4 Luglio 2018 6 commenti

GLOW seconda stagione – Romantica ma con giudizio di Diego Castelli

Lottatrici da amare

Copertina, Olimpo, On Air

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SPOILER SU TUTTA LA STAGIONE

Se si parla di GLOW e si vuole esprimere un giudizio sintetico, vengono sempre in mente parole come “carina, dolce, pucciosa, tenerona, colorata”, e altre simili.
È del tutto evidente che si tratta di aggettivi troppo piccoli, potenzialmente ingenerosi verso un prodotto che si vorrebbe definire come una “bella serie”, ma che finisce con l’essere descritta come la foto di un cagnolino.
Nonostante questo, voglio rivendicare e sdoganare quei termini, perché continuano a descrivere buona parte dell’esperienza spettatoriale di GLOW, anche se vale la pena di dargli una cornice un po’ più nobile.

A noi GLOW è piaciuta subito, perché era chiaro il doppio o triplo binario immaginato dagli autori: una storia che fosse semplice e divertente da seguire, che lavorasse sulla nostalgia degli anni Ottanta che va ancora fortissimo, ma che non si limitasse a un mero esercizio di stile (per quanto raffinato e luccicante), presentando personaggi con un loro spessore e un vissuto da raccontare.
I famosi vezzeggiativi di cui sopra nascono qui, da questo calderone nostalgico e romantico, che scalda il cuore.
Come e più che nella prima stagione, anche nella seconda GLOW ha continuato a lavorare sull’eplicito contrasto fra la smaccata finzione del wrestling e l’altrettanto esplicita “normalità” sue interpreti. Raccontando la recitazione caricaturale delle protagoniste, infatti, autori e autrici hanno buon gioco a dare spessore alle vicende che si sviluppano a riflettori spenti, quando Ruth e compagne tolgono costumi e lustrini per gestire le loro beghe quotidiane, diventando improvvisamente fragili e umane, e per questo più che degne del nostro affetto.

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In buona parte – e questo è un limite della seconda stagione – queste beghe sono le stesse dell’anno scorso: la faida mai davvero risolta fra Ruth e Debbie, l’insoddisfazione professionale e poi genitoriale di Sam, le questioni familiari di Carmen, e via dicendo. A dirla tutta, poi, questa stagione è sembrata anche un po’ meno corale, con meno approfondimento delle vite delle lottatrici che non fossero Ruth e Debbie (e in parte Tammé, con la sua commovente relazione con il figlio universitario).
Ma nonostante questi piccoli inciampi, è dura arrivare alla fine senza provare una tenerezza infinita per tutte le protagoniste, per i loro caratteri così diversi, o per la sincerità dell’amore appena nato fra Arthie e Yolanda.
Forse “sincera” è un aggettivo meno ridicolo che possiamo usare per GLOW, che al fondo racconta soprattutto di una voglia di riscatto, di uno spettacolo infantile e stupido che si fa però metafora di una ricerca di valori, di realizzazione, di soddisfazione umana e professionale la cui importanza va ben oltre il mero strumento con il quale si decide di metterla in atto.

Ma se fosse solo quello, se GLOW fosse un semplice accrocchio di sfigate/i che ottiene un inaspettato successo, non ci sarebbe granché di cui parlare, e staremmo guardando una riproposizione piatta e pedissequa di certi film anni Ottanta che pure la serie richiama esplicitamente.
A fare la differenza ci sono altri due elementi: uno è il fatto che GLOW è una serie composta da più stagioni, e quindi non può snocciolare troppo presto un happy end “vero” che metterebbe fine allo show. Il secondo elemento riguarda il fatto che siamo nel 2018, e che alcune questioni, più o meno sotterranee, emergono con maggiore consapevolezza.

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Oltre alla sua superficie divertente e un po’ dolciastra, GLOW è innervata anche da altri temi e sfumature, e da twist meno scontati.
Per esempio, GLOW è una serie apertamente femminista, il cui intento è quello di mettere in scena una femminilità estremamente varia e sfaccettata, lontana da certi stereotipi cine-seriali che vengono effettivamente richiamati dalle maschere del wrestling, salvo poi esplodere di contraddizioni al di fuori del ring. Un femminismo che, nella seconda stagione, emerge soprattutto quando le ragazze vengono minacciate nella loro integrità: quando Ruth viene abbordata dal proprietario del network, a cui di GLOW non frega nulla, non possiamo che partecipare della sua delusione, nella consapevolezza che il suo impegno e il suo talento non contano nulla di fronte al fatto che è una bella ragazza che attira l’attenzione degli uomini. La ramanzina di Debbie, che l’accusa di non esserci stata abbastanza, suona degradante e cattiva, e senza bisogno che nessuno ci abbia ricamato sopra chissà quale spiegone sui diritti delle donne: seguendo la storia di Ruth percepiamo a pelle quanto quell’avance sia stata inappropriata e sminuente.

