20 Ottobre 2017 6 commenti

Suburra – La Serie, un lungo romanzo di contro-formazione di Marco Villa

Quella di Suburra – La serie è una buona prima stagione, con grandi possibilità di crescita

Copertina, On Air

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[SI PARLA DELLA PRIMA STAGIONE DI SUBURRA – LA SERIE, MA SENZA SPOILER]

Gli annunci, l’attesa, il lancio, gli entusiasmi, le polemiche, le stroncature. Suburra – La serie, la prima prodotta da Netflix in Italia, ha attraversato tutte queste fasi, in un saliscendi di elogio e stroncature che ha avuto ben poco di razionale. Perché la possibilità di sparare a zero contro un prodotto italiano, per giunta realizzato da Netflix, è troppo ghiotta e dà un sacco di punti credibilità in quella gara di sfiga senza fine chiamata “mi si nota di più se”.

La situazione, invece, è molto più lineare, perché Suburra è una serie tv che, semplicemente, funziona: non è una serie perfetta, ma funziona. C’è tensione e ci sono colpi di scena, ci sono trame sotterranee ed esplosioni di violenza, vicende sentimentali e sparatorie. C’è tutto quello che è richiesto dal manuale di una serie di questo tipo, interpretato da attori che rendono bene e in alcuni casi spingono i propri personaggi oltre la scrittura stessa.

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Come già sottolineato nella recensione dei primi due episodi, a svettare su tutti sono Giacomo Ferrara e Alessandro Borghi, che riescono nella difficile impresa di portare i propri personaggi sempre al limite, fermandosi però un passo prima della macchietta.

A loro vanno aggiunti Stefano Acquaroli e il suo Samurai, ben più di un Amendola bis e soprattutto Carlotta Antonelli e Barbara Chichiarelli. Rispettivamente interpreti di Angelica e Livia, si ritrovano tra le mani personaggi che sono per forza di cose subalterni a Spadino e Aureliano, ma a cui riescono a imprimere crescita e carattere, stando lontane dalla forzatura. Sempre femminile è anche l’unica nota stonata a livello di casting, una Claudia Gerini che sembra sempre sfalsata su un altro piano rispetto ai suoi colleghi.

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Quelle di Suburra sono tutte storie di controformazione, in cui volontà di crescita e impulso all’autodistruzione si annullano: il risultato è l’incapacità di perseguire obiettivi che gli stessi personaggi si sono posti. In particolare per il trio dei giovani Aureliano-Spadino-Lele, emerge una assoluta impossibilità di controllare ciò che li circonda: sono sempre all’inseguimento di qualcosa, sempre in ritardo. Del resto questo perenne inseguimento è la situazione in cui si trovano un po’ tutti i personaggi, che vivono un moto continuo da un luogo all’altro di Roma, come se agitarsi fosse l’unico modo per provare a stare galla.

In fondo questa potrebbe essere anche la critica maggiore da muovere a Suburra, ovvero la difficoltà nel porsi un orizzonte ampio, una narrazione orizzontale di respiro, in grado di togliersi la necessità di far succedere tanti avvenimenti più o meno piccoli, ma mai grandi. Scelte di scrittura, così come la decisione di far partire ogni episodio con un flashforward, per tornare poi al giorno prima. Un meccanismo che ha senso solo nei primi episodi, diventando poi di troppo e quasi fastidioso.

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Il grande merito di Suburra, però, è quello di far passare in secondo piano questi difetti, imponendosi grazie a una crescita progressiva, che raggiunge il punto più alto negli ultimi episodi. I tanti avvenimenti citati in precedenza partono infatti da lontano e piano piano si chiudono sui protagonisti, andando a toccare figure a loro sempre più vicine. Una morsa che si stringe e arriva a colpire dove fa più male, fermandosi giusto un attimo prima di andare a toccare i protagonisti stessi.

Questa crescita, unita alle buone reazioni che hanno accolto la serie un po’ dappertutto, è il migliore segnale positivo possibile in vista della seconda stagione: fin qui, Suburra ha dimostrato di avere le carte per giocarsela su Netflix. Adesso serve l’affondo, serve il coraggio per il salto di qualità. La sensazione è che i mezzi ci siano tutti.



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