30 Maggio 2023

The Marvelous Mrs. Maisel Series Finale – Ciao Midge, ci mancherai di Diego Castelli

Arriva al termine il capolavoro di Amy Sherman-Palladino, con un finale giustissimo e indimenticabile

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SPOILER SUL FINALE DI SERIE

È una settimana strana.
La conoscete la sensazione, no? Quando finisce quella serie che amavi tanto, che ti ha fatto compagnia per anni, e che ora scompare lasciandoti un vuoto forse incolmabile.
Ecco, quella sensazione di vertigine, di mancanza di terra sotto i piedi, nel giro di sette giorni ci è successa e ci succederà tre volte, perché in sette giorni sono terminate The Marvelous Mrs. Maisel, Succession e Ted Lasso.
Potremmo perfino dire tre volte e mezza, considerando la conclusione di Barry: non diffusa, potente e amate come le altre tre, ma comunque un piccolo gioiellino.

Ecco, se di solito, alla fine di una serie che abbiamo molto amato, ci fermiamo a guardare il muro e riflettere sulla vita, dopo questa settimana probabilmente sarà il caso di entrare in analisi, perché l’universo avrà perso improvvisamente scopo.
Per cercare di gestire il lutto e fermare la testa che gira, non possiamo fare altro che scrivere tre recensioni e provare a tenere insieme i pezzi.

Cominciamo con la fantastica (e ora indimenticabile) signora Maisel.

Dopo una quarta stagione sempre di buon livello, ma probabilmente non così memorabile, Amy Sherman-Palladino era chiamata a un totale all in per la quinta e ultima stagione: portare a compimento la vicenda di Midge Maisel raccontandoci del suo (probabile) successo e della chiusura di un cerchio aperto ormai da diversi anni, sia nella nostra percezione di spettatori, sia nella vita del personaggio.

Un personaggio che, ricordiamolo, vive in un mondo colorato e divertente, pieno dei dialoghi fitti fitti a cui Palladino ci ha abituato fin dai tempi di Gilmore Girls, traboccante di bei vestiti, bei cappellini e persone adorabili. Diamine, sono simpatici pure i criminali.
Allo stesso tempo, è un mondo anni Cinquanta e Sessanta che si portava dietro alcuni dei problemi della realtà, sia quella di allora, sia quella di adesso. Un mondo dove tutto funziona e gira tranquillamente, a patto che le donne facciano le mogli e le madri, così devote al marito da alzarsi prima al mattino solo per potersi togliere dalla faccia il disordine notturno e presentare al coniuge appena sveglio il viso perfetto di una moglie ineccepibile.

Nel primo episodio, Midge Maisel sceglieva di rompere questo schema per perseguire un sogno, quello di diventare una stand-up comedian, una che fra una risata e l’altra, fra una schermaglia e una baruffa con parenti, marito e tutto il resto, minacciava di ribaltare completamente l’universo in cui viveva.
La quinta stagione, per quanto ricca di situazioni e personaggi potesse essere, doveva rispondere a una semplice domanda: che ne è di quel sogno?

Per dare questa fatidica risposta, Amy Sherman-Palladino compie due scelte importanti, insieme narrative e discorsive. Da una parte conduce Midge nella squadra degli autori di Gordon Ford, famoso presentatore del classico talk show all’americana, che accoglie la protagonista nella sua redazione ma le pone davanti un paletto inaspettato: potrà scrivere per lui, ma non potrà mai esibirsi in trasmissione.
Il nuovo lavoro permette a Midge di esprimere la propria creatività e ottenere un buono stipendio, ma in qualche modo la ferma a metà del percorso: la vera sfida, per il suo sogno, non è più quella di uscire dalla mediocrità coniugale, bensì quella di non accontentarsi di un progetto realizzato solo a metà.

E proprio mentre ci racconta di questa nuova opportunità/sfida, che di per sé poteva lasciarci in sospeso fino alla fine, Palladino spariglia le carte con un’altra idea inaspettata. Attraverso una serie di flash forward disseminati per i vari episodi, l’autrice ci mostra il futuro di Midge, un futuro in cui effettivamente la nostra comica arrembante è riuscita a sfondare, diventando una star della tv e dei palcoscenici di tutta America. Un futuro, però, segnato anche da qualche problema che ben presto diventa una specie di giallo all’interno della comedy: come mai l’ex marito di Midge è in prigione? Com’è che il suo rapporto coi figli fa abbastanza schifo? Soprattutto, perché il sodalizio con Susie a un certo punto si è rotto, tanto che i flash forward servono (anche) a raccontare la rinascita dell’amicizia?

