19 Maggio 2020

Tripilot: Hightown, Motherland: Fort Salem, Council of Dads di Diego Castelli

Tre serie medie di cui parlare per poco, ma che ci permettono di essere più completi e, per questo, di dormire la notte

Pilot

Torna la millenaria tradizione del tripilot, che risale ai tempi dei sumeri, quando i giovani virgulti allevati nelle terre fra il Tigri e l’Eufrate chiedevano ai cantori di raccontare soprattutto le storie più appassionanti, raccogliendo quelle meno memorabili in brevi riassunti veicolati su piccole tavolette d’argilla.
Molti secoli dopo, eccoci qui nuovamente a riassumere in brevi paragrafi serie tv di cui vale la pena fare cenno (metti che fra voi saltano fuori dei fan inaspettati) ma che non serve approfondire in maniera troppo puntuale.
Via.

Hightown
Creata da Rebecca Cutter e in onda su Starz in America, Hightown racconta le vicende di Jackie Quinones (Monica Raymund, già recentemente protagonista di Chicago Fire), che è sì un’esponente delle forze dell’ordine, ma anche una che si ubriaca spesso, tira di coca, e usa il distintivo per sedurre giovani studentesse e turiste nella città marittima di Provincetown, in Massachusetts. La sua è una vita tutto sommato tranquilla, anche se un po’ borderline, ma viene sconvolta dal ritrovamento di un cadavere sulla spiaggia, che dà vita a un’indagine che sconvolgerà la cittadina e la vita di Jackie.
Che dire: Hightown è un crime drama in cui la componente gialla corre di pari passi con i risvolti più dolorosi della vita della protagonista, che deve di fatto accettare e affrontare la sua condizione di alcolista e tossicodipendente. Le due anime dello show continueranno probabilmente a intersecarsi, seguendo la tradizione di Starz che da anni propone serie molto adulte e crude, senza risparmiarsi in sesso, violenza e marciume vario.
Vale la pena andare avanti dopo il pilot? Boh. Se i crime orizzontali vi appassionano può anche avere senso vedere come finisce la storia, ma se state cercando qualcosa di un po’ originale, qui non c’è moltissimo, a parte forse il fatto che, per una volta, il ruolo di protagonista coi complessi e il passato oscuro è affidato a una donna invece che a un uomo. Ma a parte questo non è che io guardi al secondo episodio come alla seconda venuta di Gesù Cristo, ecco…

Motherland: Fort Salem
Drama soprannaturale di Freeform, creato da Eliot Laurence, Motherland: Fort Salem si basa su una variante abbastanza originale del solito tema delle streghe: in questo caso, parliamo di giovani fattucchiere che vengono assoldate dall’esercito degli Stati Uniti, e che nello specifico combattono contro un’organizzazione terroristica chiamata Spree, che osteggia, fra le altre cose, proprio la leva obbligatoria delle maghe.
Motherland si porta dietro un po’ di idee stuzzicanti, che vanno dall’immaginare una società matriarcale a guida femminile, in cui le donne sono i principali membri delle forze armate, a una rielaborazione in qualche modo scientifica del vecchio concetto delle formule magiche. In questo senso, i poteri delle streghe vengono dalla loro voce, e dalla loro capacità di usarla nei modi più disparati, ma non in quanto formula magica vecchio stile, bensì come esercizio fonetico per certi aspetti più primordiale.
Al netto di queste idee abbastanza intriganti, però, Motherland: Fort Salem resta un teen drama soprannaturale abbastanza classico nella scrittura (con l’ovvio groviglio di amicizie, cameratismo, amori contrastati, litigi ecc) e relativamente insipido nella messa in scena, che non va oltre un generico piglio militaresco che non riesce a nascondere il fatto che si gira in quattro stanze e due esterni in croce.
Immagino possa essere un buon prodotto per spettatori e soprattutto spettatrici ancora giovani, che non hanno grande esperienza seriale e a cui può sembrare tutto nuovo. Chi invece, come tot di noi, segue serie soprannaturali (teen o meno) dai tempi di Buffy, non c’è granché per cui stupirsi.

Council of Dads
Qui la situazione è semplice. Le alte sfere di NBC si sono guardate in faccia e hanno detto “proviamo a fare un altro successone come This Is Us?”, senza ricordarsi che i successoni così difficilmente si possono replicare come e quanto si vuole, sennò lo farebbero tutti. Fatto sta che ci stanno provando con Council of Dads, creata da Joan Rater e Tony Phelan, e incentrata sulla figura di un padre (interpretato nel pilot da Tom Everett Scott) che morendo di cancro lascia ai suoi migliori amici il compito di sostituirlo come figura paterna per i suoi svariati figli, avuti dalla moglie (Sarah Wayne Callies) o adottati in varia forma.
Qual era (ed è) il bello di This Is Us? Che è una serie potenzialmente molto zuccherosa, ma che grazie all’eleganza della sua messa in scena e dei suoi giochi temporali, riesce a sorprendere gli spettatori dandogli la piacevole impressione di guardare qualcosa di più nobile e articolato di una semplice soap opera familiare. Ecco, quella stessa magia non esiste in Council of Dads, che è una serie zuccherosa e basta. A parte il sapore vagamente retrò di una serie che piuttosto che lasciare dei ragazzi senza padre gliene dà tre in sostituzione, il resto è una lunga sequela di scene ora dolorose, ora edificanti, ora smaccatamente commoventi, che finiscono con l’essere presto abbastanza ripetitive e dolciastre. A mancare è un guizzo visivo o di scrittura che sia in grado di allontanarsi almeno in parte dal melò, stuzzicando una curiosità che invece stenta a decollare.
Non è “orrenda”, ma il mondo seriale è davvero troppo vasto e brulicante per starle dietro settimana dopo settimana.



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