13 Ottobre 2023

Everybody Loves Diamonds su Prime Video – Hahahaha, no. di Diego Castelli

Una serie tv su un fatto di cronaca assai interessante, raccontato nel peggior modo possibile

Pilot

Quando guardi tante serie tv, e se da anni ne scrivi sperando che qualcuno ti legga, sai benissimo che la maggior parte delle cose che vedrai finirà nella fascia media. Poi magari sei di bocca buona come me o più esigente come il Villa (che poi però si intrippa per Lidia Poet, lasciamo stare), ma comunque la maggior parte delle cose che guardi sta in quel mezzo dove i pregi si mescolano ai difetti, e seguire 50 puntate diventa anche questione di generi, di piccoli gusti, di momenti della vita.

E poi certo, ci sono le eccezioni. Le serie così belle da farti dubitare della tua precedente accondiscendenza (“Non è che finora sono stato troppo buono?), e le serie così brutte da spingerti a rivalutare anche le ciofeche (“Forse con quella là sono stato troppo duro”).
In questo senso, al di là del nostro intrattenimento, le eccezioni servono a ridefinire gli equilibri, ricordarci dove stanno i confini, per rendere più comprensibile anche tutto quello che sta in mezzo.

Per questo motivo dovrei essere felice del pilot di Everybody Loves Diamonds, nuova serie di Prime Video. Ma solo per questo motivo, però, perché per il resto mi ha fatto venire voglia di colpirmi con un grosso martello anche solo per non dover guardare un altro minuto.

Everybody Loves Diamond, a dispetto del titolo inglese, del cast almeno in parte internazionale, e dell’ambientazione europea, è una serie italiana a tutti gli effetti, che racconta la vera storia di un ladro nostrano (Leonardo Notarbatolo), autore nel 2003 del classico “furto del secolo”: insieme ad alcuni compagni, infatti, riuscì a rubare diamanti e gioielli per un valori di circa 150 milioni di dollari dal Diamond Centre di Anversa, fino a quel momento considerato totalmente impenetrabile.

A guidare il cast c’è Kim Rossi Stuart nei panni di Notarbartolo, a cui si affiancano diverse facce note come Anna Foglietta, Gian Marco Tognazzi, Carlotta Antonelli, tutti diretti da Gianluca Maria Tavarelli (già regista di numerose fiction da tv generalista) sulla sceneggiatura di Michele Astori.

Dopo aver visto il primo episodio (non ne vedrò altri per questioni di sanità mentale) l’unica cosa a cui non si può dire niente è l’idea in sé di raccontare questa storia e l’impianto narrativo su cui si basa.

Si tratta infatti di una vicenda poco conosciuta ma effettivamente rilevante, pienamente italiana, e il fatto che il protagonista sia ormai fuori di prigione, intervistato in questi giorni proprio in virtù della sua attività di consulente per la serie, aggiunge al tutto uno stuzzicante tocco di surreale.

Se il primo episodio racconta l’immediato seguito del furto e l’arresto di Notarbartolo, dando i primi dettagli sulle leggerezze che hanno portato alla sua cattura (il bottino, per la cronaca, non è mai stato ritrovato), il trailer degli episodi successivi suggerisce che vedremo l’effettiva preparazione ed esecuzione del colpo, secondo il classico schema da heist movie alla Ocean’s Eleven.

Il problema, per Everybody Loves Diamonds, è che una buona idea e un impianto ragionevole sono solo il primo passo per avere una buona serie tv, e in questo caso tutti i passi successivi sono un inciampo dietro l’altro.

Non è mai bello giudicare male qualcosa a colpo d’occhio, rischi sempre di parere supponente e ti resta il dubbio di essere stato frettoloso.

Eppure alle volte non puoi proprio evitare: nelle primissime inquadrature di questa serie, quando la camera si avvicina a un Kim Rossi Stuart che, con impostazione teatralissima e fintissima, si mette a parlare agli spettatori come se fosse l’idea migliore del mondo e non una tecnica ormai vista e stravista, capisci subito che finirà male (e finisce pure peggio quando la stessa cosa viene fatta da altri personaggi in maniera casuale, confondendo completamente lo spettatore circa i punti di vista privilegiati del racconto).

