23 Agosto 2012 3 commenti

Go On – La nuova serie con Matthew Perry parte bene di Marco Villa

Sar

Copertina, Pilot

Se c’è un attore che non lascia mai indifferenti e che, sempre e comunque, dà un punto di qualità in più a tutto ciò che fa, quell’attore è Matthew Perry, senza dimenticare che – dio santo – è sempre e comunque Chandler Bing.

Dopo aver smesso i panni del coinquilino amico, al buon Matthew non è andata bene. Aveva scommesso su quello che pareva essere un cavallo sicuro (Studio 60), ma che ha finito a malapena il primo e unico giro di pista. Poi è stato protagonista di Mr. Sunshine, che non era malaccio, ma che comunque non meritava un rinnovo. E così è stato. Go On parte con aspettative meno alte e con un hype pressoché nullo, con il primo episodio mandato in onda da NBC nel periodo olimpico senza strombazzamenti di rilievo (o almeno così ci è parso dall’assolato bel paese).

Creatore è Scott Silveri, già nel gruppo di autori di Friends e co-creatore di Joey, il fallimentare spin-off di Friends con Matt LeBlanc. Le coordinate in cui ci si muove, quindi, sono piuttosto chiare. E allora chiarisco subito anche io come la penso: Go On non è male, non è niente male.

Matthew Perry è Ryan King, un giornalista sportivo che conduce un programma radiofonico. No, non è un’altra serie meta sul mondo della televisione-radio-giornalismo. Non lo è per un semplice motivo: il nucleo della serie non è il lavoro di Ryan, ma il fatto che sua moglie è morta da poco e lui sta cercando di ripartire. Per farlo, però, è costretto proprio dai suoi datori di lavoro a frequentare un gruppo di supporto, formato da casi umani e freak più o meno eclatanti. Ovvio che, inizialmente dubbioso e iper-sarcastico, finirà per non poterne fare a meno.

La serie è tutta qui, nel tentativo di rinascita del personaggio di Perry e nelle cose buffissime-ma-te-pensa che fanno gli amichetti suoi. Perry è ovviamente la variabile che fa saltare ogni equilibrio nel gruppo e nella testa di chi guida la seduta. Quella di Go On è una comicità mai troppo spinta, che passa da battute particolari e citazioni a momenti più tristanzuoli. Probabilmente non sarà la serie che farà ribaltare dalle risate, ma, fin dal primo episodio, promette di essere un prodotto di atmosfera, che fa di un tono tutto suo – a tratti amarognolo – la propria caratteristica principale.

In questa situazione, il faccione da cane mediamente bastonato di Perry è in grado di giganteggiare. Buona parte di Go On è lui. In caso continui così, diventerebbe un telefilm godibile e poco più. Dovessero crescere anche gli altri personaggi, le cose cambierebbero. Nel dubbio, lo terrei d’occhio.

Perché seguirlo: perché a Matthew Perry bisogna sempre dare una chance. Sempre. E perché Go On si tiene a distanza di sicurezza dagli spettri della sitcom anni 90, nonostante il curriculum del suo creatore.

Perché mollarlo: perché non è la comedy che vi svolta la serata e vi fa andare a letto contenti e felici dopo delle belle risate. Ci si diverte, ma non si riderà mai fino alle lacrime.



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