26 Novembre 2014 6 commenti

Homeland è una grandissima serie tv. Di nuovo. di Marco Villa

Da tanto tempo non si provava il bisogno quasi fisico di vedere subito un’altra puntata di Homeland

Copertina, On Air

'Homeland' takes filming to Cape Town

SPOILER ALERT: LEGGETE SOLO SE AVETE VISTO LA S04E09

Tanti pensavano che il problema di Homeland fosse una Carrie senza più controllo e logica. No, il problema di Homeland era Brody e la quarta stagione è qui a dimostrarlo. Non è un caso che nella serie originale Brody morisse dopo una decina di puntate. Provate a pensarci: condensare gli eventi di tre stagioni di Homeland in una sola. Una roba potentissima. Provate a pensare di condensarli in due stagioni: avrete comunque una serie bomba. Arrivati alla corsa finale delle ultime tre puntate della quarta stagione si può tranquillamente confermare quanto detto qualche mese fa: la terza stagione è stata completamente sbagliata, perché non era Homeland a non avere più nulla da dire, ma la storia di Carrie e Brody. Eliminato lui e archiviata in mezza puntata la figlia (ché i figli piccoli sono sempre una palla al piede per serie di questo tipo), Homeland ha iniziato una risalita che è stata graduale e che, passando attraverso alcuni picchi, ha raggiunto il suo punto più alto con l’ottava puntata, quella del tentativo di fuga di Saul e il suo tradimento/salvataggio da parte di Carrie.

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Se in tutte le stagioni Carrie è stata l’assoluta protagonista, è solo negli episodi di quest’anno che ripreso il controllo totale di Homeland. Con la faccenda della figlia e il modo in cui ha raggirato il giovane pachistano è andata avanti lungo il sentiero che la consacrerà tra i personaggi più odiosi degli ultimi anni, ma è anche tornata la tizia che asfalta tutto e tutti pur di arrivare al suo risultato. E in più ora torna anche a raggiungere il risultato. Perfetto, in questo senso, il già citato momento in cui manda Saul dritto in braccio ai talebani: tradisce una promessa fatta al suo mentore, ma di fatto raggiunge il suo obiettivo in quanto capa della CIA.

Se l’ottava puntata rappresenta il momento del ritorno di Homeland, la nona è il rilancio. Anzi, il super-rilancio. La scena dello scambio dei prigionieri è una delle cose con maggior tensione di questi anni, rivaleggiando con quella della prima stagione in cui Brody era imbottito di esplosivo nel bunker con i boss del governo USA. Anche il discorso “Saul, è questo che siamo?“, a rischio pateticata/retoricata si riesce a salvare. A questa situazione si sovrappone poi quella del marito dell’ambasciatrice e bastano pochi minuti perché queste due storyline si saldino insieme.

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Per riassumere nel modo più rapido questa rinascita di Homeland basta dire che l’ottavo e il nono episodio finiscono lasciandoti la necessità quasi fisica di vedere subito come va avanti la storia. E questo in Homeland non succedeva da tantissimo. Adesso presumibilmente ci attende un’ambasciata occupata dai talebani e un’ambasciatrice sequestrata, ovvero il punto più vicino a una guerra che Homeland abbia mai raggiunto. Tutto questo senza dimenticare che Carrie e Saul sono stati presi a missilate e che c’è la stronza dell’ISI che deve essere smascherata (stronza gigantesca eh). L’unico tassello mancante a queste stagione è una maggiore tensione sessuale tra Carrie e Quinn, ma senz’altro arriverà il prossimo anno. Unico macroscopico aspetto negativo resta il direttore Lockhart, caratterizzato in maniera eccessiva come un incapace: l’ordine di mandare fuori tutti i marine dall’ambasciata è degno di un prete dell’oratorio che manda tutti in attacco nella partitella di calcio. Va bene volerlo tratteggiare come il politicante che non sa nulla di queste cose, però un po’ di misura in più non guasterebbe.

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Ma vabbé, quello che conta è che mancano solo tre puntate e il fantasma di Brody (pur evocato durante il delirio di Carrie) non è mai sembrato così lontano e sbiadito. A inizio stagione speravamo in una ripresa di Homeland, adesso possiamo dire che le attese sono state ampiamente ripagate. Homeland è risorta, viva Homeland.

p.s. oggi è tornato il tecnico della caldaia, l’ultima volta che è stato qui stavo scrivendo di Underemployed. Per la cronaca: tutto a posto, mi ha anche rilasciato il nuovo libretto. Appuntamento a novembre 2016.

Argomenti homeland, spionaggio


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