12 Luglio 2019 6 commenti

The InBetween: come Medium, ma più brutta (che già insomma…) di Diego Castelli

Una tizia vede i morti e aiuta la polizia. Paura eh.

Copertina, Pilot

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Ogni volta che incappo in un pilot di livello medio-basso non so se rallegrarmi per il fatto che dovrò scrivere una recensione rapida e facile, per poi depennare una serie inutile dall’elenco, oppure irritarmi considerando che, a conti fatti, dovrò spendere tempo dietro una mezza ciofeca.

E sono certo che Moira Kirland, creatrice della recente The InBetween per NBC, sarà contentissima di questa mia introduzione.
Però Moira, tu hai anche un curriculum abbastanza denso, hai scritto e/o prodotto episodi di Castle, Madam Secretary, Dark Angel, non è che devi accettare qualunque cosa ti propongono, anche quando sai che dovrai scriverla con la mano sinistra perché a casa stai rifacendo il parquet e gli operai come al solito fan solo casino.

Perché alla fine così è andata. Cioè, non so la storia del parquet, ma so di certo che The InBetween è scritta, girata e interpretata in modo rozzo e approssimativo.
Protagonista è una ragazza, capace di comunicare con il mondo dei morti, che aiuta il padre poliziotto (e il suo nuovo, tormentato compare) a risolvere casi di omicidio. La storia è quella di Medium, di cui la Kirland è stata pure sceneggiatrice di 12 episodi, ma a mancare sono il carisma di Patricia Arquette e uno stile che sia effettivamente riconoscibile e preciso (come lo era il misto di giallo e famiglia visto in Medium).

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Come tutte le storie che coinvolgono la comunicazione con i deceduti, The InBetween avrebbe diverse frecce al suo arco, perché ogni volta che Cassie (interpretata da Harriet Dyer) fa un viaggetto nella zona grigia fra realtà fisica e mondo degli spiriti, sceneggiatori e registi potrebbero inventarsi sostanzialmente quello che vogliono in termini di rappresentazione dell’aldilà, strategie comunicative con i fantasmi, sperimentazione visiva, ghirigori più o meno arditi per arrivare alla risoluzione dei casi. Nel pilot, per esempio, Cassie si trova su una spiaggia a dover entrare in una cella frigorifera dove una morta attende con gli occhi cavati.

Ecco, di fronte a queste possibilità sostanzialmente illimitate, The InBetween si limita al compitino. Fornisce alla protagonista qualche indizio che ovviamente da solo non basta per risolvere il caso (mai che un fantasma dia nome e indirizzo del suo assassino), e poi la guarda mentre collabora con la polizia nel tentativo di risolvere il mistero. Il tutto senza che a Cassie venga garantito un minimo sindacale di personalità: dopo il primo episodio, la ragazza è un grosso “boh” in termini di carattere, motivazioni e desideri. È piatta, completamente sdraiata sulla sua mera funzione di canale fra i due mondi, e si permette giusto qualche battutina sagace (ma neanche troppo) nei confronti del collega del padre, che è l’unico a portarsi dietro qualche ferita del passato che possa dargli un ciccinnino di spessore (comunque poco).

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Siamo dunque di fronte a una serie che parte da un concept già molto sfruttato, con personaggi che si limitano allo stretto necessario, all’interno di una messa in scena che non fa quasi nulla per sfruttare le opportunità offerte dalla trama.
Poi magari al terzo episodio esplode e diventa Twin Peaks. Ma onestamente, chi ci arriva al terzo episodio?
Perché seguire The InBetween: solo se il mondo dei medium vi piace tanto da guardare qualunque cosa che lo riguardi.
Perché mollare The InBetween: perché riesco a immaginare davvero tante attività più interessanti di questa roba qua.

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