8 Settembre 2022

Mo – Su Netflix lo spinoff di Ramy di Diego Castelli

In attesa della terza stagione di Ramy, il suo spin-off Mo si merita certamente un po’ di attenzione

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PICCOLISSIMI SPOILER SULLA PRIMA STAGIONE DI MO

Sono più di due anni che i fan di Ramy, la bella serie creata e interpretata da Ramy Youssef, aspettano la terza stagione, e forse non avrebbero apprezzato l’arrivo di uno spin-off senza avere notizie certe sul ritorno della serie madre.
Per fortuna, però, quelle notizie ci sono: la terza stagione di Ramy arriverà su Netflix il prossimo 30 settembre, e quindi possiamo goderci senza alcun fastidio la sua prima costola, chiamata Mo.

Se ricordate, Mo era uno degli amici di Ramy, interpretato da Mohammed Amer, stand-up comedian di origine palestinese che ora si prende uno spazio tutto per sé, raccontando la storia di un personaggio che si chiama come lui (“Mo” è diminutivo di Mohammed, ovviamente) e ha le sue stesse origini.

La premessa produttiva, dunque, è molto simile, e le due serie sono palesemente sorelle, o madre e figlia, come volete. Questo non toglie, però, che ci sia anche qualche importante differenza.

Quando parlavamo di Ramy, avevamo descritto la storia di un ragazzo americano di origini egiziane che si trovava in difficoltà nel trovare il proprio posto nel mondo.
Amore, religione, famiglia erano i tre vertici di un triangolo di formazione e frustrazione in cui Ramy, un giovane un po’ spaesato ma fondamentalmente “a posto”, anche se incline a un certo egosimo, cercava di costruirsi una vita che avesse un minimo di equilibrio, ma soprattutto di senso.

Spostandoci su Mo, troviamo sicuramente dei temi simili nel racconto di un ragazzo che, vivendo da anni in America in qualità di richiedente asilo palestinese, si sente costantemente in bilico fra un mondo e l’altro, incapace di sentirsi pienamente parte di nessuno dei due.
Allo stesso tempo, però, i temi di fondo sono almeno in parte diversi, e il racconto molto più dritto.

Anche in Mo si parla di famiglia e amore. La madre di Mo è molto religiosa, attaccata alle tradizioni, e spera di vederlo sposato con una bella ragazza musulmana. Mo, invece, è innamorato di una messicana cattolica che non ha intenzione di piegarsi più di tanto alle tradizioni islamiche.

Il vero fuoco dell’azione, però, non sta qui, né il protagonista sembra mettere al centro della sua vita privata uno specifico problema di integrazione e inserimento.
Per certi versi, il problema di Mo è opposto a quello di Ramy: lui sa da dove viene, ha ben chiaro il ricordo del padre ormai morto che li ha portati in America, ma sa anche dove vuole andare, perché il suo più grande desiderio è che venga accettata la richiesta di asilo pendente da anni, con la speranza, un giorno, di diventare cittadino americano.

La vera questione, dunque, è un’altra: il ricordo del padre è anche un modello da seguire nei confronti del quale Mo non si sente all’altezza. Legatissimo all’anziana madre e a un fratello non pienamente autosufficiente (che peraltro è più grande di lui), Mo ha dovuto rivestire i panni di un capofamiglia non previsto, che sente la responsabilità di tenere in piedi una baracca che scricchiola ogni volta che lui, immigrato senza documenti, rischia di perdere il lavoro e quelle poche sicurezze che riesce di volta in volta a crearsi.

Come Ramy, Mo è una commedia, e per certi versi anche una commedia più semplice e spartana dell’originale. È però proprio nei problemi del protagonista, nei suoi assilli e nelle sue preoccupazioni, che la serie si eleva del semplice intrattenimento per raccontarci qualcosa di più importante, in questo sì con una certa somiglianza rispetto a Ramy: Mo è un uomo normale, una persona come tante, che al netto di una fede religiosa e una provenienza per noi molto esotica, resta un povero cristo (ma si potrà dire “povero cristo” di un musulmano?) che cerca di tirare a campare e di strappare al destino le condizioni migliori possibili per la propria famiglia.

Ma giusto per rimbalzare subito da una somiglianza a una differenza, Mo è anche un serie molto più politica di Ramy, da diversi punti di vista.
Mentre Ramy è un cittadino americano per cui la tensione fra due mondi è soprattutto culturale e filosofica, per Mo invece si tratta di una questione pratica: è un rifugiato che da anni chiede asilo politico, ma che finché non lo ottiene potrebbe essere espulso dal paese in ogni momento.

Questa differenza sostanziale si articola in almeno due diverse direzioni.
In primo luogo, c’è la questione palestinese. Mo e la sua famiglia vengono dalla Palestina, e i ricordi che si portano dietro sono quelli di una vita difficile, maltrattata, bullizzata, in cui fra i cattivi c’è esplicitamente lo stato di Israele che li ha cacciati dalle loro terre. Ora, non è questa la sede per mettersi a parlare di politica mediorientale, e ognuno può pensarla come vuole, ma è certamente degno di nota che Netflix, piattaforma americana che in questo caso produce una serie americana, si esponga in modo così chiaro nel raccontare le ragioni di una famiglia palestinese.

In secondo luogo, c’è il tema della richiesta di asilo in quanto procedimento. Uno dei temi centrali di Mo non è tanto la legittimità o meno della richiesta di asilo, bensì le lungaggini burocratiche che il processo comporta. In un racconto che sicuramente può far suonare molti campanelli anche nella testa di noi italiani, Mo si scontra con una burocrazia infinita che dà vita a molte gag (dal cambio di avvocato al confronto con un giudice gentile ma anch’egli impastoiato in mille regolamenti), ma innanzitutto ci restituisce il senso di una vita costantemente in bilico, in cui progettare il futuro, cosa che Mo non vedrebbe l’ora di fare, è un’utopia che i locali danno invece per scontata.

Nel complesso, credo che Ramy resti superiore a Mo, in termini strettamente artistici. Più creativa nelle sue soluzioni narrative, più sottile e straniante nella sua comicità, in generale più sorprendente e originale.

Faremmo un torto al suo spin-off, però, se non gli riconoscessimo la capacità di mettere in scena un intrattenimento fresco e gradevole, al cui interno si nascondono questioni importanti e la possibilità, per lo spettatore, di scoprire mondi diversi dal proprio, senza per questo subire la pesantezza di una pomposa lezione.

Perché seguire Mo: è uno spin-off capace di aggiungere all’originale, mantenendone o spirito.
Perché mollare Mo: perché Ramy resta superiore, e a pretendere lo stesso livello si può rimanere scottati.

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