Ed è forse anche per questo che il finale è sì tutto sommato felice – con la ricomposizione dell’amicizia (o almeno della tolleranza) fra Ruth e Debbie, la nascita dell’amore con Russell e la possibilità di tenere vivo lo spettacolo a Las Vegas – ma anche venato da un’aperta malinconia. Ci sono ancora delle questioni irrisolte, come la tensione romantica fra Ruth e Sam che da una parte è spiacevole perché sporca il rapporto di amicizia e rispetto creato in questi anni, ma dall’altra è anche una buona fonte di suspense per l’immediato futuro. Ma soprattutto, a lasciare l’amaro in bocca alle ragazze è il fatto di non avercela fatta davvero: malgrado un’ultima puntata coi fiocchi, con tanto di comparsate maschili che vengono a prendere sberle dal sesso cosiddetto debole, lo show viene cancellato da un manipolo di grigi uomini in giacca e cravatta, e poi salvato da un altro uomo, un gestore di strip bar che offre la salvezza del live show di Las Vegas, dando però l’impressione di essere lì un po’ per caso o, meglio, per puro culo.

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Le ragazze del wrestling, insomma, continuano a dare il massimo, ma questo massimo sembra non bastare, perché hanno ancora bisogno di uomini benevoli che vengano in loro soccorso: Debbie deve battersi ogni giorno per farsi riconoscere come produttrice dello show e alla fine ha bisogno del fedifrago Mark per conciliare il viaggio a Las Vegas e le esigenze del figlioletto; Britannica deve sposare uno spaurito Bash per la green card; tutte insieme attendono costantemente decisioni sul loro futuro prese da uomini che nemmeno conoscono ma che le giudicano in base a criteri non sempre lusinghieri. Insomma, di strada da fare ce n’è ancora tanta, e gli sguardi malinconici sul bus che porta a Las Vegas non hanno nulla a che vedere con un happy end da tarallucci e vino, quando piuttosto con un nuovo capitolo di lotte e fatica e chissà quali ostacoli sulla strada dell’affermazione di sé.

Se però non c’è un netto lieto fine per loro, almeno c’è per noi, nella consapevolezza che per le Gorgeous Ladies of Wrestling – da cui ci congediamo sulle note (forse in parte ironiche) di “Nothing’s gonna stop us” degli Starship – non è ancora arrivato il momento di arrendersi.

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Varie ed eventuali

-Parlando di stile, gustosissimo l’episodio 8, che è effettivamente un intero episodio di GLOW, inteso come il programma fittizio che è al centro dello show che guardiamo noi su Netflix: un tripudio di scenette da telenovela, incontri di wrestling e addirittura canzoni in vecchio stile mtv. Un episodio teoricamente “orrendo”, come orrendo poteva esserlo negli anni Ottanta, ma perfetto proprio perché voluto così.

-Bella anche la storia di Bash, in cui il tema dell’amore omosessuale e dell’AIDS è trattato con estrema delicatezza, restando legato al punto di vista di un ragazzo che rimane solo, costretto a trovare un necessario conforto ovunque possa trovarlo.

-Quando Ruth-Zoya piomba sul ring calando dall’alto e garantendosi un ultimo momento di gloria c’è davvero da battere le mani fino a spellarle.

-Un dettaglio che non ho capito: a un certo punto vengono fatti circolare i contratti da firmare, e si vede chiaramente (credo) Debbie che non lo firma. Alla fine della stagione ci viene detto che in base a quei contratti i personaggi di GLOW non potevano essere rivenduti, cosa che genere la morte dello show. Solo io in quel momento ho pensato che la faccenda dei contratti non firmati sarebbe tornata fuori? Oppure mi sono perso un passaggio?
EDIT: bravi che me l’avete spiegato nei commenti, vedi che bisogna sempre fidarsi dei serialminder?



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