23 Luglio 2019 10 commenti

The Boys: Amazon, i supereroi cattivi, e una serie che funziona subito di Diego Castelli

Dal fumetto di Garth Ennis una storia che funziona, diverte e fa riflettere

Copertina, Pilot

The Boys (1)

Mentre leggete questa recensione sono in ferie, cosa di cui immagino vi freghi niente, ma lo dico solo per sottolineare che questa è l’ultima cosa che ho scritto prima di dire al Villa “ciao eh, io vado”. E mi fa particolarmente piacere che sia finalmente una bella serie, dopo che nell’ultimo paio di settimane ho scritto quasi solo di mezze ciofeche.
Premettiamo che non ci sono spoiler rilevanti, perché parliamo di The Boys, nuova serie di Prime Video che uscirà il 26 luglio e di cui abbiamo potuto vedere in anteprima i primi due episodi.

E ragazzi, The Boys spacca. La serie è tratta dall’omonimo fumetto di Garth Ennis, già creatore di Preacher e fra gli autori più apprezzati The Punisher, ed è sviluppata da Evan Goldberg e Seth Rogen, che insieme hanno portato sul piccolo schermo proprio Preacher. A loro si aggiunge anche Erick Kripke, che non è esattamente l’ultimo arrivato, in quanto padre di Supernatural.
Il concept di The Boys è semplice: operare il ribaltamento definitivo delle storie di supereroi, costruendo una trama in cui quei supereroi sono tutt’altro che buoni.
Specificare bene questo concetto senza fare troppi spoiler è complicato, ma mettiamola così: quello di The Boys è un mondo in cui i supereroi non sono ex sfigatelli dotati di grandi poteri che decidono di aiutare gli innocenti, e neppure alieni poderosi che fanno della difesa della razza umana la loro principale missione. No, gli eroi di The Boys sono sì esseri dotati di straordinarie abilità, ma al soldo di una multinazionale che li usa a fini politici e di marketing per aumentare il proprio potere di controllo sulla società.

The Boys (2)

E anche il termine “li usa” non è troppo adeguato, perché li fa apparire come vittime: i supereroi di The Boys ci sguazzano in quella situazione, e agiscono più che altro per il proprio tornaconto, per migliorare la loro immagine pubblica, per avere più follower.
In questo contesto i “ragazzi” del titolo sono uno sparuto gruppo di normali esseri umani a cui la CIA chiede di tenere d’occhio le operazioni dei super ed eventualmente eliminarli se esagerano.
Questa è in soldoni la trama del fumetto e, pur con qualche modifica, anche della serie.

Ma a parte i confronti fra mezzi diversi, che come sapete ci interessano sempre poco, quello che più ci preme, in questo momento, è che i primi due episodi di The Boys funzionano alla grande. E non è solo questione di offrire una storia diversa dal solito. Perché sì, vedere questi supereroi comportarsi “male”, pur essendo fisicamente ed esteticamente assimilabili a un immaginario che noi solitamente consideriamo “buono”, ci dà il brivido dell’imprevisto, ci smuove la terra sotto i piedi e attira la nostra attenzione per il semplice fatto di essere distonico rispetto a ciò a cui siamo abituati. Ma in fondo questo approccio straniante non è poi così distante da altri recenti esempi cine-seriali, da Deadpool a Umbrella Academy

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A contare è anche e soprattutto l’atmosfera generale. Incentrata in primo luogo sulle vicende del giovane Hughie Campbell (Jack Quaid), che si vede uccidere erroneamente la fidanzata da un supereroe per poi essere avvicinato e reclutato dall’agente Billy Butcher (Karl Urban), The Boys non fa nulla per nascondere l’anima irriverente del suo autore cartaceo, e la verve comica e scherzosa dei suoi padri televisivi: a uscirne è un prodotto sporco, violento, a tratti perfino splatter, ma anche divertente, ironico, smaccatamente cinico, che prende lo spettatore per mano e, scoppiando in grasse risate, lo costringe a ripensare a tutto quello che sa o crede di sapere sui supereroi.

La componente puramente ludica di The Boys è palese e funziona. Ci si diverte, ci si stupisce, si salta sulla sedia ogni volta che succede qualcosa che cozza vistosamente con i supereroi classicamente intesi, in questo riuscendo a essere ben più impattante di Preacher, che invece lavora su un immaginario diverso e, per certi aspetti, meno codificato. I primi due episodi di The Boys fanno immediatamente venire voglia di vedere il terzo, sia perché la trama complottara si infittisce subito (pur rimanendo sempre comprensibile) sia per il semplice gusto di vedere quali altre invenzioni verranno messe sul piatto per raccontare questo mondo così più sudicio e volgare di quello a cui siamo abituati.
Ma non è nemmeno tutto qui, perché decostruendo il mito del supereroe classico e aggiornandone la storia al 2019 (il fumetto è del 2006), gli sceneggiatori trovano il modo di inserire tutta una serie di temi e sensibilità propri del nostro tempo: la dipendenza dai social, il carattere pervasivo e intrusivo delle campagne di marketing, la politica più becera e spietata che mastica tutto e tutto deforma (perfino quegli ideali purissimi che da sempre sono alla base dall’agire dei supereroi), le molestie sul lavoro che non risparmiano nemmeno le supereroine, l’importanza della percezione (del pubblico, dei media) sopra la sostanza delle cose.

The Boys (3)

Insomma, un calderone bello ricco che punta prima di tutto a divertire (riuscendoci), ma che lavora soprattutto sulla continua disgregazione di strutture visive e narrative il cui collasso è fonte di piacevole turbamento e riflessione continua. Una serie che finisce con l’apparire contemporaneamente stupidona e raffinata, e che uscendo il 26 luglio appare con un improvviso faro nel classico e placido grigiore seriale estivo.
Perché seguire The Boys: fresca, divertente, originale, stupida quando serve, intelligente in tutti gli altri casi.
Perché mollare The Boys: se quando guardate una serie di supereroi, vi servono anche quelli buoni.

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