3 Novembre 2023

Gen V season finale – Entusiasmo confermato di Diego Castelli

Gen V ci aveva soddisfatto nei primi tre episodi e non ha smesso di divertirci fino a un finale legato a doppio filo al futuro di The Boys

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CI SARANNO SPOILER, MA SOLO NELLA SECONDA PARTE E BEN SEGNALATI

Ed eccoci qui. Siamo arrivati alla fine della prima stagione di Gen V, lo spinoff di The Boys di cui avevamo parlato dopo i primi tre episodi, e vale la pena fare un consuntivo, come si dice sempre nelle riunioni di condominio.

Questo perché Gen V, che fin da subito aveva messo in mostra la capacità di inserirsi pienamente nel solco narrativo e stilistico tracciato dalla serie madre, pur mantenendo una sua piena personalità, è effettivamente riuscita a rimanere divertente e interessante fino alla fine, confermando alcuni temi e aggiungendone altri, ma soprattutto incastrandosi con la storia di The Boys in un modo che, all’inizio, appariva non così prevedibile.

Visto che questo articolo esce proprio nella stessa mattina in cui arriva l’ultimo episodio stagionale (che io ho visto qualche giorno prima perché a Prime Video sono brave persone), facciamo che gli esempi spoilerosi li teniamo alla fine.

Prima di allora, e dando per scontato che non serva raccontarci di nuovo tutto quando sulla genesi e le premesse di Gen V, diciamoci qual è il miglior pregio della serie o, per meglio dire, l’elemento strutturale più significativo, che più rappresenta l’anima dello show, e che queste otto puntate hanno saputo sviluppare al meglio, al netto di qualche piccolo inciampo.

Già nella prima recensione accennavamo al ribaltamamento di una specifica prospettiva di The Boys: se là i protagonisti erano semplici umani (Butcher e compagni), mentre i supereroi erano quasi tutti cattivi e antagonisti, in Gen V si assisteva a una specie di ritorno alle origini, con ragazzi dotati di poteri che effettivamente speravano di diventare supereroi.
Poi certo, il tutto filtrato dal mondo di The Boys: ok, vogliono diventare supereroi e Marie ha perfino l’ardire di pensare che il suo futuro sia aiutare la gente (tenera lei…), poi però la loro vera carriera sarà quella degli influencer.
Come dire, ritorno alle origini, ma fino a un certo punto.

Il resto della stagione di Gen V, però, mescola ulteriormente le carte, sostenendo quell’impalcatura morale grigia, grigissima, che caratterizza questo mondo narrativo.
Alla fine di questo primo ciclo di episodi, sono ben pochi i personaggi che possano dirsi davvero innocenti, e chi più chi meno si portano tutti dietro colpe di vario peso, alcune evidenti e autoconsapevoli, altre tali solo ai nostri occhi.

Quello di The Boys, che poi non è altro che una versione estremizzata dal nostro, è un mondo che corrompe, che travia, che sostituisce i valori più basilari del vivere civile (e che solitamente i supereroi proteggono mettendo a rischio la propria vita) con la ricerca della visibilità, della fama, del potere, del denaro. Un mondo in cui gli eroi non possono permettersi il lusso di stare fuori dalla società e dai suoi meccanismi perversi, e dove un potere in più o in meno non è abbastanza per salvarsi l’anima.

Certo, tutto guidato dalla Vought, la megacorporazione da distopia anni Ottanta che mistifica la realtà e la piega al suo volere senza che i super-umani possano fare alcunché per impedirlo, anzi diventando cavie e burattini. Ma anche quando smettono di esserlo, non necessariamente è per schierarsi con il Bene, quanto piuttosto per portare avanti una parodia di lotta di classe che si risolve in violenza e sopraffazione, in uno scenario in cui ognuno lotta per sé e capire dove stia la Giustizia diventa sempre più complicato.

La cosa bella è che Gen V, come The Boys, ci ficca in gola questo bel quadretto ottimista usando un’alta dose di intrattenimento.
Non passa episodio in cui non si possa applaudire per questa o quella scena gustosamente grottesca, o per un twist inaspettato, o per un piccolo tocco di ironia (anche se meno rispetto alla serie madre, come già notavamo un paio di mesi fa).

Non solo, Gen V mette in scena una costruzione narrativa precisa, solida, che consente a praticamente tutti i personaggi principali di avere un proprio sviluppo credibile e interessante, e che riesce, verso la fine, a intersecarsi con la vicenda di The Boys in un modo che, fino a quel momento, non credevamo di desiderare così tanto: perché effettivamente, a posteriori, il fatto che Gen V non abbia rappresentato una semplice deviazione dalla trama principale, giusto per riempire un altro po’ di spazio, si rivela una mossa più che azzeccata, perché ci dà la vera e concreta impressione di non aver perso tempo con un filler (per quanto divertente).