Idem per certe scelte, di nuovo vecchissime, nella presentazione dei personaggi, con i titoli a video tipo “Sandra, la regina delle serrature” (non me lo sto inventando) che fanno tanto wannabe Tarantino che però queste cose le faceva negli anni Novanta, e comunque con più inventiva di così.

Si tratta comunque di piccolezze che saltano all’occhio ma che potrebbero pure essere peccati veniali. Il problema vero è che né scrittura né messa in scena possono pensare di reggere la responsabilità di trovarsi nel 2023.

Regia e fotografia di Everybody Loves Diamonds sono degne della peggior fictionaccia: si vede qui e là il tentativo di costruire inquadrature meno banali e con luci più ricercate, ma il risultato è goffo, scolastico, a partire probabilmente dalla bassa qualità delle apparecchiature. Si ha subito un’impressione di una forte povertà di mezzi, di tentativi maldestri di fare il film ammeregano senza averne né le competenze né gli strumenti.

Non c’è scena che non sembri scritta dall’intelligenza artificiale, con dialoghi impostati, didascalici, completamente irrealistici, che impediscono qualunque tipo di immersione nella storia. Non hai mai la sensazione di guardare persone vere, ma gente che recita e si preoccupa solo di passarti informazioni sulla trama.

E sulla recitazione mi tocca tornare, in particolare per Kim Rossi Stuart.
Non posso dire di essere un esperto del suo lavoro, anche se mi ricordo di essere perfino andato a vederlo a teatro in vecchio Macbeth di mille anni fa.

Però ragazzi, io non so com’è di solito e spero sia meglio di così, spero anzi che questa sia la peggior prova della sua carriera.
Il suo tentativo di fare il protagonista brillante, che sia intelligente e scaltro ma anche soverchiato da eventi inaspettati su cui non ha controllo, implode completamente in un costante overacting, una recitazione iperbolica e manieristica che è sempre evidente in quanto tale, in quanto finzione e interpretazione. Non ci credi mai, e dico mai, al fatto che sia una persona vera, impegnata da veri problemi. È sempre e solo Kim Rossi Stuart su un palcoscenico, una parodia di sé stesso che nemmeno l’impostazione vagamente commediosa della serie riesce a bilanciare, perché una comedy non è una farsa.

Ha una bella faccia, ce l’ha sempre avuta, ma per essere il protagonista di una serie tv devi prendermi, tirarmi dentro la storia, e darmi l’impressione che, se avrò la pazienda di stare con te per diverse ore, mi farai divertire, emozionare, entusiasmare. Qui invece c’è l’immediato e costante imbarazzo di vedere quanto male il buon Kim potrà pronunciare la sua prossima battuta.
E poi non so perché, ma nelle prime scene mi sembrava Morandi, parlava ai suoi compagni come una specie di ex cantante settantenne reinventatosi gentile coltivatori di orti.
Oh, sei il capo di una banda fichissima che ha appena messo a segno il colpo del secolo, ma dove diavolo sta il carisma?

Mi fermerei qui. Non solo nel senso che non guardo altri episodi, ma anche nella recensione. Sparare sulla croce rossa può essere divertente per cinque minuti, ma alla lunga diventa stucchevole.
Per quanto mi riguarda, di Everybody Loves Diamonds non si salva niente, è semplicemente un prodotto che sarebbe suonato vecchio già vent’anni fa, una cosa di cui ti accorgi istantamente, anche passandoci davanti per pochi istanti.

Il fatto che venga da Prime Video stupisce e intristisce, anche se poi pensi a certi punti bassi toccati dalle serie italiane di Netflix, e non puoi che dedurne che è proprio un problema italiano: non che non siamo in grado di costruire singole eccellenze, ma il livello medio è ancora troppo, troppo basso.

Perché seguire Everybody Loves Diamonds: masochismo.
Perché mollare Everybody Loves Diamonds: perché trasmette un sincero imbarazzo per tutte le persone coinvolte nella sua produzione.



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