7 Febbraio 2019 11 commenti

Russian Doll è meno di quel che sembra di Marco Villa

Non credete all’hype: Russian Doll è “solo” una buona serie (con mille virgolette intorno a solo)

Copertina, Pilot

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ATTENZIONE: SPOILER SU TUTTA LA SERIE

Ma quanto sarebbe facile scrivere una paginetta tranquilla tranquilla, accodandosi al 100% di recensioni positive su Rotten Tomatoes? Ma quanto sarebbe semplice lasciarsi trascinare dall’hype che sta montando giorno dopo giorno e che ha un disperato bisogno di dire “serie dell’anno” quando l’anno è iniziato da 39 giorni? Sarebbe tanto facile e tanto semplice, ma anche poco onesto. Perché qui su Serial Minds siamo pronti a esaltare ogni minimo dettaglio di una serie che ci entusiasma e ad asfaltare tutte le scene di una che odiamo, ma la cosa più difficile resta sempre la terza: provare a dire che no, forse quella serie lì non è un capolavoro.

Russian Doll è una serie tv rilasciata da Netflix il primo febbraio. Il nome intorno a cui ruota tutto è quello di Natasha Lyonne (la Nicky Nichols di Orange Is The New Black), che non solo interpreta la protagonista Nadia, ma firma anche la serie con la nostra amica di vecchia data Amy Poehler (Parks and Recreation) e la sceneggiatrice e regista Leslye Headland. Otto episodi da 25 minuti, per una serie che nasce pensata per il binge watching, per una visione compulsiva dall’inizio alla fine che occupa poco più di tre ore.

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La storia è quasi un classico: un personaggio bloccato nella costante ripetizione della stessa giornata. A differenza di altri importanti precedenti (ciao Ricomincio da capo, ciao), in questo caso la giornata non si conclude semplicemente con il sonno, ma con la morte, che può arrivare in modi sempre diversi. Il personaggio in questione è Nadia (Lyonne, appunto), programmatrice di videogiochi egoista ed egoriferita, che si ritrova a vivere in continuazione la festa del proprio compleanno, punto di partenza di serate/giornate più o meno lunghe che finiscono sempre sotto una macchina, dentro un fiume, in una fuga di gas et similia.

Russian Doll parte con la scoperta da parte di Nadia della sua situazione e il conseguente (e comprensibile) smarrimento: i primi episodi sono una collezione di morti più o meno stupide e più o meno sorprendenti, che conducono la serie lungo il binario della ripetitività. Binario che viene improvvisamente deviato dall’incontro con Alan, ragazzo ossessivo-compulsivo che si trova nella stessa situazione di Nadia. Da qui, da metà serie, la storia diventa a due: Nadia mantiene comunque la centralità, ma tutto quello che accade non è più riferito solo a lei. L’orizzonte si allarga e la serie ne guadagna, iniziando la propria marcia verso il finale, tra tentativi di soluzione del problema, l’inevitabile avvicinamento al baratro e l’happy ending a ridosso dei titoli di coda.

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Questa la costruzione generale, ora arriva il momento di spiegare il perché di quel titolo là sopra. Dovendo fare un riassunto cinico, Russian Doll è una serie che inizia come rielaborazione di una storia già stravista, finisce nel modo più telefonato possibile e in mezzo ha qualche spunto interessante. È godibile? Sì, per buona parte. È una grande serie? No, è una serie che fa il suo.

Ci sono tante cose costruite bene, a cominciare dalla festa, che è perfetta sia nel suo essere ossessivamente uguale, sia nel mostrare piccoli dettagli differenti ogni volta, passando per il penultimo episodio (quello con la madre Chloe Sevigny), che fa deragliare quanto visto fino a quel momento, dando l’illusione che la serie stia per spiccare il volo. Il problema è che poi il volo non lo spicca, anzi: dopo quell’episodio, Russian Doll cade nello stantio, nel terribile deja-vu da film di Natale per cui solo se iniziamo a pensare agli altri possiamo avere un futuro.
È paradossale, ma è proprio il migliore episodio a mettere in evidenza le criticità della serie, che partono da un personaggio principale progettato per sentenziare battute taglienti e intelligenti che però non sortiscono effetto (diventando boomerang anche per Lyonne, che finisce in overacting) e terminano in una generica volontà di originalità che si perde in soluzioni troppo semplici (il barbone-che-sembra-buono-e-invece).

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È un misto di elementi strutturali e piccoli dettagli a frenare una serie cui avrebbe giovato una maggiore radicalità: tutti le spinte finiscono invece per essere normalizzate, persino le sortite in ambito horror vengono anestetizzate da quel finale così moscio. Per questo, Russian Doll è “solo” una buona serie con protagonisti respingenti. Con mille virgolette intorno a “solo”, intendiamoci, ma siamo di fronte a una serie che può intrattenere e fare compagnia sotto la copertina per un pomeriggio, ma che è meno di quello che sembra.

Perché guardare Russian Doll: perché presa senza troppe aspettative dà il giusto intrattenimento

Perché mollare Russian Doll: perché cerca di essere diversa, ma finisce per essere più classica che mai

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