Parte di queste domande trovano risposte precise, altre ne trovano di (a volte troppo) indirette, ma tutte insieme compongono il mosaico che effettivamente ci porta a capire cosa ne sarà della nostra signora Maisel, e cosa possiamo trarre dalla sua avventura.
Ed è qui che c’è il sugo vero, l’idea migliore, il lascito più importante.

Prima di arrivarci, un momento per dirci due cose tecniche, molte lodevoli, qualcuna meno.
Dal punto di vista del puro intrattenimento, la quinta stagione di The Marvelous Mrs. Maisel è stata spettacolo puro. Più ricca (anche in termini economici), più sfavillante, più iperbolica, più luccicante.
È riuscita a costruire le sue consuete trame comiche, infilandoci viaggi nel tempo, trucchi e parrucche sempre più elaborati, numeri musical, e una costante attenzione per il metatesto, per lo sguardo dietro le quinte, che si parli delle meccaniche dietro la costruzione di un numero musicale o del lavoro sporco e stressante degli autori che reggono con le loro battute uno show in diretta.

E dentro tutto questo, ha trovato lo spazio per gettare una luce affettuosa e riconoscente verso quei personaggi secondari che teoricamente vivono alle spalle di Midge, ma che hanno saputo dare così tanto allo show da meritare tutti gli onori possibili.
Penso naturalmente a Susie, che ha avuto una puntata tutta sua per mostrare il suo percorso di crescita e di successo come agente dei grandi dello spettacolo.
Penso al marito di Midge, che a inizio serie era abbastanza detestabile, ma che alla fine di uno sviluppo che ha grattato via l’egoismo lasciando solo l’amore ci ha consegnato un uomo disposto a farsi blastare in diretta e perfino ad andare in galera affinché la donna amata potesse coronare i propri sogni.
E non possiamo nemmeno tralasciare Abe, il padre di Midge, per tanto tempo brillante macchietta del professore ebreo tutto lavoro e regole, che sul finale si rende protagonista di un grande, commovente slancio intellettuale e filosofico, quando si rende conto delle sue mancanze come padre nei confronti di una figlia femmina che nemmeno il suo acume professorale gli aveva permesso di supportare come avrebbe meritato. Il discorso con i colleghi a cena, così lucido e amorevole in mezzo all’ottusa e vuota accademia degli altri professori, è una scena di livello altissimo.

Poi c’è stato pure qualche scivolone. O scivolino, dai.
Proprio la gestione del rapporto fra Midge e il marito non mi è sembrata sempre perfettamente a fuoco. Nell’ultimo episodio, quando vediamo lui disposto a lasciare definitivamente il posto al successo della moglie, non lo rivediamo però nel futuro, quando è ancora in carcere. Il fatto che a lui non sia stato concesso nemmeno un minutino in quel tempo “quasi presente”, è sembrata una scelta un po’ cattivella.

Allo stesso tempo, proprio il litigio e la temporanea separazione di Midge e Susie non ha trovato una spiegazione piena e definitiva, considerando che sì, le due avevano litigato proprio per il destino di Joel, ma poi Susie aveva messo da parte qualunque orgoglio per chiedere alla moglie di Gordon di adoperarsi per ottenere uno spazio per Midge.
Abbiamo assistito con piacere alla riappacificazione finale, ma senza che i motivi della separazione fossero così precisi da farci arrivare a quel momento con la giusta carica emotiva.

Si tratta comunque di piccoli dettagli, modesti disordini in un affresco gigantesco che poi, col finale, arriva alla sua perfetta chiusura.

Dopo aver a lungo brigato per arrivare a esibirsi in diretta, ingannando perfino Gordon per riuscirci, Midge piazza un monologo d’antologia che, lasciatelo dire da uno che non ha mi trovato i monologhi di Midge il punto di forza dello show, è assolutamente impeccabile.
Divertente, profondo, calibratissimo.

In quel monologo, Midge ci fa ridere e fa ridere il suo pubblico, ma ci ricorda anche i suoi inizi, le battaglie che ha dovuto combattere, i muri che le sono stati posti davanti e che dovuto buttare giù a spallare.
Un discorso femminista, certo, di un femminismo probabilmente basilare, che dovrebbe essere scontato, quello di una donna che rivendica il merito di aver saputo scalare una montagna che, se il mondo girasse come dovrebbe, non sarebbe stata così alta, o almeno non più alta di quella dei suoi colleghi maschi.

