25 Maggio 2018 1 commenti

Vida – Benvenuti nell’Eastside latino di L.A. di Antonio Firmani

Su Starz una storia di sorellanza, minoranze, nostalgianza (eh?)

Copertina, Pilot

Vida Season 1 2018

Lo scorso 6 maggio, l’emittente americana Starz ha lanciato l’ultima delle sue creature: Vida. Starz è ormai sinonimo di affidabilità, guadagnata negli anni con serie come Spartacus, Black Sails, Outlander, e American Gods. Lo showrunning della serie è affidato a Tanya Saracho, già firma importante in show del calibro di Girls, How to get away with murder e Looking. Attese abbastanza importanti dunque, e dopo aver visto il pilot di questo drama (da 30’, per un totale di 6 puntate a stagione, scelta molto elegante per il genere) possiamo affermare serenamente che non tradisce le attese.

Vida è la storia di due sorelle ispanoamericane (di origini messicane a essere precisi), Emma e Lyn, che più diverse non si può. Cresciute a Los Angeles, eastside, nel quartiere latino, e poi andate via senza più voltarsi, sono costrette a tornarci, loro malgrado, per un evento improvviso: la morte della madre Vidalia. Emma vive a Chicago, è una donna in carriera, dà l’idea di una che si è fatta da sola. È bella, un carattere spigoloso e con quell’aria da snob-presuntuosa, ma con dentro un cuore di panna, che la Saracho le ha cucito su misura. Lyn è l’esatto opposto: accondiscendente, debole, tutt’altro che affermata lavorativamente, paciera e non attaccabrighe come Emma. Negli anni è rimasta in contatto con la mamma, anzi, pare pure che ogni tanto Vida le passasse i soldi per l’affitto; Emma per niente, non sentiva la madre da anni, al punto che non sapeva nemmeno fosse malata. C’è una cosa però che nessuno delle due sapeva: Vida, da due anni, era sposata con Eddy (Karen Ser Anzoategu), lesbica decisamente più giovane di lei al quale ha lasciato un terzo della sua attività (il bar La Chinita, che gestivano insieme), mandando su tutte le furie, manco a dirlo, Emma.

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Il pilot fondamentalmente è tutto qui, con la diversità dei caratteri delle due sorelle che le porta a scontrarsi di continuo; con un funerale al quale presenziare e in cui rendersi conto che pur essendo le figlie di Vida, sono quasi delle estranee e che forse Eddy soffre molto di più per questa perdita; e con Emma che minaccia di arrivismo Eddy, giurandogli battaglia in tutti i tribunali per l’eredità. Sullo sfondo il quartiere latino, con usanze, tradizioni e superstizioni (quale situazione migliore se non un funerale messicano per mostrarne alcune), e una grossa emergenza sociale che si affaccia improvvisamente in puntata: stanno sfollando gente per radere al suolo i sobborghi e riqualificare la zona costruendo case per ricchi, trovando comprensibilmente il disappunto dei locali, tra cui la giovanissima Marisol (Chelsea Rendon).

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Piace questo pilot, perché semplice ma molto intenso. Ci si cala volentieri nelle storie di questo eastside latino, dove parallelamente ai drammi personali di Emma e Lyn camminano i drammi del quartiere, tra povertà e gentrificazione. Non fosse altro che almeno per una volta a L.A. vediamo qualcosa di diverso da palme, spiagge e auto di lusso. Lo stesso Chris Albrecth, amministratore delegato di Starz, ha confessato di credere molto nel progetto e in particolare al talento della Saracho che ha “[…] la capacità di esplorare cultura, genere e sessualità attraverso le lenti di una famiglia latino-americana e della loro comunità”.
Molto credibili entrambe le sorelle, Mischel Prada, Emma,(Fear the walking dead) e Melissa Barrera, Lyn,(Club de cuoervos, da poco approdata su Netflix).
Ho un po’ di dubbi sulla dinamica sorelle diverse-nemiche che poi diventano amiche, perché potrebbe risultare inflazionata, ma viste le premesse non dovrebbe essere così.

 

Perché seguire Vida: Scritto, girato e recitato molto bene, offre uno spaccato interessante su un’America diversa: quella ispano-americana.
Perché mollare Vida: Perché forse di serie in cui due sorelle agli antipodi e in perenne conflitto superano i problemi e diventano di nuovo inseparabili, ne abbiamo viste un bel po’.

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