2 Novembre 2018 9 commenti

Tre serie in 42 secondi: The Rookie, All American e Magnum PI di Diego Castelli

Aggiornamenti sulla roba media che si può anche passare…

Copertina, Pilot

Era da un po’ che non scrivevamo un bel tripilot, giusto per sfrondare un po’, o magari per rendere conto rapidamente di serie che sono sì oneste, ma non imprescindibili.
Questa volta andiamo in discesa: tutte e tre le serie presentate meritano di stare qui, ma se la prima ha rischiato di avere un articolo tutto per lei per gratificarla, l’ultima è andata a tanto così dall’avere uno spazio esclusivo per deriderla.
Ma andiamo con ordine.

Nathan-Fillion-Rookie

The Rookie
Fra i ritorni più interessanti dell’autunno c’era quello di Nathan Fillion, reduce dal lungo successo di Castle e pronto a imbarcarsi in una nuova avventura nei panni di un poliziotto alle prime armi ma già avanti con l’età rispetto alle altre matricole.
La serie, creata da Alexi Hawley (già firma di vari episodi di Castle e creatore del mediocre State of Affairs) è un classicissimo cop show, che è la sua forza e insieme la sua debolezza. Se questo genere di prodotti vi piacciono, The Rookie ha un po’ tutto quello che serve: cast corale composto da attori in buona forma, una discreta dose di azione, divise e pistole, un po’ di trama orizzontale sia lavorativa che romantica, l’attitudine a mettere insieme una quarantina di minuti di intrattenimento leggero, magari emozionante ma senza troppo impegno. Nathan Fillion, da questo punto di vista, diventa la ciliegina sulla torta.
Il rovescio della medaglia però è presto detto: per ora The Rookie non va mai oltre il compitino, è una serie di genere e Dio non voglia che provi a uscirne, o a svilupparlo in maniera davvero personale. In questo senso, e all’opposto di prima, Nathan Fillion finisce con l’essere un po’ sacrificato: il suo personaggio porta in dote solo una vaga ombra della verve frizzante che ci piace di lui, e lascia l’impressione che se al suo posto ci fosse stato un altro attore della sua età non sarebbe cambiato granché.
The Rookie funziona con gli amanti di quel genere lì. Ma chi cerca le vere novità meglio che vada altrove.

All American -- Image Number: ALA_PilotKeyArt_1.jpg -- Pictured (L-R): Daniel Ezra as Spencer James and Taye Diggs as Billy Baker -- Photo: JSquared Photography/The CW -- © 2018 The CW Network, LLC. All Rights Reserved

All American
Il black Friday Night Lights, verrebbe da dire, considerando che l’ambientazione nel football liceale americano non è usuale come quella degli ospedali o delle stazioni di polizia. All American, in onda su CW e creata da April Blair (già produttrice di tante serie simil-teen come Reign, You e The Shannara Chronicles) racconta di un talentuoso ragazzo della periferia che viene reclutato per giocare in una prestigiosa scuola di Beverly Hills. Non c’è grande scontro razziale (sono un po’ tutti afroamericani), ma c’è invece una discreta tensione di classe, perché il protagonista è il povero un po’ strafottente che arriva nella scuola di fighetti a far girare la testa alle loro fidanzate. Il tono, e qui ci allontaniamo da Friday Night Lights, è più cupo e cospiratorio, e il football è in buona parte un pretesto e uno sfondo per mettere in scena un drama romantico e familiare con qualche virata un po’ dark. Nel complesso, però, una serie poco ficcante, che finisce nel calderone dei drama di CW senza prendersi particolari insulti, ma lasciando poca voglia di proseguire la visione. Certo, se fossimo adolescenti afroamericani amanti del football americano ci potremmo immedesimare di più, ma non essendo così, ciaone.

Magnum-PI

Magnum PI
Qui secondo me c’è un problema di fondo: non essere in grado di riconoscere quando una serie funziona per il concept (e quindi può essere reboottata a distanza di anni con ragionevole speranza di successo) e quando invece punta tutto su elementi irripetibili, primo fra tutti il carisma del protagonista. In questo senso, e per quanto non mi piaccia, la nuova MacGyver ha un suo senso, perché MacGyver funzionava per le idee che aveva, più che per la faccia di Richard Dean Anderson. Ma quando si parla di Magnum PI, la storia è quella di un investigatore, come ne abbiamo visti a bizzeffe, e la forza della sua prima versione, al netto di tanti funzionali elementi di contorno, aveva un nome e un cognome: Tom Selleck. Magnum PI senza Tom Selleck non si dà, non ha senso, non è lui. Sostituirlo con un messicano senza neanche i baffoni è un boomerang immediato, perché magari ti attira con il nome, ma poi ti infastidisce come una bestemmia calata durante un battesimo.
A questo si aggiunge che i primi episodi sono scialbi, provano a puntare su qualche scena d’azione piacevolmente esagerata, ma in mezzo c’è un discreto nulla fatto di dialoghi poco interessanti e personaggi di cui ci interessa davvero poco.
Ci hanno provato, era loro diritto farlo, ma ora per piacere passiamo oltre.



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