Soprattutto, però, è un monologo che ha una crepa. Una nota volutamente stonata.
Nel raccontare la sua vita di aspirante comedian, Midge è “costretta” a ricordare i tradimenti del marito e la fine del suo matrimonio, e per fare il suo mestiere, per far ridere il suo pubblico, usa una gag che sembra scontata ma non lo è: finge di dimenticare continuamente il nome dei suoi figli, un mini-tormentone che chiude il monologo alleggerendo il tutto appena dopo il punto più vero e meno ridanciano del discorso.

Dopo il monologo e il trionfo di Midge, andiamo nel futuro e cosa troviamo? Una donna ricca, agiata, famosissima, che però vive in una villa enorme dove sta da sola insieme alla servitù, dove le superfici sono lustre ma rimandano troppi eco, e dove gli unici punti di calore sono mucchi di foto incorniciate che ricordano una vita passata che evidentemente non esiste più.
In questo contesto, Midge è una lavoratrice indefessa che non sa stare senza fare niente, tanto che sfiora il panico quando scopre che un solo giorno della sua settimana non è stato riempito con un’esibizione.
L’unica concessione al relax è una telefonata con la vecchia amica Susie, che vive in un altro continente ma si attacca volentieri al telefono per guardare insieme a Midge una puntata registrata di Jeopardy, il famoso quiz televisivo.
Due donne sole e lontane, che trovano conforto in una telefonata intercontintale.

Se ricordate, ne parlavamo già alla fine della passata stagione. Di come ci fosse una necessità, per Midge, di fare delle scelte, di sacrificare qualcosa. E se il sacrificio più grande e doloroso di tutti sembra quello di Lenny Bruce – personaggio reale morto a 40 anni per overdose di morfina dopo un processo per oscenità che stroncò la sua carriera e la sua vita, risultando però un punto di svolta per la coscienza sulla libertà di espressione – Amy Sherman-Palladino schiva consapevolmente il rischio più grande corso dalla sua serie e dalla sua protagonista, cioè quello di costruire un finale stucchevole e dolciastro in cui a Midge sia concesso tutto. Tutta la gloria, tutto l’amore, tutta la famiglia.

Non funziona così. È la vita, a non funzionare così. La vita funziona che si fanno delle scelte, e raramente quelle scelte sono gratis. C’è sempre un prezzo da pagare, un sacrificio da fare, qualcosa da lasciare da parte per ottenere qualcos’altro.

Midge Maisel sceglie di fare quello che ama e di essere famosa per questo, e in nome di quel sogno rinuncia praticamente a tutto: a un matrimonio felice, e più in generale all’amore vero; rinuncia ai suoi figli, quelli di cui dimenticava per scherzo il nome e che da grandi avranno con lei un rapporto freddo e distante; per lungo tempo rinuncia perfino alla sua migliore amica, salvo riuscire a recuperare almeno lei in tarda età; a giudicare dal suo panico da calendario vuoto, rinuncia anche alla serenità, alla capacità di stare semplicemente ferma a contemplare i suoi successi.

Eppure Midge è felice, e Amy Sherman Palladino, con queste ultime scene, riesce nell’incredibile compito di non giudicarla mai. Eliminato (per fortuna) il finale tutto rose e fiori, si poteva costruire (in teoria) un discorso buonista che condannasse la scelta di rinunciare a tutto in nome di un unico obiettivo. Oppure, all’opposto, si potevano incensare le scelte solitarie di Midge, in una furente critica verso i valori tradizionali della famiglia.

Ma il punto qui era un altro. Nonostante la sua capacità di portare avanti certe istanze femministe, Midge Maisel non si è mai posta come un modello da seguire a tutti i costi, e non lo fa neanche nel finale.
A essere importanti e meritevoli di giudizio non sono le scelte che Midge effettivamente compie, ma il fatto che le abbia potute compiere, il fatto di aver combattuto per avere una scelta.
L’insegnamento finale di The Marvelous Mrs. Maisel, che vale nel senso della lotta al patriarcato ma in realtà si applica a qualunque ambito umano, è che dovremmo batterci affinché ogni persona, indipendentemente da come è fatta, da dove viene, e da cosa desidera, venga concessa la possibilità di scegliere la propria strada. O quanto meno di esprimere quel desiderio e di provare a realizzarlo.

Che quelle scelte siano giuste o sbagliate, che alla fine si sia felici o pentiti di averle compiute, non ha alcuna importanza. Non importa vincere o perdere, importa avere la possibilità di partecipare alla corsa. Altrimenti, il rischio è che chissà quante Midge Maisel rimangano confinate in un’ombra che non meritano.
Anche se questa no.
Questa Midge Maisel è riuscita a emergere, e non la dimenticheremo.
Tits Up!



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