5 Ottobre 2016 5 commenti

Conviction: Hayley Atwell dalla Marvel ai legal (purtroppo) inutili di Diego Castelli

Hayley ci piace un botto, ma non basta

Copertina, Pilot

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Fino al primo marzo dell’anno scorso Hayley Atwell era famosa soprattutto per il ruolo di Peggy Carter, l’agente segreto (più che) amica di Capitan America nel mondo cinematografico Marvel, e protagonista di Agent Carter, serie conclusa dopo due stagioni proprio in quel primo marzo di qualche mese fa.

Agent Carter non era una serie clamorosa ma si faceva comunque ben volere, fresca, leggera, simpatica, senza troppe pretese ma col piglio giusto. Ma soprattutto c’era lei, Hayley, che io avevo visto per la prima volta nei panni di Aliena nella miniserie tratta da I pilastri della terra (2010), e di cui mi ero innamorato alla follia. Ma innamorato proprio nel senso che, se non avesse fatto l’attrice e l’avessi conosciuta per caso, probabilmente ci sarei rimasto sotto, corteggiandola senza speranza mentre lei concedeva le sue grazie a uomini più belli e stronzi di me.
Ne avevamo anche parlato all’epoca, di come la fisicità morbida e in qualche modo rassicurante della Hatwell, unita alla sua recitazione carismatica da donna con le palle, riuscisse a portare sul piccolo schermo un ideale di bellezza e sensualità ben diverso da quello a cui siamo abituati. Una boccata d’aria fresca a cui non volevamo dare toni troppo retorici da pubblicità progresso, ma che comunque si notava e piaceva.

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Neanche un anno dopo la nostra Hayley è di nuovo in pista, e torna in tv protagonista di uno show che con i supereroi e le spie non c’entra niente e in cui interpreta un personaggio ben diverso.
Conviction racconta la storia di Hayes Morrison, figlia dell’ex presidente degli Stati Uniti, ragazza ribelle con alle spalle un po’ di scandali fra droga e festini, che però è anche un avvocato coi controcazzi e con un sacco di materia grigia nel cervello. Hayes viene ingaggiata suo malgrado dal procuratore distrettuale per capeggiare una squadra tutta particolare, deputata all’identificazione degli errori giudiziari: insomma, devono tirare fuori di prigione gli innocenti che ci sono finiti per sbaglio. Hayes non vorrebbe affatto partecipare alla cosa ma ne è in qualche modo costretta, e malgrado le reticenze iniziali finirà con l’appassionarsi al lavoro.
Accanto alla protagonista ci sono diverse conoscenze seriali a comporre la squadra, da Emily Kinney (la Beth di The Walking Dead) a Shawn Ashmore di The Following, passando per Manny Montana (Johnny di Graceland) e Eddie Cahill (visto per anni in CSI New York)

Conviction (3)

Si è detto che Hayley ci piace da sempre, il resto del cast è all’altezza, o per lo meno titilla le nostre papille seriali come in gigantesco crossover, quindi tutto a posto? Purtroppo no.
Conviction, duole dirlo, è niente più che un banalissimo legal, di quelli che la generalista sforna a ciclo continuo, cambiando una cosa qui, un dettaglio là, giusto per dare una vaga idea di novità, ma in fondo senza cambiare niente.
Il concept ci viene spiegato per filo e per segno nel giro di 4 minuti netti, e il personaggio di Hayes sembra subito volersi iscrivere nella lunga lista dei geniacci intrattabili ma che portano a casa il risultato. C’è spazio per un po’ di cattiverie verso i sottoposti, per un po’ di ribellione all’acqua di rose, e ovviamente anche per mostrare i punti deboli del personaggio, a cui viene il magone quando viene trattata male dalla madre.

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Tutto fatto a modino, insomma, come da manuale, ma senza un guizzo che sia uno, un’idea diversa, una sorpresa vera. Non è The Good Wife, insomma, che pur rimanendo perfettamente dentro il suo genere trovò il modo di spiccare, vuoi per la sceneggiatura vuoi per la recitazione.
Anzi, da un certo punto di vista qui ci provano pure troppo: l’immagine di Hayes come “ribelle geniale che sta sulle balle a tutti ma va sopportata perché sennò non vinciamo” viene caricata in maniera eccessiva, con scene e battute concepite per quello scopo in maniera troppo vistosa e quindi pacchiana. Si supera insomma quella linea sottile fra i personaggi che sono in un certo modo, e quelli che lo vogliono sembrare. Ci si poteva aspettare qualcosa di più dalle creatrici Liz Friedland e soprattutto Liz Friedman (non è un glitch di Matrix, si chiamano quasi uguale), che vengono dalla produzione di roba come House e Jessica Jones.
Certo, c’è Hayley Hatwell, e la regia pur banale e ordinaria riesce comunque a cogliere la sua forza prorompente di fronte alla telecamera. Però non esiste un attore o un’attrice che da solo/a valga il totale prezzo del biglietto (a parte nel porno, se ci pensate) e anche in questo caso l’affetto che proviamo per la protagonista difficilmente può far dimenticare che dopo quindici minuti avevo già voglia di guardare filmati di gattini su internet.
Non brutto dunque, e gli impallinati del genere magari ci passeranno qualche ora. Però completamente superfluo.

Perché seguire Conviction: nel magico mondo dei legal e dei procedural, Conviction si inserisce senza infamia e senza lode, nella parte medio-bassa della classifica.
Perché mollare Conviction: a parte l’amore per Hayley Atwell, non c’è davvero alcunché di diverso rispetto ad altre cento serie uguali a questa.

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