche del genere. E questo perché a essere sempre sul filo del rasoio non sono solo le vite di vittime e accusati, ma anche la sua, visto che sono in molti a mettere in dubbio perfino il suo diritto a portare la metaforica toga.
Su tutti, il più acerrimo nemico è Glen Maskins (Boris McGiver), che aveva fatto condannare Wallace e non vuole che una sua eventuale uscita dal carcere macchi la sua reputazione, ora che vuole diventare procuratore.
Ad aiutare Wallace, invece, c’è soprattutto Safiya Masry (Indira Varma), che gestisce la prigione in cui il protagonista sconta la sua pena, e che fa di tutto perché possa esercitare la sua nuova professione senza intoppi.
Insomma, un legal classico nelle dinamiche di fondo, a cui si aggiunge il piccolo twist di un personaggio principale mai “al sicuro” e sempre obbligato a fare due o tre sforzi in più (fra cui intessere rapporti complicati con i compagni di galera) per guadagnarsi il semplice diritto a lavorare, che altri protagonisti seriali dello stesso genere danno per scontati.
In questo l’interpretazione di Pinnock è quasi sempre efficace, perché ha questo viso solido e carismatico che riesce a mettere insieme una costante malinconia (provaci te a stare in prigione da innocente) con la ferrea determinazione a fare quanto possibile per non dargliela vinta ai cattivi.
E sul fronte difetti, beh, ci sarete già arrivati: per quanto sia una serie solida e onesta, For Life non sembra in grado di aggiungere moltissimo ad altri esponenti dello stesso genere, a meno che la sua anima più politica non riesca, nelle prossime settimane, a scavare più a fondo nel tipico torbidume statunitense.
Ma la collazione su ABC, che non può permettersi chissà quali voli pindarici, tenderebbe a suggerire un approccio più pacato e, lo si vede già nel pilot, uno stile abbastanza didascalico, per cui ogni concetto viene espresso più volte, per venire incontro alle esigenze di un pubblico, quello generalista, che statisticamente tende a essere più distratto e meno pronto a seguire con grande attenzione le serie più complicate (salvo eccezioni, naturalmente).
La classica serie da mezza classifica.
Perché seguire For Life: è un legal solido, di buon intrattenimento, il cui concept lascia aperta la porta per approfondimenti potenzialmente non banali sul fronte sociale e politico.
Perché mollare For Life: per la gran parte del tempo resta un legal abbastanza classico e, se non vi piace il genere, non basterà a farvi cambiare idea.