6 Dicembre 2012 5 commenti

How I Met Your Mother ha rotto: deve imparare da Once Upon a Time di Diego Castelli

Un salto ardito? Mica troppo…

Copertina, I perché del mondo, On Air


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OCCHIO, NON LEGGETE SE NON SIETE IN PARI CON ENTRAMBE LE SERIE (O ALMENO CON QUELLA CHE SEGUITE!)

Oggi doveva scrivere il mio socio, ma è malato, povera stellina. Tornerà domani più vispo che mai, ma nel frattempo mi ha lasciato con l’incombenza di coprire la giornata di oggi.
In realtà non mi coglie del tutto impreparato, perché una cosuccia da dire ce l’avrei, maturata dopo la visione degli episodi settimanali di How I Met Your Mother e Once Upon a Time. Che c’azzeccano, dite voi? Calma, non spingete, ora ve lo dico…

Cominciamo con una prima, ponderata riflessione: How I Met Your Mother ha rotto i coglioni.
Spiace dirlo così, brutalmente. E non sto dicendo che abbia smesso di essere una buona sitcom, o una sitcom divertente. Più semplicemente, è arrivato il momento di piantarla con le buffonate, tirare fuori la Madre e andare avanti con la nostra vita.
Abbiamo già avuto modo di criticare la scelta di usare praticamente lo stesso finale per due stagioni diverse. Prima vediamo un matrimonio e scopriamo che lo sposo è Barney. Un anno dopo vediamo che la sposa è Robin. La prossima volta scopriremo il misterioso menu del rinfresco.
Il problema è strutturale: How I Met Your Mother ha fondato la sua cifra stilistica sul fatto di raccontare eventi “passati”. Bene, bravi, bis. Ne abbiamo parlato (bene) tante volte e non ci torneremo su. Ora però stanno venendo fuori i problemi: ormai sappiamo che Barney e Robin decideranno di sposarsi, e ci sta anche bene, ma non possiamo passare mesi e mesi a capire come sono arrivati a quel momento. Perché dopo un po’ mi rotolano via gli attributi.
Pensiamo a Friends, di cui HIMYM è erede spirituale in molti modi: tra Ross e Rachel era un continuo rincorrersi, ma non sapevamo mai se sarebbero davvero tornati insieme o no. Quando sono tornati insieme per sempre, la serie è finita. Qui sappiamo già che i due ri-quaglieranno, ma gli autori diluiscono all’infinito il processo di riavvicinamento.
Il motivo è anche chiaro: tirarla in lungo perché altrimenti bisogna rivelare chi è la Madre e, virtualmente, chiudere baracca e burattini. Purtroppo però, la questione sta diventando stucchevole, il pathos è sparito, e anche le buone idee comiche, che continuano a esserci, finiscono con l’essere svilite da una chiara sensazione di blocco e stagnazione.

La puntata di lunedì è stata emblematica: la necessità (meglio, l’irritante volontà) di allungare il brodo quanto più possibile, ha creato un Barney Stinson cretino/depresso che prima non si accorge che Robin lo desidera, e che poi la rifiuta per poter parlare con la paffuta Patrice.
Ma che, è un universo parallelo? C’è Walter Bishop da qualche parte? Un Osservatore nascosto dietro una colonna del McLaren? Chi è questo tizio così mollaccione e apatico? Di certo non il Barney Stinson che conosciamo e amiamo, quello che quando è triste smette di essere triste e comincia a essere awesome, true story.
Siamo di fronte a un caso particolare in cui lo sviluppo del personaggio non deriva da esigenze interne dello stesso, ma da volontà esterne che ne plasmano forzatamente la psicologia per raggiungere un risultato numerico, cioè l’accumularsi delle puntate.
Inutile aggiungere, a corollario, che Ted Mosby, il protagonista di questa serie, da mesi è inutile. Ma inutile. Sarà che non è mai stato il personaggio più divertente, ma è davvero un sacco di tempo che la sua vicenda non interessa a nessuno.
Ancora una volta, è il momento di accelerare, di prendersi delle responsabilità. Il meccanismo ha funzionato benissimo, innovativo e fecondo finché vogliamo, ma dopo otto anni sta mostrando la corda.
Pronunciate le due parole ad alte voce: otto anni. Assaporatele: otto anni. Sono otto anni che ci è stato detto che questo tizio deve conoscere la donna della sua vita, e ancora non l’abbiamo vista! Ma i figli stanno ancora ad ascoltarlo? Com’è che non cercano di sfuggire all’agonia per uscire di casa e drogarsi come qualunque adolescente?
E la cosa bella, come già abbiamo avuto modo di argomentare, è che non sarebbe una tragedia svelare l’identità della Madre e proseguire comunque. Ormai siamo affezionati a questi personaggi, vi pare che sarebbe un problema andare avanti anche a rivelazione avvenuta?
Senza voler fare eccessiva polemica col mio stimato compare, che ha pure il febbrone, pensate a The Big Bang Theory: attraversa e ha attraversato alti e bassi (su cui possiamo essere più o meno d’accordo), ma questa stagione è divertente di brutto, e clamorosamente superiore ad How I Met: perché la scrittura meramente comica è cresciuta rispetto all’anno scorso; perché non sappiamo cosa succederà; soprattutto, perché non è nemmeno tanto importante, non c’è alcuna pressione e si va avanti in leggerezza godendosi il momento, non essendoci un futuro già scritto che preme e impone scelte discutibili.

Qui arriviamo a Once Upon a Time, di cui la scorsa domenica è andato in onda il midseason finale. Ancora una volta, gli autori hanno cambiato le carte in tavola.
Un anno fa, OUAT era iniziata con un villaggio e una maledizione. Sembrava scontato pensare che la fine della maledizione sarebbe coincisa con la chiusura dello show. E il rischio era che un moltiplicarsi delle stagioni avrebbe allungato oltremodo la manfrina (qui immaginate sempre i coglioni che rotolano tipo balle di fieno in Texas). Invece no, perché gli sceneggiatori hanno spezzato la maledizione sul finale della prima stagione. Pam, pum, pim, e siamo in una storia completamente diversa. E’ stata una mossa tanto ardita quanto pericolosa, e io stesso ho detto che questa seconda stagione mi sembra un po’ meno forte proprio perché manca quell’elemento.
Ma cazzo, almeno hanno evitato di ammorbarci per anni con la stessa storia riproposta all’infinito.
Non contenti, ‘sti mattacchioni l’hanno rifatto appena nove episodi dopo: Emma e Snow sembravano destinate a rimanere nella dimensione fiabesca almeno (e sottolineo almeno) per una stagione intera. Sarebbe stata la scelta più scontata. E invece no, sono già tornate, ma nel loro viaggio hanno trovato un nemico assai pericoloso che ora le ha seguite e farà un macello totale.

Senza dire che Once Upon A Time è un capolavoro – le mie serie preferite sono ancora altre – siamo di fronte a un prodotto di cui, a conti fatti, non riusciamo a prevedere il futuro, perché è stato capace di rendersi imprevedibile. Tra otto anni Once Upon a Time potrebbe essere diversissimo da com’è ora, senza per questo suonarci finto o pretestuoso. E questa non può essere altro che una ricchezza.
Di How I Met Your Mother, invece, conosciamo la fine da una vita, ma ancora non c’è verso di arrivarci. Era un’idea nuova, curiosa e divertente, che sta diventando frustrante e stiracchiata. Magari sarebbe ora di piantarla, o no?



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