16 Maggio 2023

Silo – Su Apple TV+ una bella distopia dal creatore di Justified di Diego Castelli

Silo racconta un’umanità decimata e costretta a vivere in un deposito scavato per decine di piani nel sottosuolo

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Ci sono tanti modi in cui una serie tv ti può colpire. Un personaggio, un’idea, una linea di dialogo, un’atmosfera. Spesso, nelle serie tv più recenti, è questione di piccoli dettagli perché la storia vera ci mette tre episodi a partire.
E poi invece, alle volte, arrivano serie tv che dopo tre episodi ti danno l’impressione di averne visti quindici, perché sono dense di avvenimenti, significati, storie e personaggi.
È il caso di Silo.

Disponibile su Apple Tv+, Silo è tratta dai romanzi di Hugh Howey ed è adattata per la televisione da Graham Yost, già showrunner dell’amatissima Justified.
La storia è quella di un futuro in cui la superficie terrestre è una landa desolata e invivibile, e dove quel che rimane dell’umanità, non più di diecimila persone, vive confinata in un silo profondo centinaia di piani, in cui vive una vita piena di regole, caste, procedure, con un occhio sempre verso l’esterno in cerca di un miracolo che gli consenta di uscire.
A complicare le cose, il fatto che una fantomatica ribellione avvenuta 140 anni fa prima cancellato ogni memoria scritta o visuale del passato: gli abitanti del silo non sanno da quanto tempo l’umanità è confinata lì dentro, e non sanno nemmeno esattamente perché.

La densità a cui accennavo poco sopra coinvolge tutti gli elementi della serie.
I primi due episodi sono ovviamente dedicati al world building, servono cioè a immergerci nel mondo della storia, dandoci gli elementi chiave per comprendere quel mondo, coglierne le dinamiche principali, dare ai personaggi uno spazio fisico e valoriale in cui muoversi.
In questo, Silo non si risparmia, e per quanto possa peccare di un leggero didascalismo (con molte informazioni veicolate nei dialoghi in modo fin troppo semplice), c’è effettivamente molto da sapere e da raccontare di un mondo in cui la civiltà umana è stata sostanzialmente resettata per poi ricrescere in piccolo, con un sistema di regole, tradizioni, classi sociali, che richiama molti elementi delle società in cui viviamo, riuscendo comunque ad avere una sua originalità.

Ma se altre serie si accontenterebbero di mettere le basi della trama, confidando nel loro fascino più che nel racconto di effettivi eventi importanti, Silo non ci sta: seguendo la storia dello sceriffo del deposito, Holston Becker (David Oyelowo), e di sua moglie Allison (Rashida Jones), Silo ci butta subito all’interno dei misteri della struttura, in particolare dell’impossibilità di uscire.
Gli abitanti del silo possono vedere un video in diretta del “fuori”, e sanno che finora chiunque sia uscito per pulire le lenti che permettono di vedere l’esterno non ha mai fatto ritorno, ucciso da un qualche imprecisato veleno capace di penetrare anche nelle tute stagne.

A cambiare le cose è la scoperta, da parte di Allison, del fatto che forse si tratta di un complotto, forse l’esterno non è pericoloso e qualcuno trama per impedire agli abitanti del silo di conoscere la verità. Da qui la possibilità di chiedere di uscire, una richiesta che nel silo è presa molto, molto seriamente: se anche solo pronunci il desiderio di andare fuori, la macchina burocratica si mette in moto, e non potrai più ritrattare la tua decisione.

Se vi sembra che mi sia dilungato anche troppo nel raccontare la trama dei primi due episodi, dovete considerare che non vi ho detto un sacco di altre cose: il desiderio di genitorialità di Holston e Allison in un mondo in cui la riproduzione è rigidamente controllata, approvata e perfino fisiologicamente permessa o negata (tramite contraccettivi meccanici inseriti e rimossi nei corpi delle donne); l’esistenza di lotte di potere fra lo sceriffo, il Sindaco Ruth (Geraldine James), i responsabili della sicurezza guidati da Robert Sims (Common); l’infinita rete di segreti e verità dimenticate che riverberano nell’esistenza di reliquie appartenenti a un’epoca passata (la nostra).

