11 Novembre 2020

Moonbase 8: astronauti per finta di Diego Castelli

Gente che si prepara allo spazio e non ho pronta nemmeno per l’Arizona

Pilot

Una cosa che mi affascina da sempre, quando si parla di viaggi nello spazio, sono gli esperimenti che si fanno qui, sulla Terra, per verificare la possibilità di costruire insediamenti su altri pianeti.
In pratica, per capire con precisione quali sarebbero le sfide che si troverebbe ad affrontare un ipotetico equipaggio di una nave spaziale diretta verso la Luna o Marte, gruppi “di prova” vengono mandati nel deserto a fare finta di essere su un altro pianeta, riproducendo più o meno le stesse condizioni e problematiche che un giorno qualcuno affronterà effettivamente, ma con la sicurezza di potersene tornare subito a casa qualora le cose si mettessero male.
Da un certo punto di vista, rispetto agli effettivi astronauti trovo quasi più eroiche queste persone, che scelgono volontariamente di vivere per mesi e mesi in quello che a tutti gli effetti è un lockdown ben più complicato di quello che molti di noi stanno vivendo ora, al solo scopo di permettere ad altre persone ancora di compiere le imprese per le quali saranno ricordate per sempre, mentre loro, la cavie, non se le cagherà mai nessuno.

A fronte di questa morbosa fascinazione, capirete dunque la mia curiosità al cospetto di Moonbase 8, nuova serie di Showtime dichiaratamente comica (quindi non troppo approfondita dal punto di vista scientifico) ma ambientata proprio lì, in una di queste “serre” umane dove aspiranti astronauti si allenano alle condizioni proibitive dello spazio extraterrestre.
Creata da Fred Armisen, Tim Heidecker, John C. Reilly e Jonathan Krisel (e interpretata dai primi tre, mentre il quarto è il regista di tutti i primi sei episodi), Moonbase 8 racconta la vita quotidiana di tre poveri imbecilli, Cap, Rook e Skip, che sono finiti a fare i volontari per la NASA per i motivi più diversi, nessuno dei quali così valido da giustificare un’impresa del genere: la voglia di riscatto dopo molti insuccessi professionali, la fede religiosa che spinge a portare la parola di Cristo anche fuori dai confini della Terra (mentre intanto tua moglie e i tuoi dodici figli se la spassano con il pastore della tua comunità), la voglia (o meglio il dovere) di ripercorrere le orme di un padre famoso.

La “Moonbase 8”, che come nome suggerisce non è l’unica installazione prevista dalla NASA nel deserto dell’Arizona, è un piccolo regno asettico dove i nostri devono vivere conducendo esperimenti, tenendo un preciso diario delle loro esperienze, e più in generale confermando la possibilità non solo di vivere sulla Luna, ma anche di essere loro stessi dei buoni candidati per il lancio spaziale.
E non credo di fare un grande spoiler dicendo che no, non sono buoni candidati: fra errori grossolani, bisticci infantili, e anche una discreta dose di sfiga, i nostri dimostrano ogni singolo giorno la loro palese inadeguatezza, mostrando una grezza ordinarietà laddove l’agenzia spaziale si aspetterebbe rigore scientifico e ferrera stabilità psicologica. Anzi, viene proprio da chiedersi chi diavolo può aver acconsentito a spendere milioni di dollari per dare una chance a questi tre poveracci senza arte né parte.

L’idea, insomma, c’è, perché l’ambientazione di Moonbase 8 è abbastanza originale da destare l’attenzione. E anche i tre protagonisti tutto sommato funzionano, perché sono abbastanza diversi, come carattere e background, da offrire lo spunto per una buona varietà di situazioni.
Però manca qualcosa. Sul fronte della scrittura, Moonbase 8 non punta necessariamente alla risata sguaiata, quanto piuttosto a situazioni surreali e buffe, ma quale che sia l’obiettivo, il risultato è fin troppo lieve. I sei episodi della prima stagione scorrono abbastanza piacevolmente, senza grossi tempi morti, ma a mancare è quel guizzo, in termini di ritmo e/o di invenzione delle gag, che permetta di entusiasmarsi veramente.
Viene abbastanza semplice provare una certa tenerezza verso questi tre astronauti della domenica, finiti in una situazione ben più grande di loro, ma una serie del genere, per lasciare una traccia degna di questo nome nonostante le sue tre ore scarse complessive di durata, dovrebbe colpire con più forza, osare di più, stupire in qualche modo. Solo che non succede quasi mai, nemmeno quando, come nel caso di una contaminazione da virus, la serie sembra potersi avvicinare alla nostra attuale quotidianità, con tutte le possibilità di una comicità potenziata dall’aggancio con l’attualità. Invece, niente neanche lì.
Il risultato è che Moonbase 8 può benissimo stare simpatica, ma è del tutto verosimile che fra un paio d’anni, quando qualcuno chiederà “me la consigli Moonbase 8?”, risponderemo con il classico “Aspetta, qual è che non mi ricordo?”
Ma è più probabile che nessuno ci farà quella domanda.

Perché seguire Moonbase 8: concept abbastanza originale e attori in parte.
Perché mollare Moonbase 8: in termini scrittura manca la forza delle comedy più sorprendenti.

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