Insomma, ottimo.

DA QUI IN POI FACCIAMO SPOILER ANCHE SUL FINALE

Se parliamo di sviluppo dei personaggi, viene spontaneo guardare a Marie e soprattutto al modo in cui vengono gestiti i suoi poteri.
Quando la serie inizia, Marie ha un potere di manipolazione del sangue che ci suona molto particolare, anche un filo inquietante, ma non necessariamente fortissimo: di fatto Marie deve costantemente rischiare di dissanguarsi giusto per produrre delle fruste con cui accalappiare dei fuggitivi o, al massimo, dei pugnali di sangue che sono sì pericolosi, ma non più dei poteri di molti altri.

Col procedere delle puntate, però, la consapevolezza di Marie (e nostra) nei confronti dei suoi poteri aumenta, e pian piano, in maniera del tutto logica, ne comprendiamo le reali potenzialità: Marie può usare il sangue di chiunque, non solo il suo, e non c’è motivo per cui non possa farlo anche quando il sangue è ancora dentro il corpo.
In breve tempo, Marie passa da una che al massimo ti può menare sporcando dappertutto, a una che può farti esplodere il pisello o un braccio (come fa con Cate) semplicemente guardandoti, fino al punto di diventare perfino una rivelatrice di sups, perché è capace di percepire la presenza del composto V nel sangue di chi si trova di fronte.

Ed è proprio quando abbiamo ormai scoperto le vere potenzialità di quel potere (un potere anche curativo, peraltro, che trasforma Marie nel simbolo di quanto le cose possano andare bene o male a seconda delle circostanze e delle influenze esterne) che arriva la rivelazione che Victoria Neuman ha le stesse abilità.

In The Boys, la Neuman era una sedicente umana anti-sups che poi, a un certo punto, si rivelava capace di far esplodere la testa della gente. Scoprire che ottiene quel risultato avendo lo stesso potere di Marie (e rivelarlo solo al termine del percorso suddetto della ragazza) è un ottimo modo per costruire ponti solidi con la serie madre, accrescendo costantemente il valore del personaggio di Marie in maniera fluida e coerente.

Poi naturalmente c’è tutto il resto. Il percorso di Cate, che all’inizio sembra innocente, poi non è più così innocente ma ha l’alibi della manipolazione da parte della Shetty, e poi diventa la vera e propria cattiva manipolatrice, che costringe la stessa Shetty a una morte atroce e si mette alla testa della ribellione dei giovani sups. Quello di Sam, altro esempio di corruzione nel vero senso della parola: un ragazzo pericoloso ma ingenuo e pronto a desiderare il bene, che viene facilmente portato sulla cattiva strada da chi è capace di sobillare i suoi più bassi istinti. Quello di Emma, che come Marie compie un percorso che riguarda la sua mente, le sue credenze, la sua autopercezione, ma che va di pari passo con lo sviluppo dei suoi poteri e che culmina con l’immagine di lei che rimpicciolisce senza bisogno di indursi il vomito.

L’arrivo di Homelander nel finale, e la comparsa di Butcher nella scena post-credit, potrebbero suonare come fanservice, una sorta di premio tratto dall’originale per chi ha avuto la pazienza di guardarsi tutta la prima stagione dello spinoff.

Sarebbe però una considerazione ingenerosa, perché qui non si tratta solo di una comparsata buona per instagram, ma di un ritorno precisamente programmato al filone narrativo principale.
Se la Godolkin era solo una scuola per supereroi, alla fine della stagione e con tutto quello che è stato rivelato (compreso il fatto che il college era più che altro una struttura per “studiare gli studenti” e ottenere così un controllo ancora più stretto su di loro), quello diventa un luogo centrale del mondo di The Boys, un punto in cui i protagonisti “veri” devono passare, perché lì potrebbero trovare la fonte necessaria per nuove storie nella serie principale.

Insomma, senza bisogno di scomodare parole troppo altisonanti (sapete bene come qui evitiamo accuratamente, salvo ponderate eccezioni, la dicotonomia tanto amata dai social fra merda e capolavoro), Gen V è una signora serie tv.

È chiaro che non ci colpisce come la prima stagione di The Boys, ma comunque ci stupisce per la sua capacità di non essere solo un’appendice, bensì una storia che ha perfettamente senso, costruita con criterio, popolata di personaggi efficaci, e infine così ben inserita nel suo mondo di riferimento, da non poter fare altro che re-inserirsi in quello stesso mondo, trovando in esso certificazione del proprio valore (un po’ come un giovane sup che passa dalla scuola ai Seven).

A questo punto attendiamo la quarta stagione di The Boys, con una speranza imprevedibile due mesi fa, cioè quella che sia un seguito degno della prima stagione di Gen V.
Mica poco.





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