Come se non bastasse, col terzo episodio cambia tutto: in pratica c’è una nuova protagonista, Juliette (Rebecca Ferguson) che lavora come ingegnere nei piani più bassi del silo, dove c’è il generatore che produce l’elettricità necessaria alla vita della struttura, e che per vari motivi ascende a un potere che non chiedeva di avere, e che potrebbe rivelarsi tanto necessario quanto pericoloso.

Insomma, tre episodi in cui succede un sacco di roba e in cui veniamo a sapere un altro sacco di roba.
La cosa bella è che è tutto comprensibile, tutto preciso, anche nella gestione dei piani temporali: la storia è raccontata su piani diversi (un po’ come il silo…), separati da pochi anni uno dall’altro, e il passaggio fra di essi è gestito con sapienza e maestria, rinunciando alla pigrizia delle scritte sullo schermo, e affidandosi invece al montaggio, agli oggetti di scena, alla recitazione, oltre che naturalmente alla presenza o meno di certi personaggi.

Soprattutto, Silo diverte, e diverte in modi diversi a seconda del momento.
Se i primi due episodi sono contemporaneamente molto informativi e molto drammatici (per motivi che non sto a spoilerare), il terzo invece è un puro concentrato di suspense, in cui Juliette deve risolvere una spinosa questione tecnica mettendo in campo bravura, spirito di sacrificio e, naturalmente, una stressante corsa contro il tempo.
E per quanto non si tratti di grandissime novità nel modo in cui Hollywood racconta le sue storie (quella suspense è creata con le collaudate tecniche dei disaster movie), quello che conta è il risultato finale, cioè episodi che scorrono via rapidi e appassionanti, lasciandoti la sensazione di aver visto e appreso l’equivalente narrativo di molte più puntate.

In ultimo, come da tradizione per le distopie, Silo si porta dietro un ulteriore strato di significati più metaforici e politici, al di là del semplice intrattenimento.
E anche qui ce n’è per tutti.

Ovviamente, l’esistenza stessa del Silo rimanda alla questione della salute della Terra, all’inquinamento e alla autodevastazione del genere umano, ma al momento non sono nemmeno i temi più importanti.
Nel vedere come la società umana si è ricostruita in un insieme di classi rigidamente divise e controllate da leggi molto precise, Silo ci mette in guardia dal rinunciare alla conoscenza (le reliquie sono illegali, per esempio) in nome della sicurezza, e ragiona sul valore della memoria e della Storia come chiave per comprendere il presente e progettare il futuro.

Ma si affrontano anche temi più piccoli come lo sfruttamento del corpo delle donne, il valore della democrazia e la tentazione di piegarla in nome della praticità, la ribellione all’autoritarismo (specie quello meno evidente) e altri ancora.

Insomma, solo tre episodi (al momento di scrivere questa recensione) in cui c’è davvero di tutto, e in cui la voglia di stupire con effetti speciali e grandezza produttiva non va mai a scapito dello sviluppo e della comprensibilità della storia.
Silo non ha i picchi sorprendenti del grande sfoggio di autorialità, ma in compenso ha tutti i crismi di una storia scritta e raccontata bene, con entusiasmo, con voglia di immergere fin da subito gli spettatori in un mondo ricco e interessante.

Vale anche la pena di sottolineare un cast di livello, molto in palla soprattutto nelle scene più drammatiche e ad alto tasso di tensione, e in cui spiccano perfino i “non protagonisti”, dove troviamo un premio oscar come Tim Robbins oppure Iain Glen, buon vecchio Jorah Mormont di Game of Thrones.

In attesa di scoprire se Silo riuscirà a gestire fino in fondo la grande mole di materiale che ha così ben presentato nei primi tre episodi, non posso che dire “approvatissima”.

Perché seguire Silo: per la capacità di costruire in soli tre episodi una storia densa, piena, interessante e appassionante.
Perché mollare Silo: se soffrite di claustrofobia.



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