9 Gennaio 2015 5 commenti

Agent Carter: la Marvel fa sempre le sue cosine a modino di Francesco Martino

Continua l’espansione del Marvel Universe

Copertina Pilot, Pilot

Agent Carter (3)
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Diciamocelo chiaramente: Agent Carter era un azzardo. Portare sul piccolo schermo, anche se per una breve parentesi, un personaggio poco conosciuto come quello interpretato da Haley Atwell era un rischio che solo la Marvel poteva permettersi.
Ma tanto alla Casa delle Idee le cose stanno andando talmente bene, che ormai ci si prende il rischio di trasformare fumetti meno conosciuti in successi mondiali (qualcuno ha detto Guardian of the Galaxy?) e di azzardare una miniserie su un personaggio che, fino a questo momento, avevamo visto solo come co-protagonista nel primo film di Captain America e in un corto dedicato al mercato home-video. Cosa serve, allora, per trasformare un personaggio semi-sconosciuto nella star di uno show televisivo? Semplice, pianificazione!

È ormai ovvio come tutti i prodotti Marvel facciano parte di un grande schema dove tutto, ma proprio tutto, ha il suo scopo, seppur piccolo. Anche Agent Carter ha il suo, ed è quello di raccontarci i fatti successivi alla “morte” di Captain America e alla Seconda Guerra Mondiale, con una Peggy alle prese con la malinconia per la scomparsa del suo amato e i suoi impegni di agente in un antenato dello SHIELD.
A fare da collante tra le vicende c’è il furto di numerose invenzioni di Howard Stark, trafugate dal caveau dell’inventore e immesse nel mercato nero da Leviathan, una simpatica organizzazione segreta che, per impedire ai propri agenti di parlare e quindi di confessare qualche tipo di segreto, rimuove chirurgicamente le corde vocali dei suoi adepti. Il posto di lavoro ideale. Per far fronte a questa emergenza Howard Stark dovrà abbandonare il paese perché sospettato dalle autorità (un’ottima scusa per giustificare l’assenza di Dominic Cooper dalla serie) lasciando a Peggy il compito di riabilitare il suo nome in quella che è la più classica delle spy story.
E forse sarebbe proprio questo il potenziale problema di Agent Carter, quello di dover raccontare fatti di cui lo spettatore è (o può essere) già a conoscenza cercando di renderli interessanti attraverso un linguaggio diverso da quello supereroistico. Eppure, nonostante questo possa sembrare un limite, in realtà non lo è perché, come già dimostrato con le sue precedenti produzioni, quello della Marvel è un marchio di fabbrica, uno stampino in grado di creare ottimi prodotti d’intrattenimento anche quando si parte delle premesse peggiori, e di creare film e serie tv tanto diverse nei contenuti quanto simili nello spirito.
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Agent Carter

È proprio per questo motivo che Agent Carter riesce a essere un’ottima distrazione della midseason; una serie che probabilmente non avrà mai il peso di Agents of SHIELD, ma che nonostante questo è realizzata con la classica cura che caratterizza le produzioni dei Marvel Studios. Cura che si vede, ad esempio, nel grande budget a disposizione nel primo episodio, dove la qualità di alcuni scorci ricostruiti in digitale è davvero notevole, o nell’aver voluto affidare la regia del secondo episodio a uno dei fratelli Russo, già dietro la macchina da presa per il secondo film di Captain America.
In aggiunta a ciò c’è poi Haley Atwell che, oltre a deliziare il pubblico maschile con altri tipi di “scorci”, porta in scena un personaggio femminile diverso rispetto a quanto visto nel mondo degli eroi in calzamaglia, costretta a fare i conti con una società fortemente maschilista e con la poca fiducia che i suoi colleghi ripongono in lei. Proprio queste due caratteristiche, in realtà, fanno di Peggy Carter un supereroe senza maschera, un agente segreto che deve mentire non solo alle sue amiche -lavora per una compagnia telefonica- ma anche ai suoi colleghi, che malgrado i successi durante la guerra la vedono ancora come una sexy segretaria costretta a riempire tazze di caffè. Meno male che ad aiutarla c’è almeno Jarvis, maggiordomo di Stark, nome mitico dell’universo Marvel e spalla comico-elegante di ottima efficacia. E per le fan d’annata c’è pure Chad Michael Murray, ex bellone storico di One Tree Hill.

Insomma, è proprio grazie a queste caratteristiche che Agent Carter riesce a essere un bel prodotto di intrattenimento, un piccolo break dalle questioni più serie e imponenti di Agents of SHIELD, condito da quella qualità e quello humor tipico delle produzioni Marvel. Inoltre, vista la durata di soli otto episodi, penso si possa stare tranquilli sul fatto che riuscirà a rimanere ben piantata su suoi binari, senza “strafare” e portando a casa il compito divertendo lo spettatore.

Perché seguirla: Svolge la sua missione di intrattenimento con buon ritmo e lodevole leggerezza.
Perché mollarla: Lo stile delle produzioni Marvel ormai lo conosciamo. Se non vi piaceva prima non sarà Agent Carter a farvi cambiare idea.
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agent-carter-premiere

PS di Diego Castelli
Ieri sera se ne parlava col Martino, ma forse lui
è timidone di fronte a queste questioni. Eppure c’è un dettaglio che bisogna esplicitare. Se ci basassimo sul normale standard cine-televisivo, Haley Atwell sarebbe ciccia. No vi prego, non mi fraintendete, lo intendo come un grandissimo complimento.
Gi
à il mondo femminile hollywoodiano è pieno di acciughe tiratissime che non vedresti mai nella vita reale, ma ovviamente la cosa acquista ancora più peso nelle serie a forte componente action, dove le valchirie di turno devono anche menare le mani dentro tutine attillatissime.
Ecco, la Atwell
è donna molto diversa: Marvel a parte, se ve la ricordate nei Pilastri della Terra o in Black Mirror sapete già che è una tutta burro, bella pienotta nel senso più sano e morbido del termine. In Agent Carter, dove la cosa è particolarmente evidente nel primo episodio, questo elemento trova esplicita coerenza narrativa (siamo comunque negli anni ’40-’50, e Mad Men insegna), ma ritengo sia una novità di grande rilevanza: non mi viene in mente, nel recente passato, un’eroina d’azione che mostri con orgoglio questo genere di forme, riuscendo peraltro benissimo in tutto quello che deve fare (dalla gattona sexy all’agente cazzuta che mena le mani).
Intendiamoci, non sono qui a fare dello sbrodoloso politically correct: le magre-magre alla Elena Gilbert mi piacevano prima e mi piacciono ancora, e non ci trovo niente di male. Ma che diamine, un po’ di variet
à fa bene agli occhi e fa bene alla mente.
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Agent Carter (2)



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